Quando era facilmente intuibile perché la Cava, la ferita sulla collina della Chiappella a forma di anfiteatro, si chiamasse così.
Quando l’enorme voragine alle spalle del Matitone non era ancora stata sanata da un’oscena colata di cemento.
Quando il colle venne sventrato in contemporanea a quello di San Benigno, per tracciare le nuove vie di Francia, Lungomare Canepa e Cantore volute dal Regime fascista per rendere più agevole il collegamento fra Genova e la delegazione di Sampierdarena, la “Manchester” italiana.
Per riutilizzarne i resti venne allestita una fabbrica di cemento adibita a fornire i materiali per la costruzione dei nuovi moli del bacino di Sampierdarena.
Quando i cantieri delle innumerevoli attività messe in piedi conferivano al paesaggio un aspetto lunare e visionario come quello di un girone dantesco: rotaie, spaccapietre, ciminiere, indecifrabili strutture metalliche, polveri irrespirabili e, in nome del progresso, inquietanti trivelle e rumorosi macchinari ovunque.
Quando alla Cava c’era persino una centrale elettrica che serviva a fornire corrente alle ferrovie della linea portuale.
Quando, prima di assumere questa sua connotazione infernale, questo sito fu teatro, secondo una millenaria leggenda, di un epico scontro fra Lucifero e Gesù.
Non dimentichiamoci la citazione della Cava nella nota canzone “Ma se ghe pensu”