“Durante il mio viaggio…

… ciò che ho visto di più bello è Genova.
Ti consiglio di andarci un giorno o l’altro.
Dopo aver visitato i suoi palazzi si ha un tale disprezzo per il lusso moderno che vien voglia di abitare in una scuderia e di vestirsi da operai.”
Lettera ad un amico di Gustave Flaubert immalinconito nella sua nuova residenza milanese.

“È qualcosa di indescrivilmente bello…”

storia di un musicista tedesco… travolto, inebriato e sconvolto dalla Superba… qui trova “l’Oro”..
“Io non ho visto nulla come questa Genova! È qualcosa di indescrivilmente bello, grandioso, caratteristico: Parigi e Londra al confronto con questa divina città scompaiono come semplici agglomerati di case e di strade senza alcuna forma.
Davvero non saprei cominciare per darti l’impressione che mi ha fatto e continua a farmi tutto ciò: io ho riso come un fanciullo e non potevo nascondere la mia gioia”.
Con queste euforiche parole Richard Wagner, celebre compositore tedesco, descriveva nel 1853 alla moglie le sue impressioni su Genova.
A tal punto inebriato da quello che aveva visto da scrivere ancora alla consorte:”Per offrirti nel tuo compleanno il dono secondo me più grande, ti prometto oggi di farti fare nella prossima primavera una gita a Genova…”
Terminato il soggiorno genovese il musicista prosegue verso il Sud Italia ma, a La Spezia, lo prese un angosciante malessere e il desiderio di non continuare il viaggio.
Dopo una lunga passeggiata nei boschi Wagner cadde spossato a letto e, nel delirio del dormiveglia creativo, si svegliò impaurito con la sensazione e il suono dello sciabordio delle onde, quello stesso ritmico flusso che, a lungo, aveva ascoltato sulla rena genovese.
Subito il compositore si rese conto di aver avuto la rivelazione del suo capolavoro, opera che sentiva già dentro di se, ma che non riusciva a definire chiaramente, il celeberrimo “Oro del Reno”.
L’artista, padrone ormai della sua creatura, decise di rientrare a Zurigo e completare la partitura.
L’Ode musicale romantica per eccellenza quindi, più che dalle correnti del Reno, è stata ispirata dalle onde della Superba.

Storia di un melograno…

… di una leggenda… e di una profezia..

In Piazza Campetto al Civ 2, oggi sede di un grande magazzino, si trova il Palazzo Casareto De Mari, meglio noto come del Melograno.

“Il Melograno”. Foto di Nino Nicolini.

Commissionato dalla famiglia Imperiale all’architetto Bartolomeo Bianco nel 1586 è passato nei secoli nelle mani dei Sauli prima, dei De Mari poi e, dei Casareto infine.
Al suo interno possiamo ammirare, fra le tante opere d’arte in esso custodite, un Pregadio di Bernardo Schiaffino e una statua di Ercole di Filippo Parodi, oltre ad affreschi, purtroppo in gran parte andati perduti, di Domenico Piola.
Intorno all’etimo di questa dimora patrizia sono sorte nei secoli diverse leggende:
La prima narra l’episodio secondo il quale un De Mari avrebbe vinto il palazzo al gioco puntando tutti i suoi averi proprio sulla carta del melograno.
La seconda invece, più intrigante, racconta di un seme di melograno trasportato, quattrocento anni fa, da un vento di tramontana e germogliato sul timpano del portale del palazzo.
La pianta ha superato indenne guerre, rivolte e bombardamenti…
e, ancora oggi, fiorisce e gode di ottima salute.
Per noi Genovesi è intoccabile anche perché la sua sopravvivenza è legata ad una profezia che ha vaticinato, con la scomparsa del melograno, la fine della Superba.

… Quando presso Ponte…

Federico Guglielmo, attuale Stazione Marittima, si incrociavano migliaia di persone… gente che partiva in cerca di fortuna verso l’altra parte del globo… e gente che arrivava, magari solo in transito, speranzosa di un futuro migliore… con le stesse emozioni… le stesse valigie cariche di ricordi… gli stessi occhi gonfi di lacrime… e gli stessi sogni da inseguire…
Il futuro oltre il mare….

emigranti
“Emigrati all’imbarco.”

 

… Quando Via Gramsci…

si chiamava ancora Carlo Alberto… quando Torre Morchi non aveva dovuto ancora assistere sgomenta e impotente alla costruzione dell’orrendo palazzone sul fronte mare… quando non era difficile intuire perché la strada intitolata al Re sabaudo era nominata “la Carrettiera”… quando in mezzo alla via circolavano cavalli, muli e asini… rispetto ad oggi non è cambiato molto… solo agli asini quadrupedi si sono sostituiti quelli a due o quattro ruote….