La Liguria -si sa- non gode di grande fama nell’ambito dell’arte della preparazione dei salumi.
A parte infatti i prodotti di Castiglione Chiavarese e di S. Olcese non abbiamo una grande tradizione in materia.
Proprio a S. Olcese, oltre al celebre salame di cui è un derivato, si prepara la mostardella un goloso insaccato realizzato con le parti di carne bovina più filacciose e meno pregiate.
Si consuma prevalentemente cruda oppure cotta e abbrustolita, tagliata a fette spesse, sulla piastra della stufa.
O almeno così lo cucinavano i nonni polceveraschi di mia moglie che me l’hanno fatta conoscere ed apprezzare.
Ricordo la soddisfazione di nonno Valle nell’offrirmi la mostardella accompagnata alle uova, appena colte dal pollaio, cotte al tegamino.
La mostardella è un prodotto di nicchia poco noto non facilmente reperibile se non nelle rivendite del territorio polceverasco.
Io, ad esempio, me la procuro presso la macelleria Martini località Santa Marta di Ceranesi.
La mostardella viene anche chiamata salame del contadino o dei poveri perché ottenuta con gli scarti dei tagli utili al confezionamento del più nobile S. Olcese e destinata quindi in origine ad un consumo più domestico che commerciale.
Eppure l’insaccato contenuto in un budello naturale di bovino, realizzato con le parti più filacciose e l’aggiunta di lardo di maiale, è davvero sapido e gustoso.
Ogni 25 aprile a S. Olcese oltre alla festa della Liberazione, si celebra la sagra del salame.
In occasione di tale evento è possibile anche gustare la mostardella alla quale è stata dedicata, al fine di valorizzarla e diffonderne la conoscenza, una manifestazione parallela.
Il consumo di questo salume in queste valli è radicato nei secoli e diventa tradizione: si tramanda infatti che, nei tempi passati, i giovani della Valpolcevera in cerca di moglie portassero l’insaccato a casa dei potenziali futuri suoceri come dono.
Se questi accettavano il presente e affettavano il salume stava a significare che il matrimonio era consentito.
Un’ultima curiosità racconta invece di tempi duri e di povertà in cui, durante l’inverno, i contadini si riciclavano, non potendo lavorare nei campi, come garzoni dei salumieri e venivano retribuiti con un chilo e mezzo di mostardella e una lira a settimana.
In Copertina: la Mostardella. Foto dell’autore.