“Mi sono perso nel dedalo del centro storico di Genova, lungo i caruggi che sono simili ai vicoli della mia Istanbul più segreta, più nascosta. Ho ritrovato gli stessi odori e gli stessi profumi un po’ aspri e pungenti portati dal mare, che balugina con improvvisi lampi di luce lontano fra le case simili a quelle che si affacciano sul Bosforo o sul Corno d’Oro. Case un po’ scrostate, ma anche palazzi orgogliosi e monumentali, che hanno le stesse persiane verdi, gli stessi grandi portali, imponenti e pomposi, o gli stessi modesti portoni, i cui anditi sono invasi da muffe umide. Case e palazzi che custodiscono storie antiche e accolgono un’umanità che ha attraversato le acque del Mediterraneo, in fuga da paesi bruciati dal sole dove il terrore e la fame sono in agguato. Anche i gatti sono simili a quelli di Istanbul. Indolenti e sornioni, si lasciano accarezzare e poi scompaiono quasi per incanto, persi nelle loro cacce imperscrutabili”.
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“Anche i suoni che ho ascoltato nei vicoli e delle strade di Genova avevano armonie comuni a quelle di Istanbul. Erano quelle delle musiche che scendevano dalle finestre aperte fino sull’acciottolato. Erano canzoni che parlavano di amori lontani e della nostalgia per la propria terra, contrappuntate dalle parole agglutinate delle mille lingue del Mediterraneo. Poi ci sono le parole che Genova condivide da secoli con la Turchia portate e contaminate da marinai e mercanti: mandilli, i grandi fazzoletti che servono anche a coprire il capo delle donne; camallo, il facchino del porto; gabibbo, il forestiero indesiderato; giöxìa, la persiana, l’imposta, la gelosia, nata per tenere nascosta la bellezza delle donne pur permettendo loro di guardare all’esterno.
Ho ritrovato nella cucina genovese i sapori dei cibi che più amo: i minestroni di verdure, densi e spessi, come quelli che preparava mia madre; le acciughe fritte e croccanti come quelle che si gustano nei ristorantini sotto il Ponte di Galata; le torte pasqualine infarcite di verdure dell’orto che ricordano nella loro preparazione in modo impressionante il nostro börek.”
Così Orhan Pamuk, scrittore turco Premio Nobel per la Letteratura nel 2006, ha descritto la Superba paragonandola alla sua natia Istanbul, la città da sempre finestra sull’oriente, confine tra mondo occidentale e mondo arabo.
La porta attraverso la quale nel corso dei secoli cristiani e musulmani si sono a volte tesi la mano, ma più spesso sferrati un pugno.
Ospite a Genova nel maggio 2011 per una conferenza a Palazzo Ducale ha trascorso il suo tempo libero passeggiando, come un turista qualunque, per i vicoli del centro cittadino.
Autore di numerosi libri di successo quali “La Nuova Vita”, “Il Castello Bianco”, “ La Casa del Silenzio”, “Il mio nome è rosso”, “Neve”, “Istanbul” solo per citare i titoli più noti della sua feconda produzione. Si tratta di pubblicazioni, romanzi e saggi che hanno tutti come comune denominatore un amore viscerale e smisurato per la vecchia Bisanzio e la Turchia del passato.
Un mondo ricco di personaggi e suggestioni utilizzati come poetica chiave di lettura per comprendere e spiegare quella del presente e del futuro.
Genova, come Istanbul, capitale del Mediterraneo.
In Copertina: Gatti di Istanbul. Foto di Carolina Sabbatini.
Scrittore di grande spessore che amo molto. In comune abbiamo due amori: Genova e Istanbul, che conosco molto bene e dove vorrei tornare.
Fantastico andrò a comprare un libro di questo scrittore a me il centro storico di Genova ricorda i suk di Tripoli Libya mia città natale
Non sono mai stata a Istanbul e quindi non posso dare giudizi.Penso che lo scrittore sia rimasto affascinato dagli odori dai sapori e dall’ atmosfera che si avverte girando per Genova, ma per il resto sono certa che le due città non si possono paragonare.
Vero verissimo, a Istanbul si respira aria di Genova: colori, palazzi, i vicoli stretti…sono rimasta folgorata…c’è persino una porta, inglobata in un palazzo, che ha la forma di Porta Soprana o di Porta dei Vacca…
Te ne ricordi il nome e hai qualche foto Barbara?