Vico della Scienza

Non si ha certa cognizione dell’origine del toponimo di Vico della Scienza. Si suppone però che qui avesse sede la corporazione della scienza che includeva sia medici e speziali, che filosofi, letterati e matematici.

Al civ. n. 11 si trova un antichissimo sovrapporta in pietra nera di promontorio con due scudi abrasi e il trigramma di Cristo IHS, introdotto a Genova da San Bernardino, in caratteri gotici.

La Grande Bellezza…

In copertina: Vico della Scienza. Foto di Giovanni Cogorno.

Vico delle Compere

Quel breve caruggio di nome Vico delle Compere che da Sottoripa collega Piazza De Marini con Banchi non ha alcun nesso con lo shopping.

Il toponimo delle Compere rimanda infatti all’ingegnoso sistema economico fondato sul concetto di prestito pubblico con il quale i genovesi finanziavano imprese militari e opere di interesse comune.

Qui, negli scagni del vicoletto, avvenivano dunque le transazioni finanziarie che a partire dal 1407, anno della sua fondazione, verranno poi accorpate sotto il nome di Compere del Banco di San Giorgio.

All’altezza del civ. n. 2 si notano ancora le tracce di un antico porticato in pietra decorato con archetti e sovrapporta in pietra nera con il trigramma di Cristo e due fregi e riccioli con iscritte le lettere B e P.

La Grande Bellezza…

In copertina: Vico delle Compere. Foto di Stefano Eloggi.

Vico del Sale

All’angolo con Piazza Stella si trova il Vico del Sale. Qui e nel vicino quartiere del Molo e in Darsena davanti a Porta dei Vacca, la Repubblica aveva infatti i propri magazzini di stoccaggio e rivendita del sale.

Genova, in virtù della produzione autoctona e dei suoi possedimenti sardi, ne aveva praticamente il monopolio nel Tirreno. Monopolio rafforzato inoltre dai carichi provenienti dalla Provenza e dalle Baleari.

Fu questo uno dei motivi per cui nel 1684 re Sole, con l’obiettivo di favorire Savona in questo commercio, bombardò la Superba diventando protagonista di una delle pagine più tristi della nostra millenaria storia.

Il sale come elemento di conservazione degli alimenti e in cucina era infatti talmente importante che la Repubblica aveva istituito presso San Giorgio un’apposita magistratura di otto membri che si occupava di contrattare il costo delle partite acquistate, di stabilirne il prezzo di rivendita, di riscuotere le gabelle e in generale di legiferare in materia.

Magazzini del sale del XIII sec. in Vico Palla nel quartiere del Molo. Foto di Jolanda Giorgi.

Se da un lato era infatti obbligo dei consoli acquistare tutti i carichi degli importatori che facevano scalo a Genova, dall’altro le tasse sul minerale erano per le casse della Repubblica le più elevate e remunerative in assoluto.

Dal porto partivano così carovane di muli che da Voltri percorrendo la via – detta appunto del sale – rifornivano anche il Piemonte e la Lombardia del prezioso minerale.

In copertina: Magazzini del sale in Vico del Sale. Foto di Leti Gagge.

Le curiose ceramiche del campanile della Commenda

Sul campanile della Commenda di San Giovanni di Pre’ sono incastonate delle curiose decorazioni. Tali ornamenti sono composti da forme di ceramica invetrata smaltata e colorata.

Si tratta per lo più di piatti e catini che, come con suetudine nell’area mediterranea al tempo delle Crociate, stavano ad indicare che in quel luogo si poteva ricevere ristoro e ospitalità.

Secondo alcuni esperti i bacini ceramici -questo il loro nome in gergo tecnico – non erano altro che vasellami donati da pellegrini o crociati come ringraziamento al termine della propria degenzenza.

La maggior parte di questi manufatti era di fattura islamica e ciò – ad altri studiosi- ha fatto ipotizzare che fossero prede di guerra e avessero la funzione di bottino da ostentare.

Un’altra corrente di ricercatori invece sostiene che i catini costituissero solo elementi decorativi. Poco cambia poi che fossero previsti già in fase progettuale o aggiunti, in appositi spazi dedicati, in momenti succesivi.

Altri infine, molto più pragmaticamente, propendono per una versione di natura economica: tali elementi decorativi erano infatti meno costosi rispetto ad altri materiali quali marmi o pietre preziose e pertanto più accessibili durante gli scambi commerciali con i musulmani.

In copertina: le ceramiche del campanile della Commenda. Foto di Leti Gagge.

Vico del Fieno

Ubi fenum ponderatur, ovvero dove veniva pesato il fieno.

Nasce così, in una contrada che, fin dal XII secolo ricca di scuderie, necessitava di continuo foraggio per gli animali, il toponimo di Vico del Fieno.

In epoca successiva il caruggio veniva popolarmente identificato come il caröggio di camalli.

Si tratta di un caruggio poco noto ma onusto di significative testimonianze del passato: portali, portalini, edicole votive, medaglioni e archetti sono presenti un po’ ovunque.

In particolare al civ. n. 9r, edificio del XVII appartenuto alla nobile famiglia De Fornari e demolito dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, nel 1751 venne istituita l’Accademia Ligustica di Belle Arti.

Del palazzo originario resta visibile, affacciata su vico della Neve, la loggia.

In primo piano nella foto al civ 18 si trova, nei suggestivi locali liberty di un ex bordello, il ristorante I Cuochi uno dei più rinomati del centro storico.

La Grande Bellezza…

In copertina: Vico del Fieno. Foto di Maria De Mattia.

La Fontana dei Cannoni

La Fontana detta dei “Cannoni del Molo”, sovrastata dall’edicola di San Giovanni Battista, era una delle stazioni terminali dell’acquedotto storico.

A tale cisterna risalente al 1634 erano collegati i tubi, un tempo chiamati “cannoni” che distribuivano l’acqua alle fontane pubbliche.

I cannoni, a differenza dei più evoluti bronzini dotati di valvola, erano forniti solo di tappi costruiti in marmo o ceramica, o ferro.

Proprio accanto al piccolo tempio si notano due listelle di marmo incastinate nelle pietre con numerazione araba e romana. Sotto s’intuisce la bocca marmorea, oggi occlusa, di uno di questi cannoni.

In copertina: la fontana dei Cannoni. Foto di Leti Gagge.

Vico della Croce Bianca

Il caruggio situato nel cuore del ghetto ebraico ha origine antichissime, addirittura antecedenti l’erezione delle Mura del Barbarossa nel 1155.

L’origine del toponimo rimanda alla presenza documentata di un’omonima locanda che vi aveva sede fin dal 1613.

Il locale era assai noto e frequentato in città a tal punto che nel 1746 era tappa fissa delle compagnie di giro.

A quel tempo il proprietario era tal Gian Giacomo Ghiglione, gestore anche di un’altra famosa locanda, quella del Falcone che darà origine all’omonimo teatro, oggi inglobato nel Palazzo Reale di Via Balbi.

Alla locanda di Vico della Croce Bianca è legato anche un curioso fatto storico con protagonista un suo garzone di nome Giovanni Carbone.

Questi prese parte alla sommossa del 6 dicembre 1746 che portò alla cacciata degli Austriaci.
Partecipò, agli ordini del Capitano T. Assereto, alla temeraria azione di riconquista di Porta S. Tommaso, occupata dai nemici.
Il Popolo insorse, uomini, donne e bambini si batterono per le strade per liberare la città dall’invasore straniero.
Il Carbone, con azione spregiudicata, recuperò le chiavi della Porta e, fra il tripudio della folla, le consegnò personalmente al Doge con l’ingenua raccomandazione “di stare più attento e di non smarrire più le chiavi della Città”.
L’episodio è narrato nella lapide posta al civico n.29 di Via Gramsci.

In copertina: Vico della Croce Bianca. Foto di Roberto Crisci.

Vico Falamonica

Tra Vico Doria e vico Falamonica affacciato proprio sulla Piazza di San Matteo si trova al civ. n. 1 il palazzo Doria Centurione.

L’edificio è appartenuto anche a quel Branca Doria inserito ancor vivo da Dante Alighieri nel penultimo canto dell’Inferno nella zona tolomea, quella dei traditori degli ospiti.

Branca aveva infatti ucciso il suocero Michele Zanchè che si era rifiutato di concedergli la cospicua dote della figlia Caterina.

Secondo il Poeta gigliato il corpo del patrizio genovese sarà posseduto in terra da un diavolo e a lui è rivolta la celebre invettiva: “Ahi  Genovesi, d’ogni costume e pien  d’ogni magagna, perché non siete voi del mondo spersi?”. Versi 151-153 del XXXIII canto dell’Inferno.

A metà del caruggio sulla destra del caruggio si nota l’insegna “Cook” del celebre cuoco stellato Ivano Ricchebono.

L’origine del toponimo di Vico Falamonica è ignota. Assolutamente fantasiosa e priva di fondamento è infatti la versione che racconterebbe di una giovane fanciulla della famiglia Doria costretta a prendere i voti e quindi da qui, l’intitolazione Falamonica.

In copertina: Vico Falamonica. Foto di Stefano Eloggi.

Portone Piazza Pinelli n. 1

Al civ. n 1 di Piazza Pinelli è possibile ammirare uno splendido portone in pietra con semi colonne doriche in marmo.

Il trave in pietra nera è impreziosito da decorazioni con elmi e clipei marmorei.

Come altri nell’omonima piazza il palazzo è proprietà della famiglia di origine germanica e di fede ghibellina dei Pinelli, fondatori dell’albergo nobiliare degli Scipionibus.

Il portone è in ferro battuto con borchie e baracchino decorato.

Sulla facciata del palazzo sono ancora visibili cospicue porzioni dei colorati affreschi secentesche che lo decoravano.

In copertina: Portone di Palazzo Pinelli. n. 1.

Foto di Leti Gagge.