Chiamatela Panélla…

La castagna ha rappresentato per secoli la principale fonte di sostentamento dei Liguri dell’entroterra.

I boschi del nostro Appennino ne sono infatti, nelle annate buone, generosi dispensatori.

Ed è così che le castagne oltre ad essere consumate in ogni modo, accompagnate al miele, bollite (balletti), cotte nel latte, arrostite (rostie) sulla stufa o essiccate all’aria, in marmellata, trasformate in farina costituiscono la componente per eccellenza delle paste “avvantaggiate” quando il grano era un lusso ad appannaggio di pochi ed andava oculatamente dosato.

Ma la preparazione più diffusa e gustosa rimane quella del, come lo chiamano in Toscana, castagnaccio, di cui una primitiva ricetta fu già annotata nel ‘500 da un padre agostianiano.

Secondo quanto tramandato nel Commentario delle più notabili et mostruose cose d’Italia e di altri luoghi, di Ortensio Landi (Venetia, 1553) pare che l’inventore del castagnaccio sia stato un lucchese tale “Pilade da Lucca”, che fu “il primo che facesse castagnazzi e di questo ne riportò loda”.
Nel 1644 anche l’esperto culinario, il marchese Vincenzo Tanara nel suo “L’Economa del cittadino in villa “, si dilungò nel disquisire dei “castagnazzi”.

Descrivendone varianti oggi impensabili, che prevedevano l’aggiunta di grana grattugiato o di cacio grasso e tenero, l’agronomo bolognese testimonia come il castagnaccio fosse inizialmente una vivanda più che dolce, salata.

La panella pronta per essere infornata. Foto e preparazione dell’autore.

Il composto cosi ottenuto dalla miscelazione di acqua (in alcune ricette latte), olio di oliva e farina di castagne fu arricchito nel ‘800 da pinoli e uvetta con lo zucchero in sostituzione del miele.

Si cucina, oltre che in Toscana, anche in Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia, Umbria, Lazio e nel sud, in Campania.

A seconda della regione mutano i nomi, alcuni ingredienti e relativi dosaggi ma la sostanza del piatto non cambia.

Fette di castagnaccio. Foto dell’autore.

In Liguria il castagnaccio si chiama Panélla (a Genova anche torta castagnina o castagnàsso) come la preparazione delle frittelle di ceci siciliane con la quale non va però confusa.

Il castagnaccio ligure – la panélla appunto -differisce dalla versione toscana per l’utilizzo di semi di finocchio e per l’aggiunta di scorza di mandarino o limone.

Comune a tutte le interpretazioni invece è la presenza degli aghi di rosmarino interi o tritati che, secondo la tradizione popolare, fungerebbero da vera e propria pozione amorosa.

Offerto all’uomo o alla donna di cui si è invaghiti si avrebbe dunque la certezza di essere ricambiati.

In Copertina: Panella. Il Campanile delle Vigne vigila sul castagnaccio ligure. Foto dell’autore.

2 pensieri riguardo “Chiamatela Panélla…”

  1. A Tribogna Fontanabuona viene chiamata “pattuna” (da sempre parlo il genovese della zona) ma non lo so scrivere.
    Era un alimento di primaria importanza, tanto che al pranzo di Natale se ne doveva mangiare obligatoriamente una fetta (anche se a me da bambino non piaceva, ora ho 79 anni).
    Quel giorno tutti i membri della famiglia ; compresi gli animali si mangiava a “pattuna”; per legare le nostre sorti di sopravvivenza a quella degli animali portandoli rispetto mangiando lo stesso cibo.

    1. Si pattona è uno dei tanti nomi del castagnaccio. Grazie comunque della preziosa testimonianza legata al mondo contadino dei nostri avi.

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