Piazza Sant’Elena

Senza nulla togliere allo scatto del fotografo vedere piazza Sant’Elena deserta a quelli della mia generazione fa un po’ impressione.

Infatti la piazzetta che deve il suo nome all’omonimo scomparso oratorio di Sant’Elena si affaccia su via Gramsci e dal secondo dopoguerra fino ai primi anni ’90 ospitava il frequentatissimo mercatino di Shangai dove si poteva trovare veramente di tutto, dall’abbigliamento all’elettronica, ai generi di contrabbando ed ogni altro tipo di merce.

Non bastano nei giorni di maggiore afflusso di avventori i tavolini dell’attigua trattoria dell’Acciughetta per lenire la nostalgia del passato.

Mentre scrivo mi sembra di ascoltare ancora il vivace e colorito proporre le proprie mercanzie e il contrattare dei venditori che animavano la piazzetta.

Momenti di vita quotidiana dell’angiporto immortalati anche in una scena in bianco e nero del film “Au dela des Grilles”, ovvero in italiano “le Mura della Malapaga” del 1949 di Renè Clement in cui alle spalle del protagonista Pierre interpretato da Jean Gabin un commerciante vende una saponetta ad un cliente.

Per fortuna gli allegri colori di alcuni edifici della piazza in contrasto con il grigio della pietra mantengono vivido lo sbiadito ricordo in bianco e nero del tempo che fu.

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In copertina Piazza Sant’Elena. Foto di Stefano Eloggi.

Vico Morchi

Vico e piazza Morchio o Morchi devono il nome alla famiglia originaria dei dintorni di Rapallo dal 1350.

Costoro in città possedevano una casa con relativa torre ancora oggi visibile dal lato di Piazza Caricamento.

Nel 1528 con la riforma degli Alberghi voluta da Andrea D’Oria la famiglia fu ascritta in quella dei Giustiniani.

All’angolo con Sottoripa una lapide ricorda che qui aveva sede l’albergo Croce di Malta che ospitò molti personaggi illustri: Fenimore Cooper, Henry James, Mary Shelley, Stendhal, Flaubert, Mark Twain e Giuseppe Verdi.

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In copertina Vico Morchi. Foto di Stefano Eloggi

Salita degli Angeli

Salita degli Angeli con la sua caratteristica mattonata è l’antichissima creuza che collegava la collina di San Benigno con il percorso delle secentesche mura della porta degli Angeli che sorgeva in prossimità dell’omonimo convento con annesso ospitale.

Arrivati in cima alla ripida mulattiera si gode di un panorama mozzafiato che spazia dal Porto Antico a Capo Mele.

Non è certo un luogo turistico di passaggio eppure i colori rosso mattone, rosa pastello e giallo ocra delle case sono gli stessi dei borghi marittimi più celebrati e famosi della Superba e ci raccontano una storia “carica di sale, gonfia di odori”.

Questo proprio perché un tempo anche questi lidi, oggi relativamente distanti dal mare, erano lambiti dalle onde.

Fino all’Ottocento infatti quando cominciarono i riempimenti per l’ampliamento delle strutture portuali, la piazza da cui dipana la salita – come del resto l’intero borgo – aveva il mare a pochi metri di distanza.

Si respirava quindi odore di salmastro ma anche olezzo di cadaveri in attesa di sepoltura.

Tanto è vero che qui in quella che oggi è Piazza Di Negro, sul ciglio del fossato di S. Teodoro, fin dal ‘200 erano collocate le forche e vi si eguivano le impiccagioni.

Il nome della piazza rimanda invece all’omonima famiglia patrizia che qui fece edificare nel XVI secolo la dimora di villeggiatura ancora oggi esistente: villa Di Negro, poi Durazzo, poi Rosazza.

Fra i Di Negro si annoverano numerosi capitani, alcuni ammiragli, parecchi senatori della Repubblica, un doge e un cardinale. Non vanno tuttavia dimenticati l’erudito astrologo e poeta Andalò che fu nel ‘300 maestro di Boccaccio e il letterato marchese Gian Carlo che fece della sua dimora nel ‘700 un apprezzato luogo d’incontro delle migliori menti europee.

La villa era impreziosita da un ampio giardino, scomparso con l’ottocentesca costruzione delle strade che degradava fino alla riva e da uno scenografico parco, ancora esistente, adagiato sulla collina retrostante.

Proprio per la sua privilegiata posizione la villa era detta dello Scoglietto.

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In copertina: Salita degli Angeli. Foto di Leti Gagge.

Piazza dell’Agnello

L’origine del toponimo di Piazza e vico dell’Agnello rimanda alla presenza del bassorilievo che rappresenta l’Agnus Dei posto sopra il civ. n. 9.

L’agnello con il vessillo crociato rappresentava sia il Cristo Redentore che il potere genovese e per questo venne adottato come effigie sulle facciate di molti palazzi nobiliari.

Tale simbolo religioso e politico militare al contempo venne addirittura utilizzato nella seconda metà del XIII secolo come sigillo della Repubblica.

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In copertina: Piazza dell’Agnello. Foto di Leti Gagge.

Piazza De Marini

La piazza deve il nome alla nobile famiglia dei De Marini che qui avevano le proprie dimore.

Ciò si evince dalle cronache della lotta intestina del 1398 tra guelfi e ghibellini in cui questi ultimi bruciarono oltre cinquanta case di cui quattro di proprietà, appunto dei De Marini.

Questo antichissimo casato trae origine da Marino, figlio di Baldo fu Guglielmo, direttamente da Ido Visconti.

Fra i suoi membri annovera Conti (di Gavi), Marchesi (Castelnuovo Scrivia), alcuni cardinali, diversi arcivescovi, numerosi senatori e un doge, Gio Agostino di Gerolamo.

Questa località fuori dalle mura del X secolo era identificata un tempo come contrada dei Marmi o marmorea poiché qui avevano sede i depositi del prezioso materiale appena sbarcato dal porto.

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In copertina: Piazza De Marini. Foto di Stefano Eloggi.

Il Centro Storico

“Trent’anni fa era considerato un pittoresco ghetto con molti monumenti che ne costituivano la sola parte valida da salvare ed evidenziare demolendo il resto. Oggi proprio l’assieme è considerato monumento, da conservare nella sua quasi integrità, perché solo mediante l’assieme vengono trasmessi al contemporaneo i significati storici, artistici, ambientali, mentre alla mutilazione dell’assieme corrisponderebbe la perdita di molti dei significati. E questo si capisce proprio per la correlazione tra forma e contenuto, tra significante e significato”.

Cit Cesare Fera (1922-1995) architetto e ingegnere.

In copertina: tetti del centro storico. Foto di Stefano Eloggi.

Vico delle Fate

Vico delle Fate in realtà fino al 1868 si chiamava vico della Stella. L’intitolazione venne cambiata per non confonderlo con vico Stella, il caruggio dedicato alla celebre famiglia di annalisti nel sestiere della Maddalena.

Guardando la foto a metà sulla destra s’intravede sul portone del civ. n. 3 una grande edicola in stucco, catalogata come Madonna col Bambino. Purtroppo il tabernacolo, gravemente danneggiato, è privo della statua che è stata rubata.

Si ipotizza che il toponimo delle fate sia stato ispirato, vista la presenza in loco delle case chiuse, in omaggio alle signorine che vi esercitavano il mestiere più antico del mondo.

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In copertina: Vico delle Fate. Foto di Giovanni Cogorno.

Vico del Pepe

“Va ciù unn-a grann-a de peivie che unn-a succa”. L’antico adagio la dice lunga sul valore che aveva il pepe nel panorama delle spezie.

Genova contese a lungo senza successo il monopolio del pepe a Venezia e, come si evince dal toponimo, qui stabilì magazzini e rivendite del prezioso aroma.

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Foto di Giovanni Cogorno.

Scurreria la Vecchia

Via di Scurreria detta la Vecchia per non confonderla con la Nuova aperta nel XVI sec. per volontà della famiglia Imperiale, non era altro che l’antica via Scutaria.

Qui avevano sede le officine degli scudai sostituite poi nel tempo dalle botteghe dei setaioli, tessuto per il confezionamenti del quale i toscani erano maestri.

Non a caso la piazzetta dove oggi c’è la farmacia era nota come piazzetta dei Toscani e con lo stesso nome era identificata tutta la contrada.

In Scurreria la Vecchia era inoltre consuetudine dei mercanti toscani stendere a terra stoffe, velluti e arazzi preziosi in concomitanza del passaggio della processione del Corpus Domini.

Qui ebbe bottega anche Paolo da Novi – tintore di stoffe di professione – eletto a furor di popolo nel 1507 primo doge popolare.

Costui capeggiò la ribellione che nello stesso anno mise in fuga il governatore francese e la principale famiglia cittadina sostenitrice di Luigi XII, quella dei Fieschi.

Purtroppo per i ribelli il re i suoi seguaci in due mesi riconquistarono il potere. Il doge venne rinchiuso nella torre del Popolo, o Grimaldina che dir si voglia, e pubblicamente giustiziato per decapitazione davanti a palazzo ducale il 10 luglio 1507.

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In copertina: Scurreria la Vecchia. Foto di Stefano Eloggi.

Vico del Pomino

Qui un tempo la contrada era tappezzata dagli orti di Banchi.

E’ lecito dunque pensare che l’origine del toponimo del Pomino, che per altro sfocia in Vico delle Mele, sia da ricondurre alla presenza in loco di qualche albero del succoso frutto.

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In copertina: Vico del Pomino. Foto di Giorgio Corallo.