Tra Vico Doria e vico Falamonica affacciato proprio sulla Piazza di San Matteo si trova al civ. n. 1 il palazzo Doria Centurione.
L’edificio è appartenuto anche a quel Branca Doria inserito ancor vivo da Dante Alighieri nel penultimo canto dell’Inferno nella zona tolomea, quella dei traditori degli ospiti.
Branca aveva infatti ucciso il suocero Michele Zanchè che si era rifiutato di concedergli la cospicua dote della figlia Caterina.
Secondo il Poeta gigliato il corpo del patrizio genovese sarà posseduto in terra da un diavolo e a lui è rivolta la celebre invettiva: “Ahi Genovesi, d’ogni costume e pien d’ogni magagna, perché non siete voi del mondo spersi?”. Versi 151-153 del XXXIII canto dell’Inferno.
A metà del caruggio sulla destra del caruggio si nota l’insegna “Cook” del celebre cuoco stellato Ivano Ricchebono.
L’origine del toponimo di Vico Falamonica è ignota. Assolutamente fantasiosa e priva di fondamento è infatti la versione che racconterebbe di una giovane fanciulla della famiglia Doria costretta a prendere i voti e quindi da qui, l’intitolazione Falamonica.
In copertina: Vico Falamonica. Foto di Stefano Eloggi.
Nel 1909 l’architetto Gaetano Poggi modificò le scale di accesso e sostituì con ringhiere in ferro, il muretto al quale venivano legati i cavalli. La sproporzionata scalinata al sagrato fuinvece l’ultimo, fallito tentativo, di Orlando Grosso di risistemazione degli spazi.
La piazza non ospita solo la chiesa e il chiostro ma, essendone la roccaforte, anche le principali dimore dei più importanti esponenti del casato:
Al civ. 16 Palazzo Domenicaccio Doria del XIV sec. con la loggia a tre arcate a sesto acuto, oggi tamponate. Alle originarie triforedel piano nobile sono state sostituite tre normali finestre con relativi balconetti del XVII sec.
Al civ. 15 Palazzo Lamba Doria l’unico con il porticato aperto sulla piazza. Per un certo periodo le quadrifore vennero chiuseperché gli spazi vennero destinati alle botteghe. In seguito ai bombardamenti del 1942 restò in piedi solo la facciata e venne recuperato e restaurato a partire dal 1950.
Al civ. 17 Palazzo Andrea Doria donato dalla Repubblica all’ammiraglio riconosciuto come “Padre della Patria” per averla liberata dall’occupazione francese. Il prestigioso portale di scuola toscana è per taluni opera di Niccolò da Corte e Gian Giacomo della Porta per altri, di Michele D’Aria e Giovanni da Campione. Ricco di animali esotici e fantastici quali pavoni, lucertole, teste di montoni e leoni, sirene danzanti, uccelli che beccano fiori, grifoni, pesci mostruosi e altri animaletti.
Sopra l’architrave è scolpita l’epigrafe relativa alla donazione: “Senat. Cons Andreae De Oria PatriaeLiberatori Munus Publicum”.
Il palazzo fu fatto costruire nel 1460 da Lazzaro Doriafatto testimoniato dal sovrapportanell’atrio, in pietra di Promontorio del 1480raffigurante, in omaggio al committente, la Resurrezione di Lazzaro. Al suo interno alcune parti sono ricoperte in azulejos, il rivestimento di stile moresco, molto in voga in quegli anni e molto apprezzato dal Signore del mare. In realtà il Principe non abitò mai in questa dimora perché preferì la strategica e scenografica Villa che si era fatto costruire, appena fuori dalle mura, in località Fassolo.
Al civ. 13 Palazzo Branca Doria da cui si accede al chiostro. Dante rese famoso Branca per averlo messo, ancora vivo, all’Inferno reo di aver ucciso il suocero Michele Zanchè che si era rifiutato di concedergli la cospicua dote della figlia Caterina. Secondo il Poeta gigliato il corpo del patrizio genovese sarà posseduto in terra da un diavolo e a lui è rivolta la celebre invettiva: “AhiGenovesi, d’ogni costume e piend’ogni magagna, perché non siete voi del mondo spersi?”. Versi 151-153 del XXXIII canto dell’Inferno.
Al civ. 19 della Salita ecco Palazzo Doria Danovaro con la copia dello splendido sovrapporta di S. Giorgio che uccide il Drago. L’originale è stato rubato.
Per chiudere in bellezza all civ. 1 di Via Chiossone si può ammirare il raffinato portale con il “Trionfo dei Doria” del XV sec., opera di Elia Gagini.
Al centro un carro ornato di ghirlande con due guerrieri che reggono lo scudo araldico del casato. Il carro è trainato da centauri che impugnano l’insegna del comando. Dietro al centauro un putto alato e, sotto fra le zampe, un cagnolino. Sullo sfondo due soldati con angioletti alati spingono il barroccio. Al centro della cornice il trigramma di Cristo.
Franco Battiato ancora non era natoquando i Doriaavevano già fatto loro Il verso della “Cura” del cantautore catanese “Più veloci di aquile imiei sogni attraversano il mare”… Visto che i loro sogni di gloria le aquile genovesi li avevano già ottenuti dettando legge in tutti i mari!
In Copertina: Piazza e chiesa di San Matte. Foto di Stefano Eloggi.
L’antica abbazia fu fondata nel 1125 da Martino Doria che, rimasto vedovo, prese i voti presso il cenobio di Capodimonte e stabilì che la nuova chiesa, a questo dovesse rimanere soggetta.
Come per l’abbazia di S. Fruttuoso anche per quella di S. Matteo i Doria, divenuta nel frattempo dominio gentilizio, si riservarono il perpetuo diritto di nomina dell’Abate.
Professando la famiglia Doria “Illi de Auria” (quelli della porta aurea) a ridosso della Porta Aurea il mestiere dei gabellieri la intitolarono a S. Matteo riscossore di tasse e, quindi, lo assursero a loro patrono.
Il nuovo luogo di culto venne consacrato nel 1132 alla presenzadel Vescovo Siro II e del Papa Innocenzo II.
Nonostante la vicinanza alla Cattedrale, il prestigio di questi illustri padrini, conferma l’importanza di questo edificio e la potenza della schiatta dei Doria.
La costruzione in stile romanico venne completamente rivisitata nel 1278 in chiave gotica.Risalgono a quest’epoca sia l’arretramento della facciata che la sopraelevazione della piazza.
Fra il 1308 e il 1310 venne infine realizzato, come testimoniato dall’incisione “MCCCVIII Aprilis Magister Marcus Venetus FecitHoc Opus”, per mano di un maestro veneto anche lo splendido attiguo chiostro, oggi proprietà privatadell’Ordine degli Architetti.
Costruita in marmo bianco di Carrara e pietra nera di Promontorio, privilegio concesso solo ai Doria, Fieschi, Spinola e Grimaldi, reca incise sui blocchi bianchi le grandi imprese degli ammiragli della casata.
A metà del ‘500 Andrea Doria affidò al Montorsoli la ristrutturazione della chiesa, nello specifico di cupola e presbiterio. Particolare riguardo ebbe l’artista fiorentino nel concepimento della cripta che costituirà sepolcro e monumento funebre dell’ammiraglio e dei suoi cari. Negli interventi decorativi venne coinvolto anche Luca Cambiaso che dipinse episodi della vita del santo. La chiesa sempre più fuse e sovrappose i precedenti stili evolvendoin chiave rinascimentale prima e barocca poi.
In facciata, pezzo unico del genere nella nostra città, merita menzione il mosaico che raffigura S. Matteoopera di maestranze venete del XIII sec.
Sempre nel prospetto principale è inserito un sarcofago romano che illustra “L’allegoria dell’autunno”, in cui è sepolto Lamba Doria, l’eroe della battaglia di Curzola nel 1298 quando i genovesi sconfissero i veneziani. In quell’occasione venne catturato Marco Polo e condotto nelle galere patrie di palazzo S. Giorgio dove dettò a Rustichello da Pisa, il suo celebre “Milione“. La lapide posta sotto il sarcofago recita: “Hic Iacet Lambe De Auria Dignis Meritis Capitaneus et Admiratus Comunis et Populi Ianue Qui Anno Domini MCCXXXXXVIII die VII Septembris Divina Favente Gratia Venetos Superavit et Obiit MCCCXXIII die XVII Octuber”.
Come testimoniato da un’altra epigrafe conservata nel chiostro Lamba catturò anche l’ammiraglio nemico, il temutissimo Dandolo, distrusse 84 navi e fece 7400 prigionieri:
“Ad Honorem Dei et Beate Verginis Marie Anno MCCLXXXXVIII die Dominico VII September Iste Angelus Captus Fuit in Gulfo Venetiarum in Civitate Scurzole et Ibidem Fuit Prelium GalearumLXXXVI Ianuensium cum Galeis LXXXXVI Veneciarum Capte FueruntLXXXIIII per Nobilem Virum Dominum Lambam Aurie Capitaneum et Admiratum Tunc Comunis et Populi Ianue cum Omnibus Existentibus in Eisdem de Quibus Conduxit Ianue Homines Vivos Carceratos VIIMCCCC et Galeas XVIII Reliquas LXVI Fecit Cumburi in Dicto Gulfo Veneciarum Qui Obiit Sagone in MCCCXXIII”.
All’ interno della chiesa sono custodite opere di pregio quali, nella navata centrale “il Miracolo del dragone d’Etiopia” di Luca Cambiaso e la “Vocazione di S. Matteo” di G.B. Castello. Sull’altare di destra risalta una “Sacra Famiglia” di Bernardo Castello e, a sinistra, un “Cristo tra i santi e i donatori” di Andrea Semino.
Sotto l’altare maggiore, in corrispondenza della cripta, è custodita in una teca fedele copia della spada di “difensore della Cristianità” che Andrea Doria ricevette in dono da Papa Paolo III. L’originale venne rubata a metà del ‘500 e ne venne recuperata solo la lama. Dell’elsa incastonata di pietre preziose non se ne seppe più nulla.
Nella navata di sinistra si trova invece uno dei capolavori del Maragliano, la “Deposizione di Gesù nel sepolcro”.
Insieme alla cripta il Montorsoli decorò di statue anche l’abside. Nel sepolcro accanto all’ammiraglio riposano la moglie Peretta e il nipote Giannettino, l’erede vittima della congiura dei Fieschi.
Oltre ai già citati Lamba e Andrea, qui sono sepolti Oberto, il vincitore dei pisani alla Meloria nel 1284, Luciano dei veneti a Pola nel 1380, Filippino dominatore degli spagnoli e Pagano anch’egli trionfatore sui veneziani.
Per gli amanti della musica particolare interesse riscuote, collocato in corrispondenza del transetto sinistro, l’organo tardo settecentesco di scuola romana.
All’interno ecco il chiostro progettato da un artista veneto, probabilmente prigioniero di guerra, in cui sono conservate numerose lastre e lapidi tombali della casata provenienti dal demolito convento di S .Domenico chesi trovava un tempo nella zona occupata dall’attuale teatro Carlo Felice.
Una tomba fatta costruire a metà del ‘300 racchiude le spoglie, restituite poi nel 1934, dei martiri Mauro ed Eleuterio patroni di Parenzo e trafugati dai Doria agli istriani.
Una lapide racconta di Oberto che il 6 agosto del 1284 fece prigionieri l’ammiraglio veneziano al comando dei pisani, il Morosini e il figlio del Conte Ugolino nonché della solenne consegna dello stendardo della capitana pisana nella chiesa:
“In Nomine Individue Trinitatis Anno Domini MCCLXXXIIII Die VI Augustis Egregius PotensDominus ObertusDe Auria Tunc Capitaneus et Admiratus Comunis et Populi Ianuensis in Portu Pisano Triunfavit de Pisanis Capiendo ex eis Galeas XXXIII et VII Submersis et Ceteris Fugatis Multisque Ipsorum Murtuis Ianuam Reversus Fuit Cum Maxima MultitudineCarceratorum Ita Qui Tunc VIII MiliaCCLXXII Carceribus Ianue Fuerunt Inventi in Quibus fuit Captus Albertus Molexinus de Veneciis Tunc Potestas et Dominus Generalis Guerre Comunis Pisarum cum Stantario Dicti Comunis Capto per Galeas Illorum De Auria et in hac Ecclexia Asportato cum Sigilo Dicti Comunis et Loto Quondam Comitis Ugolini et Magna ParsNobilitatis Pisarum”.
Una seconda lapide riferisce della distruzione di Porto Pisano avvenuta il10 settembre 1290, per mano di Corrado:
“MCCLXXXX Die X Septembris Conradus Auria Capitaneus et AdmiratusReipublice Ianuensis Destruxit Portum Pisanum”.
Un’epigrafe è dedicata a Pagano che nel 1352 a Costantinopoli e nel 1354 a Parenzo sconfisse le flotte veneziane-catalane e che, insieme al cospicuo bottino, prese le reliquie dei martiri Mauro ed Eleuterio:
“Ad Honorem Dei et Beate Marie MCCCCLII die VIII Marcii Nobilis vir Dominus Paganus De Auria Admiratus Comunis et Populi Ianue cum Galeis LX Ianuensium Prope Costantinopolim Strenue Preliando cum Galeis LXXXCatalanorum Gregorum et Venetorum de Omnibus Campum et Victoriam Otinuit Idem Eciam Dominus Paganus MCCCClIII die III Novembriscum Galeis XXXV Ianuensium in Insula Sapiencie in Portu Longo Debelavit et Cepit Galeas XXXVI cum Navibus III Venetiarum et Conduxit Ianuam Vivos Carceratos VMCCC cum Eurom Capitaneo”.
Ancora un’altra iscrizione ricorda Luciano vincitore a Pola nel 1380, dove perse la vita in mare, dei veneti:
“Ad Honorem Dei et Beate Marie MCCCLXXVIII die V Madii in Gulfo Veneciarum Prope Polam Fuit Prelium Galearum Ianuensium cum Galeis XXII Veneciarum in Quibus Erant Homines Arnorum CCCCLXXV et Quam Plures Alii de Pola Ultra Ihusman Dictarum Galearum de Quibus Galeis Capte Fuerunt XVI cum Hominibus Existentibus in Eisdem per NobilemDominum Lucianum De Auria Capitaneum Generalem Comunis Ianue Qui in Eodem Prelio Mortem Strenue Belando Sustinuit que Galee XVI Venetorum Conducte Fuerunt in Civitatem Jadrae cum Omnibus Carceratis IIMCCCCVII”.
Un’ultima lapide annovera fra i grandi anche Filippo che, nel 1528 al comando della flotta affidatagli da Andrea, per conto dei francesi schiantò gli spagnoli nel golfo di Napoli.
“Deo Optimo Maximo Philippus Doria Comes Vestigia Majorum Sequens sub Vexillo Francisci Primi Francorum Regis Christianissimi pro Praefecto Triremes Andreae Avuncoli in Regno Siciliae Citra Duxit in Sinu Salernitan cum Hostium Triremibus Legitime Felicissimeque Vario Marte Conflixit Gloriosam Tandem Mirabilenque Victoriam Deo Auspice Adeptus est MDXXVIII Aprilis Maxime Virtutis Monumenti”.
In copertina Piazza e chiesa di San Matteo. Foto di Stefano Eloggi.