Anticamente percorrendo l’attuale Via Luccoli (dal latino “luculus” bosco sacro) si raggiungeva il tempio intitolato agli dei pagani Acca (luna) e Solis ( sole).
Da qui il nome Acquasola.
A metà del ‘500, munito dall’omonima porta, in seguito al potenziamento della cinta muraria voluta dall’Amm. Andrea Doria, il luogo venne utilizzato per raccogliere i detriti derivati dalla costruzione della Strada Nuova (attuale Via Garibaldi) e, per questo, chiamato “i Muggi”.
In seguito, l’area compresa fra Piazza Corvetto e i bastioni cinquecenteschi, venne utilizzata come parco pubblico fino al 1657, anno di una terribile peste, quando fu convertito in cimitero.
Le catacombe sono ancora presenti più o meno nel tratto compreso fra i laghetti dei cigni (che pare verranno ripristinati) e il complesso di S. Stefano.
Opportunamente abbellito e ampliato, sul finire del ‘700, diventa meta della noblesse ospite in città….
Fra gli altri Gustav Re di Svezia, il Principe di Condè, l’Imperatore d’Austria, i reali britannici e gli Arciduchi milanesi.
Nell’800 il Parco raggiunse il massimo splendore al punto di conquistarsi il nome di un Viale di Mosca.
Nella speranza che, dopo la recente inaugurazione, ritrovi se non gli antichi fasti, almeno il perduto decoro degli anni ’70, quando era meta domenicale delle famiglie…
Molti conoscono le gesta del Perasso, il celebre Balilla, pochi l’impresa portata a termine da un altro giovanotto dal cuore impavido, Giovanni Carbone.
Questi, garzone in un’osteria chiamata Croce Bianca (da qui il nome dell’omonimo Vico), prese parte alla sommossa del 6 dicembre 1746 che portò alla cacciata degli Austriaci.
Partecipò, agli ordini del Capitano T. Assereto, alla temeraria azione di riconquista di Porta S. Tommaso, occupata dai nemici.
Il Popolo insorse, uomini, donne e bambini si batterono per le strade per liberare la città dallo straniero invasore (come raffigurato nel quadro del Comotto).
Il Carbone, con azione spregiudicata, recuperò le chiavi della Porta e, fra il tripudio della folla, le consegnò personalmente al Doge con l’ingenua raccomandazione “di stare più attento e di non smarrire più le chiavi della Città”.
L’episodio è narrato nella lapide posta al civico n.29 di Via Gramsci.
Pellegro Piola, ventiquattro anni non ancora compiuti era già un pittore fatto e finito che godeva in città di alta considerazione.
Membro della dinastia di artisti che, assieme al fratello Domenico, rappresentarono la massima espressione del Barocchetto genovese, la sera del 25 Novembre 1640 mentre rincasava dalla bottega di Salita S. Leonardo sita in Carignano, in Sarzano venne aggredito e ferito a morte durante una rissa dall’amico e collega, il prete artista G. Battista Bianco.
Da quando nel 1637 Genova aveva proclamato la Madonna sua Regina era rifiorita la consuetudine (in vigore già dal ‘200) di adornare i caruggi con dei piccoli templi votivi, le Edicole, che le rendessero omaggio.
Le Corporazioni facevano a gara per esibire le Edicole più belle e sfarzose.
Fu così che quella degli Orefici che era fra le più ricche, commissionò poi a Pellegro un’opera che non avesse eguali:
un’edicola di ardesia che rappresentasse La Madonna con il bambino insieme a S. Eligio, loro patrono.
Terminato il lavoro in città non si parlava d’altro fu così che il Bianco, quando vide il capolavoro di Pellegro, rimase sopraffatto da cotanta bellezza e comprese la propria inferiorità artistica.
Reo confesso raccontò ai magistrati di aver commesso l’orrendo delitto per errore, accecato dall’invidia voleva infatti solo ferirlo, perché temeva che non avrebbe mai più ricevuto commesse finché Pellegro fosse stato in circolazione.
Copia dell’Edicola in questione è ancora oggi visibile in Via degli Orefici al n. 18 realizzata dal pittore Raimondo Sirotti.
Per intervento del Maestro stesso, a quel tempo Direttore dell’Accademia Ligustica di Belle Arti, l’originale è ivi custodito.
Nelle brumose notti invernali leggenda narra che il fantasma di Pellegro vaghi ancora irrequieto in Sarzano…
Leggenda narra che un tempo Gesù, in compagnia di Pietro, si trovò a percorrere le creuze lungo Costa Chiappeto, sulle alture sopra San Benigno quando, stanco del lungo peregrinare, invitò il discepolo a cercare ospitalità per la notte.
Rimasto solo il Salvatore venne avvicinato da Lucifero in persona il quale gli propose una singolare sfida:
Avrebbe vinto chi dei due avesse scagliato lontano un ciottolo fino a raggiungere il mare.
Il Nazzareno, senza fatica alcuna, lanciò il sasso per circa un paio di miglia oltre il blu delle onde.
Belzebù, sicuro di se e di vincere agevolmente la scommessa, prese la rincorsa ma scivolò miseramente producendo un tiro imbarazzante.
Perso l’equilibrio cadde lungo disteso….. ecco perché in quella zona per secoli si mostrò una grossa pietra sulla quale, si raccontava, fosse impressa l’impronta delle demoniache natiche.
Quando si dice “Il Diavolo a gambe all’aria.”……
In Piazza delle Grazie, davanti all’omonimo santuario, svetta opera del Galletti, la statua in onore del Padre Santo.
Il frate cappuccino Francesco da Camporosso che si distinse in città per le sue opere misericordiose e caritatevoli.
Si spense nel 1866 mentre pregava per la sua Genova flagellata dal colera.
Il gruppo marmoreo inaugurato nel 1963 celebra, fra i tanti, tre miracoli attribuiti al Santo.
Sono rappresentati un lavoratore portuale, un naufrago ed una madre con la figlioletta agonizzante.
L’attigua chiesa, dall’anonimo moderno aspetto, in realtà secondo la tradizione sorge sul luogo dove nel V sec. d.C. approdarono i SS. Nazario e Celso, i primi predicatori del Cristianesimo in Liguria.
A questi venne intitolata la primitiva cappella che conserva ancor oggi, sita a livello del mare, la più antica cripta esistente.
Nel XI secolo, vista la sua posizione a picco sul mare, venne eletta dai marinai come meta delle loro suppliche e mutò il nome in Nostra Signora delle Grazie.
Da qui anche il nome del sottostante tratto di Mura del XIII sec.
Nel 1340 i Padri del Comune concedono l’esclusiva alla Compagnia dei caravana per il carico scarico delle merci del Porto.
Indossano il “gonnellino blu di jeans” e operano in Dogana occupandosi delle merci preziose.
I Camalli (“hamal” in arabo significa facchino) invece trasportano le merci pesanti, in particolare il carbone.
Sul finire del ‘400 si stabilisce che camalli e caravana debbano essere estranei alle vicende politiche della città e quindi vengono reclutati, in virtù della loro prestanza fisica, nelle valli bergamasche.
Devono essere onesti, religiosi e dare il buon esempio; si tramandano il posto di padre in figlio mandando le donne a partorire a Bergamo; se bestemmiano vengono multati.
Adottano la Chiesa del Carmine per fondarvi la Cappella della Corporazione, commissionano cristi e casse processionali fra le più sfarzose di tutte le Confraternite.
Istituiscono il mutuo soccorso in modo che in caso di malattia o infortunio le loro famiglie siano mantenute dalla Comunità.
Sono protagonisti di diverse insurrezioni la più celebre delle quali quando, nel 1924 in seguito all’omicidio Matteotti, bloccano per tre giorni il porto respingendo le Camicie Nere del Duce.
A causa di questa ribellione vengono puniti dal Regime con la perdita del posto di lavoro.
In seguito a questo episodio l’allora Sindaco Ricci preferisce rassegnare le dimissioni che conferire la cittadinanza onoraria a Mussolini.
Curioso l’aneddoto poi che, agli inizi del ‘900 in Via Fieschi, vede coinvolto un giovane portuale: si rompe una ruota di un carro carico di merci, bloccando la strada.
Il giovane Bartolomeo, camallo dalla forza bestiale lo traina da solo, al posto dei cavalli, in cima alla salita.
Come la sua potenzae la sua prestanza sono risapute negli scagni e sulle banchine, così il suo leggendario consumo di minestrone è noto in tutte le bettole del porto.
Diviene una star del cinema interpretando Maciste (antico appellativo di Ercole) in “Cabiria” di Gabriele D’Annunzio.
Bartolomeo Pagano è anche il modello a cui si è ispirato lo scultore Eugenio Baroni per rappresentare Garibaldi nel Monumento dei Mille a Quarto.
Il 28 giugno 1960 i partiti antifascisti si coalizzano per difendere la Costituzione ed impedire che il Movimento Sociale Italiano organizzi a Genova il proprio Congresso Nazionale.
Il Presidente onorario di tal partito sarebbe dovuto essere Basile, in epoca fascista Prefetto per le Deportazioni.
A pronunciare il discorso contro il neonato fascismo è Sandro Pertini.
Il 30 giugno viene indetto lo Sciopero Generale a partire dalle 15 fino alla fine dei turni di lavoro.
Si forma così un Corteo di alcune migliaia di persone con destinazione Piazza della Vittoria.
Al termine della Manifestazione gran parte dei dimostranti risale verso Piazza De Ferrari dove sono schierate in assetto antisommossa le Forze dell’Ordine.Gli scontri sono violenti e durano circa due ore fino a quando il Presidente dell’Anpi Giorgio Gimelli e il Questore della città concordano la ritirata delle Forze di Polizia.Ovviamente il Congresso del Partito non si terrà più a Genova e, conseguenza di questo smacco, a Roma cadrà il Governo Tambroni. Una pagina memorabile della nostra Storia, un motivo in più per non dimenticare, per essere orgogliosi e fieri della nostra diversità…
D’altra parte così ci definiva il Sommo Dante: “Ahi genovesi, uomini diversi…..”.
storia del Divin Poeta, di una stirpe a questi ostile… e di ligustiche ispirazioni…
Fra le numerose tappe del suo lungo esilio, probabilmente nel 1311, Dante fu ospite a Genova e in Liguria.
Qui incontrò l’imperatore Arrigo VII nel quale riponeva le speranze di veder realizzato il suo sogno politico delle due autorità, quella pontificia e imperiale, destinate a sovrintendere le “humanae cose” per il bene comune.
A differenza di quanto accaduto in altre città, Dante a Genova però non si sentì né apprezzato né ben voluto, anzi rivide nelle locali fazioni dei Rampini e Mascherati le stesse scellerate litigiosità dei Guelfi e Ghibellini fiorentini.
Nell’Inferno fra i traditori pose, infatti, Branca Doria ancor vivo, reo di aver fatto a pezzi il suocero Michele Zanchè per impadronirsi dei suoi possedimenti sardi.
Come racconta il Foglietta nei suoi resoconti il Poeta, giunto nella Dominante, “fu solennemente bastonato sulla pubblica via dagli amici e dai servi di Brancaleone.
Da questa offesa, non potendo il Sommo, vendicarsi con le mani, si vendicò con le parole e la penna”.
Da qui la celebre invettiva scolpita nel Canto XXIII dell’Inferno, versi 151-153:
“Ahi Genovesi, uomini diversi
d’ogne costume e pien d’ogni magagna,
perché non siete voi del mondo spersi?”.
Il “Ghibellin fuggiasco” prende inoltre a modello, dopo averla attraversata entrandovi da Lerici, l’aspra nostra terra, per descrivere la montagna del Purgatorio:
“Tra Lerice e Turbia la più diserta,
la più rotta ruina è una scala,
verso di quella, agevole ed aperta”.
(Canto III del Purgatorio, verso 49-51).
Proseguendo verso Genova Dante s’imbatte infine nella splendida foce del fiume Entella così descritta:
“Intra Siestri e Chiaveri s’adima
una fiumana bella….”
(Canto XIX del Purgatorio, versi 100-101).
La più antica cattedrale cittadina era l’odierna chiesa di S. Siro fondata, fuori le Mura, nel lV sec d.C. con il nome di Dodici Apostoli.
In seguito al miracolo di Siro, il Vescovo della cacciata del basilisco, la basilica ne assunse il nome. Causa le continue scorrerie piratesche il luogo di culto fuori porta non venne più ritenuto sicuro e si deliberò di adottare due sedi in contemporanea.
Si decise così di spostare in estate (periodo favorevole alla navigazione e ai probabili saccheggi) la sede vescovile in San Lorenzo, all’interno della cinta muraria e di mantenere S. Siro come dimora invernale. L’alternanza durò fino al 1006 anno in cui S. Siro cessò la sua funzione di cattedrale rinunciando al suo titolo in favore di San Lorenzo.
Dal 1007 nel gioco delle alternanze, nel ruolo di sede estiva a S. Siro subentrò S. Maria di Castello che manterrà tale privilegio per tutto il secolo.
Di fatto però, già nel 1098, a suggellare l’ormai acclarata supremazia di S. Lorenzo, come definitivo centro di potere ecclesiastico GuglielmoEmbriaco, di ritorno dalle Crociate, vi consegnerà il bottino di guerra e le ceneri del Battista. Sarà Papa Gelasio II nel 1118 a consacrare ufficialmente S. Lorenzo come cattedrale di Genova.
In Copertina: La Cattedrale di San Lorenzo. Foto di Leti Gagge.
A testimonianza dei molteplici rapporti con il mondo musulmano molti palazzi genovesi presentano rivestimenti di stile moresco.
Gli azulejos, dall’arabo “al zulaycha” che letteralmente significa “piccole pietre policrome”, sono piastrelle caratterizzate da motivi geometrici in rilievo, di origine orientale.
Giunsero a Genova nel’400 importati da Spagna e Portogallo.
In voga presso le principali famiglie genovesi gli azulejos mutarono i loro disegni lineari in motivi floreali e in composizioni figurative composte da più piastrelle.
Si incominciò anche a produrli anche in loco e vennero chiamati, dall’arabo “zullaygiun”, laggioni.
Passati di moda, vennero distrutti, intonacati o dimenticati.
Qualcosa però si è salvato e si possono ancora ammirare, ad esempio, nella sala del Capitano del Popolo, nel Palazzo di S.Giorgio, nella Cappella Botto in S. Maria di Castello, nella dimora di A. Doria in S. Matteo, nel Museo di S. Agostino e nel Palazzo Di Negro in Piazza della Lepre.