Via San Bernardo

Le prime notizie sul caruggio risalgono al 1345 quando la strada era chiamata dei “Salvaghi”.

Via San Bernardo assunse l’attuale intitolazione nel ‘600 per via del convento e chiesa, oggi scomparsi, che sorgevano all’angolo con Vico Vegetti al posto dell’edificio occupato dalle scuole.

La chiesa fu costruita sui resti di una precedente dimora nobiliare dei De Marini e nel 1627 divenne anche convento dei monaci Cistersensi Fogliensi.

Nel 1797 gli edifici religiosi vennero sconsacrati e dismessi per poi essere definitivamente demoliti nel 1849, al tempo della repressione piemontese dei bersaglieri del La Marmora.

Malinconico testimone di un tempo che fu è rimasto il campanile inglobato nelle case circostanti.

Di notte illuminato da un lampione il caruggio riposa mentre la pioggia che accarezza il selciato ammanta i colori ocra di una magica patina.

Le gocce di pioggia saltellano sul selciato per non bagnarsi“.


Cit. Roberto Gervaso storico e giornalista.

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Foto di Andrea Robbiano

In Vico Vegetti

Vico Vegetti si snoda in salita con il suo sinuoso percorso.

Pietra e mattonata rossa sono le tipiche caratteristiche della creuza genovese.

All’altezza del civ. n. 8 si nota un’arrugginita insegna, testimonianza di antichi artigiani, della Mutua Assistenza Lavoranti in legno.

Poco più sopra s’intravvede quel che resta della secentesca Madonna della Misericordia, un’edicola – purtroppo – priva della statua marmorea della Vergine, con il tabernacolo a tempietto in pietra nera.

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Foto di Leti Gagge.

Salita della Fava Greca

Il toponimo della fava greca trae origine da un tipo di pianta presente in un giardino in cima alla salita davanti all’archivolto che conduceva all’antico portello delle mura medievali.

Salita della Fava Greca ripresa da Ravecca. Foto di Stefano Eloggi.

Non si è certi del significato ma si ipotizza che con il termine fava greca si identificasse una diffusa tipologia di legume orientale simile alla cicerchia molto usato, a quel tempo, nelle zuppe.

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Foto di Sandro Campanelli.

Vico Cimella

Nell’antico quartiere del Molo, a saper ben guardare, si scoprono scorci assai suggestivi.

È il caso, ad esempio, di Vico Cimella con la sua scenografica sequenza di archetti in laterizio fra i palazzi e il basamento delle mura.

Questi archi avevano la funzione sia di consolidamento delle pareti dei magazzini che quella di ingegnosa condotta per le acque.

L’origine del toponimo Cimella rimanda alla traduzione di Cimiez nome della cittadina natale di San Celso Martire.

Cimiez vicino a Nizza, infatti, era un tempo genovese e il Santo, insieme a Nazario,fu il primo a predicare il Vangelo in Liguria.

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Tra Vico Vegetti e Salita Mascherona

All’angolo fra Vico Vegetti e Salita Mascherona gli evidenti resti, inglobati nel palazzo, di una possente torre, un tempo postazione degli alabardieri, sulla quale campeggia la Madonna Immacolata. Si tratta di un’ottocentesca edicola piuttosto trascurata con un’anonima statuetta della Vergine ricoverata in un malconcio tabernacolo di stucco. Il palazzo ospitava il Convento di Santa Maria la Nuova con relativo ricovero per nobili fanciulle e nel ‘800 venne trasformato in caserma.

Il toponimo della Mascherona trae origine da un’arcaica forma dialettale che indicava la zona sottostante il Castello degradante verso la chiavica, il rivo che scorreva a valle in corrispondenza dell’attuale Via dei Giustiniani.

Vico Vegetti deve invece il nome dell’omonima famiglia che diede i natali al Vescovo Andrea.

A pochi passi Piazza e Via San Bernardo fulcro della movida notturna genovese questo luogo costituisce uno degli snodi più caratteristici dei caruggi genovesi.

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Piazza Stella

Piazza Stella prende il nome dall’omonima colta famiglia di parte ghibellina che diede alla Repubblica notai e storiografi. Tra questi Giorgio, il più celebre, fu illustre annalista continuatore dell’opera del Caffaro. I suoi resoconti coprirono il periodo dal 1290 al 1420 mentre il figlio Giovanni ne riscrisse una parte completandoli fino al 1435.

Nella piazzetta si notano subito le due grandi arcate ogivali in pietra del XIII sec. e il portale in pietra nera del XV – XVI sec  del civ. n. 5. Si tratta della loggia e del portone del palazzo del casato. Scolpito quest’ultimo nel 1506 dal Maestro Giacomo da Campione fu concepito a lesene con medaglioni imperiali e conchiglie alle estremità.

Il fregio dell’architrave presenta al centro l’agnello di Dio e ai lati stemmi abrasi su sfondo floreale.

A fianco il medaglione marmoreo della Madonna della Misericordia con inginocchiato il Beato Botta. L’intelaiatura di contorno è completamente abrasa e rimane solo, sul timpano sicuro dell’edicola, una solitaria testa di angioletto alato.

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Salita San Leonardo

“La mia città dagli amori in salita,
Genova mia di mare tutta scale
e, su dal porto, risucchi di vita
viva fino a raggiungere il crinale
di lamiera dei tetti”.

(Giorgio Caproni)

In questa creuza di Carignano che collega Via Fieschi con il complesso monumentale di S. Ignazio (sede oggi dell’archivio di Stato) nel ‘600 aveva dimora la bottega di Domenico Piola.

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La casa dei Piola. “Hostis abi, Limina Time”. “Nemico Vattene, Temi questa casa” recita il motto sul trave. Foto di Anna Armenise.

 

Chissà quante volte il celebre maestro del Barocco genovese la avrà percorsa affannato e ispirato.

Nel ‘900 ospitò anche la principale sede cittadina del Partito Comunista Italiano.

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Sbirciando i Truogoli

Sopra l’archivolto di Via Balbi 126 a/r la statua marmorea con aureola in ferro di San Giovanni Battista del XVIII sec.  veglia sulla suggestiva Piazza di Santa Brigida. Sbirciando s’intravvede la copertura degli omonimi Truogoli.

I Truogoli originali costruiti a metà seicento non ci sono più. Nella versione in cui li possiamo ammirare noi oggi si presentano in conformazione ridotta e sono stati ricostruiti nel 2006 utilizzando solo porzioni delle vasche originali in pietra. Riedificate anche le strutture di copertura e ripristinata la pavimentazione.

“I Truogoli di Santa Brigida”

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In copertina: Foto di Stefano Eloggi.

Il Sarcofago in Vico del Campanile delle Vigne

Percorrendo il Vico del Campanile delle Vigne, ci si imbatte in uno strepitoso sarcofago del II sec. d.C. raffigurante la morte di Fedra. Nel 1304 venne utilizzato per conservare le spoglie mortali di Anselmo d’Incisa, astronomo, alchimista e medico personale di Papa Bonifacio VIII e di Filippo il Bello, re di Francia.

Trattasi di una fedele  copia poiché il prezioso originale è custodito presso il Museo Diocesano.

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Foto dell’autore.