A Genova con la parola “Albergo” si identificava una consorteria nobiliare.
La nascita di tale istituto prese spunto dalla Compagna e curava gli interessi dei nobili.
Di contro i popolani costituirono le loro forme associative, chiamandole “Conestagie”.
Il primo esempio di Albergo risale al 1346 ed è quello della Maona (che in arabo significa “indennizzo”) dei Giustiniani.
Numerose famiglie signorili si riunirono allora sotto un unico cognome, formando una sorta di clan, il cui pretesto era raccogliere investimenti e risorse per conquistare territori da cedere poi, previo compenso, alla Repubblica.
Nel ‘400 gli Alberghi aumentarono il loro raggio d’azione assumendo anche rilevanza politica.
Nel 1528 Andrea Doria diede loro pieno riconoscimento giuridico e ratificò la tradizione di rinunciare al proprio cognome a favore di quello dell’Albergo prescelto.
La riforma dell’ammiraglio ne limitò il numero a ventiquattro:
Calvi, Cattaneo, Centurione, Cibo, Cicala, Doria, Fieschi, Gentile, Grillo, Grimaldi, Imperiale, Interiano, Lercari, Lomellino, De Marini, Di Negro, Negrone, Pallavicino, Pinelli, Salvaghi, Spinola, Usodimare e Vivaldi.
A queste famiglie dalla nobiltà di origine feudale si aggiunse la ventiquattresima di provenienza popolare, i De Fornari.
Nei decenni successivi si unirono, portando il numero a ventotto, altre quattro casate popolari:
Giustiniani, Promontori, Sauli e De Franchi.
Già nel 1576 una nuova riforma, di fatto, ne decretò la fine, limitandone l’autonomia politica e imprenditoriale.
In sostanza con la scomparsa degli Alberghi cessò, in favore di quella bancaria e finanziaria, la componente commerciale e mercantile che così ricca aveva reso Genova.
Nel ‘600 i nobili Genovesi scelsero una nuova forma associativa più consona alle nuove esigenze iscrivendosi nel “Libro d’oro”.
Libro che, con la Costituzione della Repubblica democratica incoraggiata da Napoleone, venne bruciato pubblicamente come vituperato simbolo del secolare potere oligarchico.
La nascita di tale istituto prese spunto dalla Compagna e curava gli interessi dei nobili.
Di contro i popolani costituirono le loro forme associative, chiamandole “Conestagie”.
Il primo esempio di Albergo risale al 1346 ed è quello della Maona (che in arabo significa “indennizzo”) dei Giustiniani.
Numerose famiglie signorili si riunirono allora sotto un unico cognome, formando una sorta di clan, il cui pretesto era raccogliere investimenti e risorse per conquistare territori da cedere poi, previo compenso, alla Repubblica.
Nel ‘400 gli Alberghi aumentarono il loro raggio d’azione assumendo anche rilevanza politica.
Nel 1528 Andrea Doria diede loro pieno riconoscimento giuridico e ratificò la tradizione di rinunciare al proprio cognome a favore di quello dell’Albergo prescelto.
La riforma dell’ammiraglio ne limitò il numero a ventiquattro:
Calvi, Cattaneo, Centurione, Cibo, Cicala, Doria, Fieschi, Gentile, Grillo, Grimaldi, Imperiale, Interiano, Lercari, Lomellino, De Marini, Di Negro, Negrone, Pallavicino, Pinelli, Salvaghi, Spinola, Usodimare e Vivaldi.
A queste famiglie dalla nobiltà di origine feudale si aggiunse la ventiquattresima di provenienza popolare, i De Fornari.
Nei decenni successivi si unirono, portando il numero a ventotto, altre quattro casate popolari:
Giustiniani, Promontori, Sauli e De Franchi.
Già nel 1576 una nuova riforma, di fatto, ne decretò la fine, limitandone l’autonomia politica e imprenditoriale.
In sostanza con la scomparsa degli Alberghi cessò, in favore di quella bancaria e finanziaria, la componente commerciale e mercantile che così ricca aveva reso Genova.
Nel ‘600 i nobili Genovesi scelsero una nuova forma associativa più consona alle nuove esigenze iscrivendosi nel “Libro d’oro”.
Libro che, con la Costituzione della Repubblica democratica incoraggiata da Napoleone, venne bruciato pubblicamente come vituperato simbolo del secolare potere oligarchico.