La strategica via intitolata a Tommaso Reggio, vescovo prima di Ventimiglia e di Genova poi dal 1892 al 1901, è sede di importanti edifici legati al potere e agli intrighi della Genova medievale.
Atmosfere cupe, angoli bui, incolpevoli testimoni, come certificato dalle lapidi di infamia che vi sono affisse, di cospirazioni e congiure contro la Repubblica.
La Grande Bellezza…
In copertina: Via Tommaso Reggio. Foto di Stefano Eloggi.
Scalinata del Laberinto, o del Labirinto che dir si voglia, costituisce singolare quanto caratteristico varco fra le millenarie, nel corso dei secoli poi più volte risistemate, mura delle Grazie.
Nomen omen visto che l’accesso nel dedalo dei caruggi ancora oggi da l’impressione, per chi non è pratico, di un vero e proprio intricato labirinto.
Secondo gli storici ottocenteschi visto che la zona era battuta dalle prostitute, un toponimo dalla genesi moraleggiante e quindi un labirinto di perdizione.
Vi si accede percorrendo Vico di Santa Croce e Salita della Seta. Lo stretto colpo d’occhio all’orizzonte di squarci di azzurro del mare, un tempo era riempito dalle navi mercantili, oggi dalle gigantesche fusoliere delle grandi navi da crociera.
Nel 1974 vi furono girate alcune scene del poliziesco “Genova si ribella” con protagonista Franco Nero.
La Grande Bellezza…
In copertina: Scalinata del Laberinto. Foto di Stefano Eloggi.
Via dei Giustiniani era la chiavica lunga che scendeva dal colle di S. Andrea per sfociare in mare.
A fianco del fossato si alzavano le mura del X secolo demolite intorno all’anno Mille.
I conci in pietra vennero riutilizzati per la costruzione di nuove case. Nel XIV sec., coperta la chiavica, furono demolite le ultime casupole in legno.
Fu allora che i Giustiniani costruirono il loro palazzo e allargarono il caruggio fino a farlo diventare il più importante della città.
Sulla sinistra, più o meno all’altezza dell’incrocio con Vico di S. Rosa, si nota la serranda abbassata (è l’alba) di Sà Pesta uno degli ultimi locali storici che anticamente ospitava magazzini di sale distribuito per usi domestici.
Sale pestato, questo significa il nome tradotto in italiano dal genovese, mantiene il caratteristico forno a legna, i soffitti voltati, piastrelle rigorosamente bianche e pavimenti in graniglia alla genovese.
La Grande Bellezza…
In copertina: Via Giustiniani all’altezza del civ. 16r. Foto di Stefano Eloggi.
L’origine dell’etimo che da origine alla piazza è di natura incerta. Secondo alcuni storici deriverebbe da una famiglia Ferro che abitava la piazza, secondo altri dal nome di un’antica osteria. Molto più probabilmente invece discenderebbe, dai depositi di metalli e dalle botteghe dei fabbri che gravitavano nella zona.
Sulla piazza si affacciano il retro di alcune importanti dimore nobiliari di Via Garibaldi quali palazzo Tobia Pallavicino e il giardino pensile di palazzo Gio. Batta Spinola.
A catturare l’attenzione, oltre all’edicola all’angolo con vico Spada (retro palazzo Pantaleo Spinola) è il singolare il palazzo al civ.3 con il fronte curvo a seguire il dislivello del terreno. Da qui iniziava la salita che conduceva al Castelletto.
In copertina Piazza del Ferro. Foto di Stefano Eloggi.
Da tempo immemore si ha notizia della contrada del Carmine sorta in fondo alla piccola conca naturale di Vallechiara formata dal rio Fossatello che scende dalle Mura delle Chiappe al Righi lungo San Simone e Via Pertinace.
In epoca romana il quartiere era una zona collinare fuori le mura coltivata a vigne e oliveti che si sviluppava sopra il campo militare del Guastato, attuale Piazza dell’Annunziata.
Salita San Bernardino con i resti di una costruzione medievale con grandi archi ogivali in laterizio tamponati, l’omonima Abbazia intitolata a Santa Chiara, rappresenta al meglio il fascino di quei caruggi.
Ma la vera meraviglia è costituita dalla caratteristica pavimentazione in mattoni sulla quale si cammina con il naso all’insù incantati ad ammirare l’intreccio degli archi a sesto abbassati a controspingere le facciate dei palazzi.
Nel medioevo qui avevano sede i magistrati che si occupavano di dirimere le controversie marittime, dai noleggi ai naufragi, dagli atti di pirateria, ai contratti di navigazione.
Sul muro del palazzo a mare, di fronte al civ. n.5, è infatti incastonata un’antica quanto sbrecciata lapide la cui epigrafe recita:
“Avisi per L.Ill.mo MAGISTRATO DEI CONSERVATORI DEL MARE”.
Sotto era presente una nicchia contenente una cassetta in cui imbucare messaggi, lamentele e denunce in un sistema molto simile a quello dei biglietti di Calice di Palazzo Ducale.
Piazza e Vico San Marcellino con l’omonima chiesetta del XIII sec. e il brevissimo tratto di porticato sopraelevato in Sottoripa costituiscono una preziosa quanto rara testimonianza della ripa maris che fu.
La chiesetta era il tempio gentilizio delle potenti famiglie dei Cybo e Piccamiglio.
Il porticato di pochi metri che unisce vico San Marcellino con vico del Campo è l’ultima traccia ancora oggi visibile di quella che un tempo era chiamata Sottoripa la Scura.
La contrada era così detta per via della sua sopraelevazione e per i porticati più bassi, bui e arretrati rispetto alla ripa.
Nella foto si intravedono i resti della loggia del XVI sec. (che fa parte del civ. n. 6 di Ponte Calvi) con finestre a doppia arcata e superbe colonne doriche.
Fin dal ‘300 il borgo di Prè era un piccolo agglomerato agreste di case e chiesette sparse lungo l’asse viario in direzione ponente.
Prè a quel tempo era collegata con il Montegalletto (dove oggi si staglia il castello D’Albertis) e con il bastione di Pietraminuta (attuale Corso Dogali) da una serie di ripide creuze delimitate da modeste casupole in legno.
Nel 1606 con la realizzazione di Strada Grande del Guastato, ovvero via Balbi, la contrada viene stravolta: i campi espropriati, i sentieri cancellati, molte chiese demolite o traslocare.
Ma è nei primi decenni del 800 con la costruzione della ferrovia che taglia il porto fino allo scalo di Caricamento, il borgo assume più o meno la morfologia odierna. Ovvero una lunga e sottile striscia di caruggi e di case aggrappate le une alle altre, strette fra via Balbi a monte e la ferrovia a mare.
Via Prè perde, in concomitanza con l’apertura di via Carlo Alberto (oggi via Gramsci), la sua funzione di transito verso il ponente ma non la sua vocazione commerciale di strada dell’angiporto per antonomasia.
Curiose sono poi le teorie legate all’origine dell’etimo: secondo alcuni Prè significherebbe “Conträ di Prè” Contrada dei prati.
Per altri sarebbe invece da ricondurre al fatto che fosse la zona dove i capitani di galea si spartivano il bottino, la preda.
Salita della Rondinella appartiene a quel gruppo di creuze nella conca di Vallechiara che costituivano la zona di Pastorezza (o Pastorizia) dedicata appunto all’allevamento degli ovini.
La contrada era protetta da una porta turrita minore detta di Pastorezza sita e visibile (in parte) ancor oggi in Salita dell’Acquidotto in corrispondenza dell’odierno Largo della Zecca.
Da qui il toponimo della Rondinella legato al camminamento di ronda sulle mura che seguiva il tracciato dell’acquedotto nel XVI e XVII sec.
Nel corso dei secoli subì successivi troncamenti, ultimo dei quali quello dovuto alla costruzione della Strada Nuovissima (Via Cairoli).
Lo storico Giulio Miscosi nella sua raccolta “I Quartieri di Genova Antica” del 1936 formula una suggestiva ipotesi secondo la quale il toponimo Rondinella deriverebbe dai Rodanim, i mercanti di sale del Rodano che da Genova lo portavano a Ginevra.
Di conseguenza il teagitto della Rondinella sarebbe un tratto della Via del Sale!
In Copertina: Salita della Rondinella. Foto di Leti Gagge.
L’origine del toponimo Mascherona non è chiara. L’ipotesi più plausibile rimanderebbe ad una forma dialettale arcaica con la quale si indicava la zona in pendenza che si dipanava dal Castello a valle verso la chiavica, odierna Via Giustiniani.
Salita Mascherona nel medioevo corteggiava l’antico monastero di N.S. delle Grazie, in seguito divenuto il Consevatorio di Musica con a fianco l’edificio che ospitò la primitiva sede del liceo classico Andrea D’Oria.
La salita, un tempo abbellita da una preziosa fontana marmorea del XVI sec. oggi andata perduta, è stata sede anche di un paio di frequentati teatri:
il primo, ospitato all’interno di un dismesso oratorio, si chiamava Edmondo Rossoni; il secondo, più famoso, al civ. n. 9 era il teatro Andrea Podestà, meglio noto come Teatro del Popolo, attivo fino al 1922
A seguito di scavi nella zona, all’angolo con salita Santa Maria in Passione e relativo archivolto sono emersi importantissimi reperti archeologici di epoca pre-romana, etrusca, romana e medievale.