Presso località Benedicta, vicino alla Capanne di Marcarolo nel territorio di Bosio, fra il 6 e l’11 aprile 1944, la Guardia Nazionale fascista e i militi tedeschi trucidarono 75 partigiani. Quattro compagnie della Guardia Repubblicana ed un corpo di granatieri di stanza a Bolzaneto accerchiarono la zona presidiata da due Brigate partigiane, la terza garibaldina di Genova, e quella autonoma di Alessandria. Partendo da Busalla, Pontedecimo, Masone, Campo Ligure, Lerma, strinsero il cerchio. Mentre la prima tentò, dividendosi in piccoli gruppi, di rompere l’assedio con azioni di coraggiosa guerriglia, la seconda male armata, si rifugiò nel Monastero di Voltaggio che venne minato e fatto esplodere. Il nucleo fondante era costituito da ex prigionieri fuggiti dai campi di concentramento e da gente dei dintorni, una quarantina di persone in tutto. In seguito si aggiunsero un centinaio di giovani che si erano rifiutati di arruolarsi nelle fila della Repubblica di Salò e si erano accampati nei pressi di un casolare, la cascina della Benedicta. Erano quasi tutti disarmati e rispondevano al comando del Capitano Odino che si era subito messo in contatto con il CNL comunicando la formazione di una nuova brigata a cui necessitavano armi e aiuto. Fu una carneficina i fedelissimi di Odino avevano cercato riparo in un anfratto del monte Tobbio, noto come la Tana del Lupo, traditi dall’abbaiare di un cane che si erano portati dietro, vennero scovati e costretti alla resa. Accerchiati dai repubblichini via via, fu la volta di tutti gli altri ragazzi che si erano sparpagliati in cerca di scampo, di arrendersi al nemico. Subito la maggior parte venne massacrata lungo il torrente Tobbio, i rimanenti ammassati nel cascinale furono successivamente fucilati a Voltaggio, Bagnara e sul Turchino. Il 19 maggio circa un mese dopo, infatti, altri 17 partigiani furono fucilati insieme ad altri 42 prigionieri sul Passo del Turchino come atto di rappresaglia contro l’attentato al cinema Odeon a Genova che era costato la vita a diversi ufficiali della Wehrmacht. Queste efferate dimostrazioni di forza da parte di tedeschi e fascisti anziché spegnere gli ardori dei ribelli, ottennero l’effetto opposto infondendo nuova linfa alla lotta di liberazione. La Brigata partigiana della Val Polcevera si adoperò per recuperare i corpi dei fratelli massacrati e per dare loro degna sepoltura.
Così, prima ancora di combattere, morirono i ragazzi disarmati e inermi della Brigata di Odino, sotto gli occhi impotenti e inorriditi dei contadini della zona. Settandadue uomini caddero sul campo in seguito agli scontri e alla deflagrazione del Monastero. Settantacinque partigiani vennero fucilati sommariamente sul posto dal plotone dei granatieri di Bolzaneto agli ordini di un ufficiale tedesco e gettati, insieme agli altri 72, in una fossa comune. L’unico a salvarsi e ci racconta egli stesso come, fu proprio il comandante Ennio Odino che nel suo “CriK in W. Valsesia, La Resistenza in provincia di Alessandria ricorda”: “Alle tane del lupo, tranne qualche morto fummo presi tutti: eravamo quasi duecento. Alla luce dei bengala ci accompagnarono, con le mani alla nuca e in fila indiana, alla Benedicta (…). Arrivati lì, fummo immediatamente rinchiusi tutti, feriti e non, nella cappelletta che era a sinistra, a piano terra per chi entrava nel cortile. Il mattino successivo (…) fummo chiamati a cinque per volta fuori dalla chiesetta nel cortile interno della cascina. (…) Io ricordo che ero il quinto del gruppo, dal 21 l 25, e sulla destra scendendo, venti metri prima della piccola cappella che esiste attualmente, notai cinque di Serravalle, tutti imbrattati di sangue. (…) Continuammo a scendere e arrivammo dov’è attualmente la cappelletta, di fronte alla quale, al di là della piccola valle, poco più in alto dov’è oggi una piccola croce, notai alcuni bersaglieri, otto o dieci, armati con dei moschetti. Dov’è la cappelletta ci fecero fermare e ci spararono addosso… Io dovevo sostenere un compagno che la sera prima, alle tane del lupo., era stato ferito ad un ginocchio. Questo fatto mi salvò (…) Caddi come altri a terra e il compagno che sorreggevo mi venne addosso e mi sporcò di sangue tutta la faccia. Rimasi lì immobile e sentii alcune raffiche di machine-pistole fischiarmi alle orecchie: erano i colpi di grazia che un tedesco delle SS dava a coloro che non erano morti e si lamentavano per il dolore delle ferite subite. Fu il momento più terribile della mia vita. (…) si sentì sparare dall’alto della collina: era il gruppo di Leo che pur sapendo che i colpi non sarebbero neppure arrivati fin lì, aveva cercato per lo meno di creare allarme fra il plotone di esecuzione composto di bersaglieri di stanza a Bolzaneto, e fra i tedeschi. Infatti coloro che li comandavano diedero ordine di ritirarsi all’interno della Benedicta e io, dopo qualche minuto, scivolai fuori dal gruppo di fucilati e salii attraverso il ruscello”. I prigionieri superstiti vennero condotti nel carcere di Marassi a Genova e a Villa Rosa a Novi Ligure. Coloro i quali 351 ragazzi, renitenti alla leva, si erano presentati spontaneamente alle SS, in cambio di un condono di pena promesso ma non rispettato, vennero inviati dalla stazione piemontese nei lager in Germania, dove 140 di loro trovarono la morte.
Da allora il Sacrario in cui sono onorate le loro membra costituisce per i Partigiani della Liguria, come testimoniato dall’orgoglioso racconto del partigiano “Marzo”, il simbolo della barbarie fascista e della spietata ferocia tedesca.
Tratto da “La Repubblica di Torriglia” di G. B. Canepa: “Ricordo che la notizia si sparse rapidamente per i monti e le voci che correvano parevano esagerate, tanto era stata inaudita la ferocia con cui quei maledetti s’erano accaniti; ed erano gli stessi tedeschi che propagavano queste voci, le ingigantivano e ne menavano vanto, nell’intento di demoralizzarci e di sconsigliare chi pensava di unirsi a noi per combattere.
E invece ecco che un senso di orrore e di odio s’impadronì di tutti i partigiani, e si può dire che da quel giorno ebbe inizio la vera lotta in Liguria. Dalle montagne di Ventimiglia a quelle di Oneglia, di Albenga, di Savona; dalle nostre qui nell’entroterra di Genova, le formazioni partigiane si misero in moto, si rinforzarono, si collegarono, e le truppe tedesche e i fascisti non ebbero più tregua”.
Questo soprattutto è il grande contributo che quelli della Benedicta diedero al Movimento della Resistenza Ligure”.
… per non dimenticare mai…
Fatti orrendi e terribili, che accadono quando c’è una guerra.Non si può pensare a quei giovani se non con grata memoria, hanno dato la loro vita e hanno sofferto l’indicibile, per por fine ad una dittatura.Ero già nata, avevo 2 anni, non ero lontana da questi luoghi, ero a Sarissola (Busalla). Nel giardino della villa di mio Nonno, erano accampati soldati tedeschi,avevano scavato depositi per munizioni, un giorno un soldato polacco fuggì. La casa venne perquisita, si temevano complicità col fuggiasco. Due soldati, armati entrarono in una camera da letto, io e mia sorella eravamo nascoste sotto le coperte, ci scambiarono per un adulto, puntarono le armi e…. videro uscire due bambine…
A Sarissola era attivo il Pinan, cui fecero poi un monumento.
mio nonno e sparito proprio in quei giorni alcuni testimoni raccontarono a mio padre che fu prelevato dal treno e portato ne bosco e li ucciso ma il suo corpo non fu mai trovato per questo non risulta nell’elenco dei martiri … mi piacerebbe sapere che fine ha fatto davvero ma credo sia impossibile oramai mio padre per anni ha guardato tutti i documentari in cui apparivano italiani deportati in germania con la speranza che invece di ucciderlo l’avessero deportato ma niente