In via San Luca al civ. n. 12 si trova il Palazzo Salvago poi Serra.
Il portale dell’edificio è caratterizzato da due statue di “serveghi”, ovvero uomini selvaggi, armate di bastoni che stanno a rappresentare il carattere “rustego”della famiglia Salvago.
Varcato il portone nell’atrio un tripudio di colonne doriche con al al centro un ninfeo con statua di Cerere e conchiglia sostituita all’originale che rappresentava invece un Cesare.
In Copertina: Atrio di Palazzo Salvago in via San Luca n. 12. Foto di Stefano Eloggi.
Via del Campo, per via dell’omonimo brano composto da De André, è uno dei caruggi più famosi di Genova.
La zona del Campo fino al XII secolo comprendeva il territorio dal rio Fossatello al rio Carbonara (oggi Via delle Fontane)..
Nel XIII secolo venne eretta la chiesa di San Marcellino e l’intera area circostante venne così identificata come “Campus Marcellini”.
Da qui dunque l’origine del toponimo “del Campo” che veniva utilizzata, estendendosi fuori le mura, dal Vastato o Guastato (odierna piazza dell’Annunziata) fino al Fossatello, per esercitazioni militari.
Il campo era una zona di orti e vigneti che salivano stretti fra il mare e la collina di Pietraminuta.
Nel XII secolo l’area agricola abitata da casupole in legno venne inglobata nelle mura sorvegliata dalla possente Porta di Santa Fede o dei Vacca dal nome della famiglia che ne aveva la custodia.
Costoro nel XV secolo insieme ai Piccamiglio costruirono le prime dimore in pietra.
In via del Campo oltre al negozio di articoli musicali di Gianni Tassio frequentato a suo tempo da De André, oggi museo dedicato al cantautore, innumerevoli sono le testimonianze storiche: palazzi come quello secentesco di Battista Centurione inserito da Rubens nel suo compendio sulle dimore genovesi; sovrapporta in pietra nera come al civ. 1a con il trigrammadi Cristo., o al 35r con l’Annunciazione; edicole votive come quella al civ. n. 3 della Madonna Regina, o del 3r della Madonna col Bambino, una delle più antiche della città risalente addirittura al XIV secolo; torri come quella maestosa dei Piccamiglio; colonne infami e fontane riparatrici come quelle dei Vacchero, protagonisti di congiure contro la Repubblica.
Via del Campo, c’è una graziosa Gli occhi grandi color di foglia Tutta notte sta sulla soglia Vende a tutti la stessa rosa
Via del Campo, c’è una bambina Con le labbra color rugiada Gli occhi grigi come la strada Nascon fiori dove cammina…
(Prime due strofe di Via del Campo 1967). Testo De André, musiche Iannacci, arrangiamenti Reverberi.
In Copertina: Via del Campo lato Porta dei Vacca. Foto di Stefano Eloggi.
Nel cuore del quartiere del Carmine attraverso un piccolo arco in pietra si accede alla Salita di Monterosso.
Nell’estimo del 1798 questa creuza è chiamata di Monte Roso. All’origine dell’etimo del sito il fatto che il vocabolo roso, di origine etrusca, definiva le zone fortificate.
Probabilmente è con l’uso popolare che si è avuto il passaggio da Monte Roso a Monterosso.
In Copertina: Salita di Monterosso. Foto di Anna Armenise.
Quest’immagine è per me assai gratificante perché credo, in tanti anni che mi aggiro fra i caruggi, di non aver mai vista la piazza così vuota e soprattutto sgombra dalla spazzatura.
In passato infatti proprio sotto il tabernacolo vuoto dell’edicola erano posti cassonetti straboccanti di rumenta.
Nel 1810 l’edificio religioso venne tramutato in biblioteca delle Missioni Urbane i cui volumi superstiti, dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale, sono ora custoditi presso la biblioteca Franzoniana.
Si lo so, a partire dal 12 settembre 2016 causa il nuovo regolamento nazionale sulla toponomastica, Campetto è diventato Piazza Campetto.
Per noi genovesi però, con buona pace della burocrazia, Campetto è Campetto. Così è, se vi pare, da quasi mille anni.
Se intorno all’anno mille infatti il Campetto era poco più che un orto addossato alle mura del castrum nel 1155, con l’erezione delle mura del Barbarossa, divenne uno snodo cruciale della nuova viabilità cittadina.
In tutta l’area proliferarono, come testimoniato dai caruggi attigui (Vico Scudai, degli Orefici, degli Indoratori) le botteghe artigiane legate alla lavorazione, soprattutto a scopo militare, dei metalli.
Campetto era il Campus Fabrorum, il campo dei Fabbri, da qui dunque l’origine del toponimo.
In Campetto si affacciano diverse prestigiose dimore: ai civici n. 8 e 8a il cinquecentesco Palazzo di Gio. Vincenzo Imperiale impreziosito dagli affreschi di G.B. Castello e da Luca Cambiaso; al civ. n. 2 palazzo Ottavio Sauli, più noto come Casareto De Mari, ovvero del Melograno (occupato da un grande magazzino) famoso per lo straordinario secentesco Ercole di Filippo Parodi; al civ. 19r oggi supermercato di una nota multinazionale l’edificio che fu un tempo la chiesa di San Paolo il Vecchio, poi convento, macelleria e in ultimo fino al 1821 sede del piccolo Teatro di Campetto; al civ. n. 9 palazzo Gio. Battista Imperiale con resti di affreschi del XVI secolo che a fine ‘800 ospitava il celebre Hotel Union Qui soggiornò il Dr. James R. Spensley tra i fondatori del Genoa Cricket and Football Club e padre del movimento scoutistico genovese.
Fra le altre testimonianze meritevoli di menzione sono: sopra il bar al civ. 1r. la lapide che narra le gesta di G. B. Ottone durante la rivolta del Balilla del 1746; al civ. n 5 un cinquecentesco sovrapporta in pietra nera con fregi floreali e il trigramma di Cristo.
Ultimo, non certo per importanza, al centro della piazza il barchile del 1643 che ritrae un fauno che suona una conchiglia opera dello scultore Guido Mazzetti.
La fontana si trovava un tempo nel quartiere di Ponticello, odierna Piazza Dante e, dopo travagliate peregrinazioni, ha trovato qui adeguata collocazione.
Il toponimo di Vico dell’Oliva fa riferimento alla presenza in loco nel medioevo del mercato dell’olio.
Probabilmente da qui ebbe origine l’omonimo casato degli Oliva che si accorpò, a seconda delle schiatte, a quello degli Usodimare, dei Negrone, Cattaneo e dei Grimaldi.
I membri di quest’ultimo, come testimoniato dalla loro presenza in S. Maria di Castello, costituirono il ramo più noto quello appunto dei Grimaldi Oliva.
All’angolo con Vico Gibello si trova sotto una minuscola nicchia con tettuccio a cono una statuetta della Madonna intenta a pregare.
In Copertina: Vico dell’Oliva. Foto di Giovanni Cogorno.
Da Piazza di Soziglia si dirama via dei Macelli di Soziglia il cui percorso segue pari pari il tracciato del sottostante rio Susiliae.
In realtà più che una via è uno strettissimo e tortuoso caruggio che ospita ogni genere di attività commerciale, prevalentemente di carattere alimentare, anche se negli ultimi anni si sono diffusi pure negozi di artigianato ed etnici e le pescherie hanno purtroppo chiuso.
Qui oltre ai bezagnini si trovano le macellerie sia tradizionali che specializzate in ovini e caprini, pollame e islamiche.
Numerose poi sono le testimonianze di un antico passato come, ad esempio, all’angolo con Vico Lavagna la settecentesca edicola della Madonna Assunta, o all’altezza del primo piano le ormai rare mampae, le tipiche finestre genovesi caratterizzate da pannelli mobili riflettenti.
All’angolo poi con l’omonima piazzetta si staglia la monumentale edicola di Madonna di Città del XVIII secolo, eretta dalla corporazione dei Beccai (macellai).
Vico Boccanegra fa parte di quella rete di colorati e vivaci caruggi che collegano via Garibaldi con la Maddalena.
Il nome del vicolo omaggia Simone Boccanegra, eletto nel 1339 primo doge di Genova, che qui ebbe I natali.
Proprio nel tratto iniziale della strada lato via Garibaldi davanti a palazzo Tursi sul lato a ponente di palazzo Rosso, si trova un’imponente e monumentale edicola del XVIII sec. che io, in onore del Boccanegra, ho arbitrariamente battezzato l’Edicola del Doge.
In Copertina: Vico Boccanegra. Foto di Giorgio Corallo.
Al civ. n. 116r sul palazzo che un tempo fungeva da dogana si trova la grande edicola barocca di “San Giovanni Battista”.
Sul timpano spezzato il Padre Eterno benedice i passanti con la mano destra mentre con la sinistra regge un mappamondo.
San Giovanni è invece raffigurato nell’atto di preghiera con ai piedi l’agnello di Dio. Quando nel palazzo si sviluppò un indomabile incendio vennero portate qui dalla cattedrale le ceneri del santo e le fiamme d’incanto si spensero. Ritenuta pertanto miracolosa questa grande edicola a tempietto è divenuta nei secoli oggetto di grande devozione.
Alla sua base l’epigrafe: “Nostra Tutela Salve”.
In Copertina: L’Edicola di San Giovanni in Soziglia.
Al civ. n. 10 Piazza di Soziglia ci s’imbatte nell’edicola della “Mater Salutis” un medaglione del 1854 posto a ricordo dell’epidemia di colera che colpì in quell’anno la città ma che risparmiò miracolosamente gli abitanti del palazzo su cui è affissa.
Scolpita dal Cevasco si tratta dell’ultima edicola sicuramente datata innalzata nel centro storico.
Recita così l’epigrafe:
“Il Signore e gli Abitatori di Questa Casa / Cui Parve Grazia dell’Augusta Vergine Salutifera / Il Non Aver Compianto Persona / Tocca Tra Queste Pareti dall’Indica Lue / Con Dispendio Comune il 31 Dic. 1854 / Qui Ne Allogarono La Cara Effige / Condotta da Gio. Batta Cevasco Valente Scultore / Perché Duri Memoria di Tanto Beneficio”.