“A Cimma”…

Così comincia la canzone di Fabrizio De André dedicata a questo tipico piatto genovese:

Ti t’adesciâe ‘nsce l’éndegu du matinCh’á luxe a l’à ‘n pé ‘n tèra e l’átrù i màTi t’ammiâe a ou spégiu de ‘n tianinOu çé ou s’amnià a ou spegiu dâ ruzà
Ti mettiâe ou brûggu réddenu’nte ‘n cantùnChe se d’â cappa a sgûggia ‘n cuxin-a á striaA xeûa de cuntà ‘e págge che ghe sun‘A çimma a l’è za pinn-a a l’è za cûxia

Traduzione: “Ti sveglierai sull’indaco del mattino quando la luce ha un piede in terra e l’altro in mare ti guarderai allo specchio di un tegamino il cielo si guarderà allo specchio della rugiada metterai la scopa dritta in un angolo che se dalla cappa scivola in cucina la strega a forza di contare le paglie che ci sono la cima è già piena e già cucita…

Una pancia di vitello che cucirai (come si faceva per i materassi) .

Attenzione la sacca non deve avere venature o tagli, dopo cucita riempila d’acqua e vedi che non ci siano perdite è importantissimo. Se la pancia di vitello è integra e le cuciture valide, il problema non esiste, mi raccomando è meglio un uovo in meno che uno in più.

La pancia di vitello che cucirai (come si faceva per i materassi) lasciando un’apertura di dieci cm. dev’essere un rettangolo all’incirca di 26 x 18cm (per 5/6 uova) a volte i macellai la cuciono loro.

Preparazione: tagliare la carne a pezzetti e farla rosolare nel burro.

In una terrina mettere le uova, sbatterle (non troppo) aggiungere: la carne, la cervella ridotta a pezzetti, il formaggio grana, i pinoli, la carota a pezzetti, la lattuga, i piselli, la maggiorana (la pèrsa lègia) e l’aglio, il sale il pepe, amalgamare il tutto (se sei solito farlo assaggia).

img-20161127-wa0000
“A Cimma”. Foto e preparazione dell’autore.

Importante riempire la cima sino a tre quarti non di più, anzi qualcosa in meno, sennò scoppia.

Cucire la parte aperta, lavarla sotto il rubinetto e metterla in un piatto.

Mettere la cima a cuocere in una pentola (molto capiente) con acqua e sapori, (carota, sedano, cipolla) a freddo, ogni tanto girarla, appena prende il bollore spegnere e lasciare riposare cinque minuti poi riaccendere e falla cuocere a fuoco lento, (dev’esserci sempre il bollore) per almeno un’ora e mezzo o due, controllala spesso e girala, attenzione a non romperla, se vedessi che esce dalle cuciture del ripieno, niente panico, toglila dall’acqua prendi un canovaccio avvolgila e legala, poi la rimetti a cuocere.

Quando è cotta dopo almeno un’ora e tre quarti la punzecchi con un ago.

La togli dall’acqua con cautela, (vedrai sarà un pallone oblungo) la adagi su di un tagliere sul lavandino metti sopra un altro tagliere o un piatto piano (meglio un tagliere) e sopra metti dei pesi.

Io metto una pentola con acqua, oppure una pentola con dentro un mortaio di marmo, la cima si deve compattare, dentro non deve esserci più aria in modo da poterla tagliare a fette senza che si sbricioli), devi “caricare” la cima in modo che si riduca di molto e praticamente butti fuori i liquidi (pochi) e si appiattisca, per poterla poi tagliare.

img-20161127-wa0001
“La caratteristica forma schiacciata”. Foto ed elaborazione dell’autore.

Falla il giorno prima, magari alla mattina, la lasci in carico due o tre ore, il tempo necessario, poi la avvolgi in un tovagliolo bianco bagnato e strizzato e la riponi in frigo.

Ecco fatto la cima è pronta da gustare. Spero di esser stata chiara, questo è il metodo che faccio io e che fa mia madre e poi mia nonna.

Se la fai così per filo e per segno, vedrai che ti verrà bene…

Ricetta e procedimenti di un’anziana cuoca genovese che non c’è più.

Curiosità in tavola

"A Cimma"...

"A Cimma"...

Così comincia la canzone di Fabrizio De André dedicata a questo tipico piatto genovese: Ti t'adesciâe 'n...
"A me le torte di Zena"...

"A me le torte di Zena"...

Certo le scuole napoletane e siciliana di chiara impronta araba, per non parlare di quella asburgica...
"Cacao Meravigliao..."

"Cacao Meravigliao..."

Proveniente dal nuovo mondo il cacao, per la prima volta, venne importato da Cristoforo Colombo, durante...
"Intu mezu du ma... gh'è 'n pesciu tundu..."

"Intu mezu du ma... gh'è 'n pesciu tundu..."

  Che derivi dal norvegese “stokkfisk”, dall’olandese “stocvisc” con il significato di pesce bastone, o...
"Mangi la sbira... e poi muori"...

"Mangi la sbira... e poi muori"...

La sbira è un piatto povero della cucina genovese dalla tradizione plurisecolare che risale addirittura ...
"Quattro amici al bar"...

"Quattro amici al bar"...

Il Bombardino, una delle più diffuse bevande montanare, nacque al rifugio "Mottolino" di Livigno in ...
"Se piace al Padrino..."

"Se piace al Padrino..."

La storia del salame di S. Olcese è sostanzialmente “cosa loro”, dei Cabella e dei Parodi  le due famig...
"U vin giancu de Cônâ"...

"U vin giancu de Cônâ"...

Nell’anno 218 a.C., durante la Seconda Guerra Punica , Genova  alleata di Roma, subì l’imprevisto e viole...
"Voglia di gelato"...

"Voglia di gelato"...

Chi non ha mai gustato seduto ad un tavolino in compagnia dei propri genitori Il Paciugo alzi la mano? Il...
A fugàssa

A fugàssa

Mi raccomando, soprattutto per i foresti, la focaccia va gustata con la parte sapida e croccante...
Chiamatela Panélla...

Chiamatela Panélla...

La castagna ha rappresentato per secoli la principale fonte di sostentamento dei Liguri dell'entroterra....
Ciupin

Ciupin

Ogni regione italiana affacciata sul mare presenta in tavola la propria versione della zuppa di pesce....
Coniglio alla ligure

Coniglio alla ligure

Lo so il coniglio alla ligure, piatto tipico del ponente della regione, andrebbe cotto in un classico...
Focaccette e focaccia di patate

Focaccette e focaccia di patate

Per me la focaccetta di patate è legata al ricordo dei nonni, polceveraschi doc, di mia moglie. Circa ...
Frittelle di San Giuseppe

Frittelle di San Giuseppe

Il 19 marzo si celebra San Giuseppe festa per la quale, in piena quaresima, si permise di derogare al...
Fritto Misto alla Genovese

Fritto Misto alla Genovese

Il fritto misto alla genovese è una pietanza completa a base di ortaggi di stagione (patate, ...
Fru fru

Fru fru

I wafer hanno una storia inaspettatamente lunga che si dipana nel corso dei secoli a partire dal XV...
Gli Sgabei

Gli Sgabei

Per raccontare questo semplice piatto sconfino nello spezzino dove gli sgabei costituiscono, sia nella...
I Barbagiuai

I Barbagiuai

I Barbagiuai sono degli appetitosi ravioli fritti tipici della Val Nervia nell'entroterra di Ventimiglia....
I Biscotti del Lagaccio...

I Biscotti del Lagaccio...

Dagli archivi della Repubblica si evince che I biscotti del Lagaccio nacquero nel 1593 in un antico forno...
I Cavulin

I Cavulin

I cavolini alla panna, immancabili protagonisti delle tavole domenicali, sono uno dei dolci più apprezzati ...
I Corzetti...

I Corzetti...

I corsetti o corzetti, detti curzetti o cruxetti in lingua genovese, sono una pasta tipica della cucina...
I Gattafin

I Gattafin

A Levanto una cava di pietra raggiungibile dal mare chiamata "la gatta" simboleggia la secolare tenacia...
I Muscoli

I Muscoli

Muscoli o cozze? questo è il problema. Qualche anno fa persino l'Accademia della Crusca è intervenuta i...
I Natalin

I Natalin

Ci fu un tempo in cui, prima che fossero soppiantati dai ben più ricchi ravioli , i natalin (natalin ...
I Panigacci

I Panigacci

Quando mi trovo nella sede delle mie vacanze estive a Deiva Marina (Sp) è d'obbligo una tappa in Lunigiana ...
I Pesci saê

I Pesci saê

Non è un caso che un vecchio detto popolare reciti: "chi sala le acciughe ad aprile perde il sale, le ...
Il Bagnùn de Ancioe

Il Bagnùn de Ancioe

Il Bagnùn de Ancioe (Bagnùn di Acciughe) è il piatto tipico di Riva Trigoso , borgo marinaro, frazione de...
Il Canestrello prezioso quanto una moneta

Il Canestrello prezioso quanto una moneta

Fra i dolci di pasticceria secca il canestrello nella nostra regione è senza dubbio fra i più a...
Il carciofo di Napoleone

Il carciofo di Napoleone

Perinaldo è un grazioso borgo medievale in provincia di Imperia, famoso per aver dato i natali ...
Il mio nome è Magro... Cappon Magro...

Il mio nome è Magro... Cappon Magro...

Si tratta di uno dei piatti più importanti e complessi della nostra cucina. Una vera e propria, soprattutto ...
Il pesce alla ligure

Il pesce alla ligure

La preparazione del pesce alla ligure sia che sia fatta in umido o al forno implica una profonda relazione...
Il Pesto di Pentema l'antenato di quello genovese

Il Pesto di Pentema l'antenato di quello genovese

A Pentema, un paesino nel Comune di Torriglia che sembra -anzi è un presepe -, da alcuni anni è ripresa l...
L'Asinello l'aperitivo corochinato.

L'Asinello l'aperitivo corochinato.

Per me che da studente nei primi anni '90 bazzicavo nella zona soprattutto nelle serate del fine settimana...
La frittata di Rossetti

La frittata di Rossetti

Per quelli della mia generazione, non essendo purtroppo più fruibile il bianchetto, il rossetto ne ...
La Genovese partenopea

La Genovese partenopea

A Genova quando si parla di sugo e carne alla genovese s'intende il "Tuccu" con cui condire taglierini...
La leggenda della pizza di Andrea...

La leggenda della pizza di Andrea...

Nella versione originale nata nel '400 la "Pizza di Andrea", "Piscialandrea"o "Pissaladiera" era una...
La Mostardella

La Mostardella

La Liguria -si sa- non gode di grande fama nell'ambito dell'arte della preparazione dei salumi. A...
La Pànera il semifreddo dei genovesi

La Pànera il semifreddo dei genovesi

A proposito di gelati a Genova è impossibile non parlare della pànera, l’autoctona crema genovese a b...
La Prescinsêua...

La Prescinsêua...

La prescinsêua o quagliata genovese è un formaggio a pasta molle dal gusto fresco e acidulo. Secondo u...
La trippa alla genovese

La trippa alla genovese

Diffusa da nord a sud la trippa è un piatto povero comune un po' a tutte le regioni d'Italia: basti ...
Le acciughe...

Le acciughe...

"Le acciughe fanno il pallone che sotto c'è l'alalonga, se non getti la rete, non te ne lascia una, ...
Le Genovesi di Erice

Le Genovesi di Erice

Confesso, prima che un amico siciliano me ne parlasse e facesse assaggiare, ne ignoravo l'esistenza....
Le lattughe ripiene

Le lattughe ripiene

La zuppa di lattughe ripiene (leitughe pinn-e) costituisce un emblematico esempio dell'ingegnosa capacità ...
Le Sciamadde

Le Sciamadde

Le sciamadde, dal termine genovese sciamadda ovvero "fiammata", costituiscono caratteristico patrimonio...
Le Tomaxelle

Le Tomaxelle

Le tomaxelle sono un piatto tradizionale genovese a lungo dimenticato. In estrema sintesi si tratta...
Lo Sciachetrà...

Lo Sciachetrà...

“Superba ardeva di lumi e cantici, nel mar morenti lontano Genova, al vespro lunare dal suo arco marmoreo d...
Mandilli de saea...

Mandilli de saea...

Le storie ufficiali fanno risalire al XIV sec, in piena età comunale, la nascita delle corporazioni ...
O Baxeichito

O Baxeichito

Al civ. n. 17 di vico Denegri si trova una delle più antiche osterie di Genova e d'Italia. Una ...
O Læte doçe. (Il Latte dolce).

O Læte doçe. (Il Latte dolce).

Alzi la mano chi, quando arriva in tavola il fritto misto alla genovese , non va subito a cercare...
Per Buglione e per i pansoti...

Per Buglione e per i pansoti...

I pansoti sono un piatto imprescindibile della cucina ligure che racchiude l’intima essenza del nostro c...
Quaresimali e Cavagnetti

Quaresimali e Cavagnetti

Molto semplice e, per questo quasi dimenticata, è la tradizione dolciaria pasquale genovese che, prima ...
Röba pinn-a

Röba pinn-a

Le verdure ripiene costituiscono classico esempio della genuina semplicità della cucina ligure. Zucchina ...
Storia del "rovigliolo" (raviolo)...

Storia del "rovigliolo" (raviolo)...

 ... del Paese della Cuccagna... di un poeta goliardico e... di un nostalgico musicista... Già ...
Storia del pandolce...

Storia del pandolce...

... dall'Egitto, alla Grecia... fino alla Persia... dalla tavola dell'ammiraglio... fino a quella di...
Storia della "Gattafura" (la torta pasqualina) ...

Storia della "Gattafura" (la torta pasqualina) ...

  Con questo curioso titolo erano note secoli fa, le torte miste di verdure e formaggio. Fra queste ...
Storia della focaccia recchelina...

Storia della focaccia recchelina...

La storia della focaccia al formaggio affonda le proprie radici in tempi molto lontani: addirittura,...
Storia di un assedio...

Storia di un assedio...

... di un pasticcere geniale e... di un dolce speciale (la Sacripantina). Nel 1800 Genova , entrata...
Storia di un monopolio...

Storia di un monopolio...

... di un Vescovo pignolo... di sciamadde... insomma di fugassa... La focaccia viene citata per...
Storia di una piantina regale...

Storia di una piantina regale...

... di una salsa... panacea di tutti i mali ... di un condimento ineguagliabile... Alcune fonti...
Storia di una tempesta, di un naufragio...

Storia di una tempesta, di un naufragio...

... di una rivalità secolare... la leggenda della genesi di un piatto semplice e gustoso della nostra ...
Tortino di acciughe alla maniera di Vernazza

Tortino di acciughe alla maniera di Vernazza

Nella maggior parte d'Italia le chiamano alici, qui in Liguria sono le acciughe e sono un vero e proprio...
U Tuccu

U Tuccu

Così in una lettera spedita all'amico Luigi Germi nel 1839 e conservata presso la Library del Congresso ...

Storia di un assedio…

… di un pasticcere geniale e… di un dolce speciale (la Sacripantina).
Nel 1800 Genova, entrata da qualche anno nell’orbita napoleonica, è obiettivo strategico degli Austriaci.
Da Aprile a Giugno la Superba, posta sotto un estenuante assedio è difesa coraggiosamente dal generale nizzardo André Massena.
I generi alimentari vengono così razionati e si dà fondo alle ragguardevoli scorte di riso per, mischiandole con farina di grano, ricavarne del pane.
A Parigi intanto, in Rue Saint Honoré, il celebre pasticcere Chiboust, inventore della torta che dalla Via prende il nome, impressionato dall’eroica resistenza del connazionale, decide di omaggiarne l’impresa.

Crea un dolce simile al Pan di Spagna, chiamandolo Pan genoise.
Da questa base, con l’aggiunta di creme e farciture liquorose, sarebbe nata, a Genova nel laboratorio di Piazza Portello, brevettata poi nel 1875, la Sacripantina della Pasticceria Preti.
All’origine dell’impegnativo nome invece, sarebbe la vicenda amorosa del re circasso Sacripante, innamorato della bella Angelica, personaggio, prima dell’Orlando Innamorato del Boiardo e poi di quello Furioso, dell’Ariosto.

sacripante
“Marionetta di Sacripante”.

Storia del pandolce…

… dall’Egitto, alla Grecia… fino alla Persia… dalla tavola dell’ammiraglio… fino a quella di San Biagio…
Non se ne abbiano a male gli amici milanesi, ma il pandolce genovese ha una storia molto più antica rispetto al panettone, che si perde nella notte dei secoli… una vera e propria genesi rituale.
Dati gli ingredienti comuni, molti ne fanno risalire l’origine addirittura ai tempi dell’antico Egitto e della Grecia dove era diffuso un dolce simile a base di miele.


Sicuramente, visti i rapporti commerciali con quel Paese, i Genovesi potrebbero aver tratto ispirazione dalla Persia (basti pensare a maggiorana, “persa” in genovese) dove il suddito più giovane (in grado di camminare), all’alba di Capodanno, porgeva al Sovrano un grande pane dolce a base di canditi, miele e mele da dividere fra i suoi commensali.
In effetti anche a Genova il pandolce, chiamato anche Pan co-o zebibbo veniva portato in tavola dal più giovane della famiglia e, con gesto beneaugurante, privato del sovrastante ramoscello di alloro.
Fu l’ammiraglio Andrea Doria che, nel ‘500, indisse concorso fra i pasticceri locali, per creare un dolce degno del matrimonio del nipote con Zanobia del Carretto e del prestigio della Repubblica.
Così venne codificato il pandolce genovese nella versione alta, affiancato poi, qualche secolo più tardi, dalla moderna versione bassa.
Molti sorrideranno di questa affermazione ma, a quel tempo, tolto forse Venezia e Bisanzio odierna Istanbul, non erano molte le città in Europa sulle cui tavole si potevano gustare canditi, uvetta e frutta secca.
Secondo la tradizione il Capofamiglia affettava il panduce canticchiando una filastrocca:
“Vitta lunga con sto’ pan!
Prego a tutti tanta salute,
comme ancheu, anche duman,
affettalu chi assettae,
da mangialu in santa paxe,
co- i figgeu grandi e piccin,
co- i parenti e co- i vexin,
tutti i anni che vegnia’,
cumme spero Dio vurria’.”
Alla moglie spettava l’assaggio e poi veniva distribuita una porzione per ciascun invitato, dopo di ché, visionate le letterine dei pargoli, gli stessi, in piedi sulla sedia, recitavano la loro poesia.
Due fette però venivano accuratamente conservate a parte da offrire una, al primo viandante di passaggio, da consumarsi l’altra, il 3 febbraio festa di San Biagio, protettore della gola.
Il Pandolce genovese, a seconda del Paese in cui è consumato, ha assunto altri nomi:
dal nostrano “Pan do bambin” sanremese, al “Londra cake” o “Genoa cake” britannici, fino al “Selkirk bannock”, una versione scozzese molto apprezzata dalla Regina Vittoria.
Quanta cultura in un semplice…. Panduce..

In Copertina: il Pandolce di una super bis nonna Lorenza che non c’è più.

Storia di una tempesta, di un naufragio…

… di una rivalità secolare… la leggenda della genesi di un piatto semplice e gustoso della nostra tradizione.
Nel 1284 di ritorno dalla Meloria alcune navi genovesi, a causa di un’improvvisa tempesta, naufragarono al largo delle isole toscane.
I barili d’olio stipati nella stiva rovesciandosi inzupparono, mischiandosi con l’acqua salmastra, alcuni sacchi di farina di ceci.
L’equipaggio, in attesa dei soccorsi, per recuperare il carico mise l’anomala poltiglia ad asciugare al sole ma, affamato, decise di mangiare le strane “frittelle”.
Così è nata, cuocendola poi ovviamente al forno e non al sole, la farinata che, per schernire gli odiati rivali, i pisani, veniva chiamata “l’oro di Pisa” dato che aveva salvato loro la vita.
Da allora, secondo questa suggestiva quanto fantasiosa leggenda, la gustosa preparazione è entrata di diritto a far parte dei profumati ed essenziali piatti della tradizione culinaria popolare genovese.
In realtà preparazioni a base di farina ceci simili alla farinata sono patrimonio comune da tempo immemore di gran parte delle culture che hanno popolato il mediterraneo: dai greci ai latini fino alle versioni toscane della torta di ceci e Cecìna, nizzarda della Soca, piemontese della bella càuda, francese di Tolona della Cade e nella variante bianca di Savona.
Quest’ultima realizzata con farina di grano per sopperire alla carenza di quella di ceci sulla quale, al tempo di Andrea D’Oria, la Repubblica aveva applicato un cospicuo aumento dei dazi.
Al di là delle leggende e delle relative dispute di campanile sulla paternità la farinata appartiene – è un dato di fatto – alla Liguria ed alle zone ad essa confinanti.
Foto di Fabrizio Perelli.

Storia di un monopolio…

… di un Vescovo pignolo… di sciamadde… insomma di fugassa…
La focaccia viene citata per la prima volta intorno all’anno mille anche se, probabilmente, già da tempo era un alimento diffuso della cucina genovese.
“A pestun cua sa”, così si chiamava il composto farinaceo mischiato con il “sa pesta”, nel corso dei secoli sempre più divenne il cibo dei genovesi, al punto che persino i matrimoni venivano scanditi in chiesa dal crocchiare della focaccia, offerta dagli sposi.
Nel ‘500 fu il Vescovo Matteo Rivarola, indispettito dal fatto che distraesse l’attenzione dei fedeli, a proibirla, pena la scomunica.
Nel frattempo Genova prima e il Banco di San Giorgio poi, avevano acquisito il monopolio del sale.

"Antica Sciamadda".
“Antica Sciamadda in Via San Giorgio”.

I grandi magazzini del porto franco non bastavano più a contenere l’indispensabile minerale così iniziarono a proliferare le Sciamadde (“fiammate”) dove, appunto, oltre a preparare farinate e torte salate, si poteva cuocere e vendere anche la fugassa (sale sul fuoco).

Storia della “Gattafura” (la torta pasqualina) …

 
Con questo curioso titolo erano note secoli fa, le torte miste di verdure e formaggio.
Fra queste anche la celeberrima pasqualina così identificata solo a partire dalla seconda metà del ‘800 con il diffondersi delle Cuciniere.
Il primo che ne fece menzione fu nel Quattrocento nel suo “Libro de arte coquinaria” il famoso Maestro Martino de Rubeis, padre della cucina rinascimentale.
 
Con la parola gattafure infatti, citata poi nel ‘500 sia da Bartolomeo Scappi, cuoco di Papa Pio V nel suo trattato, che da Ortensio Lando nel suo catalogo, si indicavano e raggruppavano tutte le torte di verdure di origine ligure già nel XV sec.
 
Annotava così il Lando nel suo “Catalogo delli inventori delle cose che si mangiano et si bevano” del 1550:
 
“a Genova si fanno certe torte dette gattafure perché le gatte volentieri le furano e vaghe ne sono, ma chi è sì svogliato che non le furasse volentieri? A me piacquero più che all’orso il miele”.
 
Evidentemente ai gatti doveva essere piaciuta molto questa torta erbacea a base di bietole, formaggio, uova e… prescinseua, ma anche l’umanista doveva esserne rimasto assai soddisfatto per immedesimarsi nella golosità dell’urside
Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è FB_IMG_1728820232227.jpg
Torte Pasqualine appena sfornate

Questa torta salata veniva preparata per la festa pasquale rivestita, secondo la tradizione, di ben trentatré strati (pieghe) di sfoglia, in omaggio agli anni di Cristo.


Ne esistevano almeno un paio di varianti ma l’originale, anche se in molti pensano il contrario, non prevedeva i carciofi, bensì le bietole perché più economiche e facilmente reperibili presso le besagnine, rispetto alle più costose, perché fuori stagione, articiocche (carciofi).
Ancora oggi, nelle ormai rare Sciamadde, cosi come sulle tavole della festa, non può mancare, per resuscitare gli appetiti, la Regina delle torte salate.

Storia del “rovigliolo” (raviolo)…

 … del Paese della Cuccagna… di un poeta goliardico e… di un nostalgico musicista…

Già nel 1100 una pasta che conteneva un “roviglio” (ripieno) era patrimonio comune sulle tavole dei genovesi. Notizie certe sulla sua genesi, basate su fonti storiche, non ne risultano; molte località del Genovesato, di conseguenza, ne rivendicano la paternità.

Una delle versioni più diffuse è quella che ne farebbe risalire l’origine alla famiglia “Ravioli” di Gavi Ligure che, per prima, avrebbe proposto il succulento piatto. Nel ‘200, complice le fiere e i mercati del Piacentino e dell’Astigiano, il raviolo si sarebbe poi diffuso oltre l’Appennino, nel parmense con il nome di “tortello” e in Piemonte con quello di “agnolotto”.

Le prime tracce in ambito letterario risalgono al ‘300  quando  nel suo celeberrimo “Decamerone” il Boccaccio lo cita fra le leccornie nella novella sul Paese della Cuccagna in cui il protagonista Calandrino racconta: “… stava genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e ravioli e cuocerli in brodo di Capponi e rotolano da una montagna di formaggio grattuggiato”. Raviolo in brodo certo, o cotto nel vino ma per me, come per il “Signore del violino”, la versione più appetitosa risulta essere quella condita con il “tuccu” (ragù alla genovese). In una lettera del 1839 di risposta ad un amico, infatti, Paganini ormai prossimo alla morte lontano dalla sua Genova, descrive minuziosamente la ricetta per preparare i ravioli e del “tuccu” con il quale si raccomanda di condirli.

Ecco perché il Raviolo è musica inarrivabile per il nostro palato!

In copertina: ravioli di una nonna di Murta.

Storia di una piantina regale…

… di una salsa… panacea di tutti i mali … di un
condimento ineguagliabile…
Alcune fonti storiche fanno risalire al “Moretum”, descritto da Virgilio, come composto antenato del pesto genovese.
Altre invece, più plausibili, raccontano di parentele con “l’agliata”, salsa prodotta un po’ in tutta la regione, utilizzata dai naviganti in gran quantità per le proprietà taumaturgiche contro infezioni e malattie, frequenti nei lunghi viaggi via mare.
Addirittura, secondo alcuni storici, il basilico (trad: dal greco erba del re), sarebbe giunto a Genova solo nel 1362 importato dal mercante, Leonardo Montaldo.
Il futuro Doge infatti lo avrebbe preso in prestito, intuendone le proprietà organolettiche, dai greci di Bisanzio che lo utilizzavano, proprio come i genovesi con i gerani, come pianta ornamentale sui balconi.
Il pesto, come lo gustiamo noi oggi, ha invece una storia inaspettatamente recente;
il primo che ne fa menzione scritta è Giambattista Ratto che, ad inizio ‘800 nella sua “Cuciniera genovese” snocciola la ricetta includendo, incredibile a dirsi, come formaggio, al posto di pecorino e parmigiano, il Gouda olandese!
Fu Emanuele Rossi nella “Vera Cuciniera genovese”, qualche anno più tardi a presentarne altre varianti e introducendo grana generico e pecorino italiano.
Nel 1910 Emerico Romano Calvetti propone una sintesi delle due precedenti ricette in cui, comunque, aglio e formaggio prevalgono sul basilico e, per fortuna, sparisce il formaggio dei tulipani.

th
“Il mortaio e gli ingredienti per il pesto”.


Il pesto è poi diventato patrimonio dei primi piatti genovesi, ognuno con i propri segreti e varianti, spesso aggiustato con fagiolini, patate e fiori di zucca.
In tempo di magra si condivano paste “avvantaggiate”, cioè ottenute mischiando farina bianca e integrale, nelle zone montane, anche di castagne.
Gli ingredienti come tutti sanno sono: basilico di Prà, olio e v della Riviera di Levante 0 comunque ligure, sale grosso di Cervia, pinoli di Pisa, aglio di Vessalico, parmigiano reggiano e pecorino sardo del Gavoi.
Questa è la formula rigidamente codificata dall’omonimo Consorzio.
Il pesto condisce e valorizza qualsiasi prodotto a cui venga abbinato ma, secondo il mio modesto parere, nulla soddisfa di più che l’accoppiamento con i “Mandilli de saea” (fazzoletti di seta), delle sottilissime lasagne, ottenute con un semplice impasto di acqua, farina e un goccio di vino bianco, prive di uova…
Dalla Regina Elisabetta, a Carlo d’Inghilterra, a Frank Sinatra solo per citare i primi nomi che mi sovvengono… nutrito è l’elenco dei suoi devoti estimatori…
Ecco perché il pesto è il condimento dei Re….