Così in una lettera spedita all’amico Luigi Germi nel 1839 e conservata presso la Library del Congresso di Washington Paganini descriveva le ricette per il tuccu e per i ravioli:
“Per una libbra e mezza di farina due libbre di buon manzo magro per fare il suco. Nel tegame si mette del butirro, indi un poco di cipolla ben tritolata che soffrigga un poco. Si mette il manzo, e fare che prenda un po’ di colore. E per ottenere un suco consistente si prende poche prese di farina, ed adagio si semina in detto suco affinché prenda il colore. Poi, si prende della conserva di pomodoro, si disfa nell’acqua, e di quest’acqua se ne versa entro alla farina che sta nel tegame e si mescola per scioglierla maggiormente, e per ultimo si pongono entro dei fonghi secchi ben tritolati e pestati; ed ecco fatto il suco.
Ora veniamo alla pasta per tirare le sfoglie senza ovi. Un poco di sale entro la pasta gioverà alla consistenza della medesima. Ora veniamo al pieno. Nello stesso tegame colla carne si fa in quel suco cuocere mezza libbra di vitella magra, poi si leva, si tritola e si pesta molto. Si prende un cervello di vitello, si cuoce nell’acqua, poi si cava la pelle che copre il cervello, si tritola e si pesta bene separatamente, si prende quattro soldi di salsiccia luganega, si cava la pelle, si tritola e si pesta separatamente. Si prende un pugno di borage chiamata in Nizza boraj, si fanno bollire, si premono molto, e si pestano come sopra.
Si prendono tre ovi che bastano per una libbra e mezza di farina. Si sbattano, ed uniti e nuovamente pestati insieme tutti gli oggetti soprannominati, in detti ovi ponendovi un poco di formaggio parmigiano. Ecco fatto il pieno. Potete servirvi del capone in luogo del vitello, dei laccetti in luogo di cervello, per ottenere un pieno piu’ delicato. Se il pieno restasse duro, si mette nel suco. Per il ravioli, la pasta si lascia un poco molla. Si lascia per un’ora sotto coperta da un piato per ottenere le foglie sottili“.
Oltre alla versione del “Diavolo”, essendo una ricetta assai radicata nella tradizione genovese, ho riportato anche quelle dell’Antica Cuciniera del Ratto.
Secondo gli esperti gli stalli di carne che più si prestano, sono il perfilo, detto “perfì” in genovese, taglio di terza categoria del collo o, in alternativa, il matamà o matama, il sottospalla, utilizzato anche per le bistecche. L’importante è che sia un pezzo intero “tuccu” – appunto – unico divenuto poi, per estensione “sugo”.
Dal Tuccu probabilmente sarebbe derivata anche la tipica preparazione della carne alla “Genovese” napoletana.
Il Tuccu necessita di tagli in grado di reggere, senza disfarsi, una lunghissima cottura, almeno tre ore (magari in un tegame di coccio). Per sua natura è una preparazione popolare e povera che non ha bisogno di carni di maggior pregio.