Storia di un santuario… di un presepe…

e di ospiti molto altolocati…

Sulle alture del Monte Galletto si staglia il settecentesco Santuario della Madonnetta.
Il solo ufficialmente riconosciuto dalla Repubblica con tanto di autentica dogale.
È un altro di quei luoghi speciali che Genova sa regalare ai suoi amanti, ricco di opere d’arte e curiosità.
Disposto su quattro livelli di continui sali e scendi per ricordare ai fedeli che, come Gesù è sceso in terra per salvare gli uomini, così costoro devono salire a lui per purificarsi.
Ti accoglie con un meraviglioso sagrato in rissoeu, uno dei meglio conservati in città.

"Il Risseu".
“Il Rissoeu”.

Al suo interno la statua in alabastro della Madonnetta, una versione di quella, più celebre, di Trapani, venerata in tutto il Mediterraneo.
È una rappresentazione unica perché il Bambinello non guarda in avanti ma si rivolge alla Madre e le stringe il pugno… come a dire “Proteggili”.
Il vestito che fascia Gesù è lo stesso che avvolge la Madonna a sottolineare che sono una cosa sola.

"La chiesa a pianta ottagonale e lo scranno dogale".
“La chiesa a pianta ottagonale e, sulla destra lo scranno dogale e quelli dei rappresentanti del Senato”.

Infine l’ampio

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“La Madonnetta”.

drappeggio dell’abito, più grande del necessario, sta ad indicare che c’è posto e protezione per tutti.
Incastonate nelle pareti della chiesa ottagonale (l’otto nella simbologia cristiana rappresenta la Resurrezione) sono presenti circa venticinquemila reliquie di santi, provenienti dalle prime catacombe romane.
La volta della cripta è affrescata dal Guidobono e molti dei maggiori artisti del ‘700 genovese hanno lasciato qui la propria impronta.
Impossibile non ricordare il Bissone con la Statua della Madonna Regina e le statuine del presepe nella scena della Natività.
O il Maragliano con uno dei suoi celebri crocifissi e con la continuazione del famoso presepe che da lui prende il nome.

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“Il Crocifisso del Maragliano”.

In realtà oltre al Maragliano e al Bissone, le circa cento statuine che lo compongono sono frutto di oltre un secolo di tradizione della scuola genovese e dei suoi eredi. Dai maestri Navone e Pedevilla al tirolese De Scopt.
Molte altre sarebbero le cose da raccontare… buona scusa per una visita… un’ultima però va rammentata:

“Si riconoscono la Porta del Molo, detta Siberia, la parte medievale del Palazzo S. Giorgio e la Torre  De Castro”. Foto di Leti Gagge.
“Da Sottoripa”. Foto di Leti Gagge.
“Foto di Leti Gagge”.
“Foto di Leti Gagge”.
“Foto di Leti Gagge”.
“Foto di Leti Gagge”.
“Foto di Leti Gagge”.

La Pietà del Maragliano, osservata in solitudine, commuove per tragicità espressa.
In particolare gli occhi azzurri della Madonna sono così vivi e lucenti che sembrano implorare noi uomini di non bestemmiare mai più suo Figlio.
La Madonnetta val ben una Messa!

“La Pietà”.

Storia di un’Abbazia poco nota… di santi protettori…

Sulle alture della circonvallazione a monte, sconosciuta ai più, si staglia l’antica abbazia di S. Maria della Sanità, chiesa gentilizia della nobile famiglia De Mari.

"La Madonna della Sanità sopra l'altare".
“La Madonna della Sanità sopra l’altare, opera del Narducci del 1615”.

Il complesso sorge sul luogo dove precedentemente nel ‘400 esisteva una chiesa intitolata a San Bernardino da Siena (da qui anche il nome del tratto delle mura e della Porta poco distanti) per volere di Stefano De Mari, proprietario dei terreni (così come dell’attigua attuale Villa Gruber, un tempo De Mari). Fu edificata nel 1592 su progetto del Ponzelli ed affidatane la conduzione ai Carmelitani Scalzi di S. Anna.

Con la Rivoluzione franco genovese del 1797 la gestione passò di mano prima ai De Mari, poi al clero secolare, quindi alle monache di clausura.

Nel 1934, con apposito decreto ministeriale, la chiesa fu inserita nell’elenco dei Monumenti di interesse nazionale ma subì gravi danni in seguito ai bombardamenti della seconda guerra mondiale e cadde nell’oblio.

Dopo alterne vicessitudini e passaggi di mano nel dopoguerra il cardinale Siri si attivò per la sua ricostruzione affidandone i lavori di ripristino all’Ingegner Umberto Pagnini che, grazie all’aiuto del Genio Civile e alle offerte dei fedeli, potè restituire al complesso il perduto splendore.

Nel 1965 l’Arcivescovo riconsegnò al culto dei fedeli l’Abbazia.

Appena superato l’ampio scalone di accesso, nell’atrio si incontra subito una gradita sorpresa, una splendida “Sacra Famiglia” (con San Giovannino) in ardesia di Luca Cambiaso, insuperato maestro del Manierismo genovese: un’opera che sprigiona in egual misura potenza e delicatezza.

Atrio S.Famiglia L.Cambiaso
“Sacra famiglia e San Giovannino, opera in ardesia di Luca Cambiaso”.

Degno di nota anche il busto di Ansaldo De Mari, uno dei personaggi più illustri della Casata,

"Busto di Ansaldo De Mari, un tempo conservato nella cappella familiare della demolita chiesa di San Domenico".
“Busto di Ansaldo De Mari, un tempo conservato nella cappella gentilizia della demolita chiesa di San Domenico”.

primo ammiraglio dell’Impero ai tempi di Federico II, nella prima metà del ‘200.

Una volta varcata la soglia dalla curiosa pianta ottagonale numerose sono le opere di scuola genovese custodite al suo interno e alcune di esse meritano particolare menzione come, ad esempio, le balaustre dell’ Orsolino, scultore molto attivo e noto in città (fra le tante opere, il barchile di Piazza delle Erbe) o la secentesca rappresentazione del Narducci sopra l’altare della Madonna della Sanità ma quella che, più di tutte, mi ha colpito, custodita nella seconda cappella sul lato sinistro, opera di G. B. Paggi del 1600 è la

“Madonna con i quattro santi protettori di Genova (S. Giorgio, S. Giovanni Battista, S. Siro e S. Lorenzo).

Genova orgogliosa e impettita non si svela facilmente, basta a se stessa, si lascia trovare solo da chi ha voglia di cercare e la Sanità, a mio modesto parere, ne è emblematica dimostrazione.

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“I quattro santi protettori di Genova, opera di G. B. Paggi”.

Storia di una Moschea… anzi due… terza parte…

forse sei… di un Imam… di Galee…
continua… terza e ultima parte…
Evidentemente le lamentele del Papasso ottennero il loro scopo se, di lì a poco, la Repubblica ricevette una missiva di Bogo, console di Tunisi, in cui il diplomatico informava la Superba del fatto che il re di quel paese aveva minacciato, come ritorsione, di rendere schiavi tutti i Genovesi liberi presenti in città.

"Moschea di Vico Fregoso, una dei tanti centri islamici presenti nel centro storico".
“Moschea di Vico Fregoso, una dei tanti centri islamici presenti nel centro storico”.

Il Papasso intanto, oltre che paventare nuove lettere di protesta, pretendeva di avere un trattamento diverso, privilegiato, rispetto agli altri schiavi “passando in minacce contro molti e, in particolare, contro il Padre dei Cappuccini, incaricato, per conto del Magistrato delle Galee, di tenere “cordiali” i rapporti.
L’Imam, nel frattempo, si era proclamato “direttore” (colui che detiene il banco) in Darsena del Gioco del Biribis (gioco d’azzardo simile alla lotteria) scontrandosi anche con personaggi della nobiltà che non disdegnavano le scommesse.
Fu allora che le Autorità cittadine misero fine alla “querelle” costringendolo in catene, al pari degli altri schiavi, per lunghi e duri sedici mesi sulle galee.
Il Senato scrisse ai consoli di Francia, Inghilterra, Spagna e Olanda che a Tunisi, Tripoli e Algeri smentissero le insinuazioni del Papasso…
Forse l’Imam, non aveva tutti i torti, ma aveva “tirato troppo la corda” e i Genovesi di quel tempo non erano certo usi “a farsi menar per il naso”…

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“Expo 1914: ricostruzione della trecentesca Torre Galata, cuore e simbolo di Istanbul, eretta dai Genovesi a protezione del loro quartiere.”

Nel 1914, in occasione dell’Expo genovese, l’architetto fiorentino Coppedè, per meglio descrivere lo spirito della manifestazione, concepì all’interno dei padiglioni una Moschea e la Torre Galata, simboli della tolleranza, della potenza e dell’intraprendenza dei Genovesi nei secoli.

 

“Vedrai una città regale,

addossata ad una collina alpestre, superba per genti e per mura, il cui solo aspetto la indica signora del mare”… scriveva Petrarca nel 1358.

breve storia delle Mura di Genova…

Le prime tracce, anche se si ha notizia di una cinta all’epoca romana, circa la presenza delle Mura risalgono al X sec. quando furono erette per far fronte alle continue scorrerie musulmane.
La superficie protetta era di circa venti ettari e i principali varchi erano Porta Soprana, Porta di  S. Pietro (visibile ancora oggi sotto forma di archivolto in Piazza cinque Lampadi), quella di Serravalle, addossata a San Lorenzo, quella di San Torpete in zona San Giorgio e quella Castri (nell’odierno Sarzano).
Nel 1155, causa la minaccia del Barbarossa, le Mura sono ampliate fino a

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“Porta degli Archi oggi in Via Banderali”

difendere cinquantacinque ettari.

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“Porta Siberia dell’Alessi”

Si aggiungono Porta dei Vacca o di S. Fede davanti alla Darsena , Porta di S. Egidio e Porta Aurea in Piccapietra e Porta Murtedi all’Acquasola.
A queste si sommano tre accessi turriti: S. Agnese, Portello e Pastorezza.
Sono mura imponenti la cui altezza media era di circa dieci metri.
Papa Alessandro III, invitato all’inaugurazione, proclama : “Siano le vostre Mura inespugnabili come lo sono i vostri cuori”. Tra il 1276 e il 1287, in piena guerra con Pisa e Venezia le Mura vengono rinnovate e modificate.
Nel XIV sec. la cinta viene ulteriormente allargata a centocinquantacinque ettari con i nuovi accessi di Porta degli Archi (a metà di Via XX, presso il Ponte Monumentale) oggi sita in Via Banderali, Porta dell’Olivella zona Pammatone e la Porta dell’Acquasola.

Tra il 1517 e il 1522 l’Olgiati e il Sangallo, ingegneri di rinomata fama, aggiunsero bastioni, ristrutturarono, potenziarono e inserirono, su progetto dell’Alessi, la Porta Siberia.
Nuove mura, tra il 1629 e il 1633, Galliani, scienziato amico di Galileo Galilei, diresse i lavori di ampliamento, progettati dal Maculani, dal Bianco e dal Fiorenzuola.
Due le Porte della secentesca grandiosa cerchia: Porta della Lanterna e Porta Pila (all’inizio di Via XX), oggi collocata in Via Montesano sopra la stazione di Brignole.
Su di esse le statue della Madonna Regina con sotto scritto il monito “Posuerunt me custodem”.

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“Porta Pila, oggi in Via Montesano”.

Nel ‘700 vennero edificati, a corona della Superba, i forti (ma questa è un’altra storia…) che, inseriti nell’800 dai Savoia nel nuovo sistema difensivo piemontese, costituirono l’ottava ed ultima cinta.

“Porta della Lanterna”.

Storia… di un Abate… di maiali…

Nella zona di Prè, imboccando Vico Inferiore del Roso ci si imbatte in un curioso bassorilievo che rappresenta, fra due scudi abrasi, un monaco inginocchiato con al fianco un pugnale, di fronte a Sant’Antonio, raffigurato vicino ad un grufulante suino.

Il monaco armato simboleggia le lotte sostenute dall’Ordine per erigere e mantenere il loro monastero.

Da tempo immemore infatti, in loco esisteva una chiesa con annesso ospitale per i pellegrini in partenza o di ritorno dalla Terrasanta che aveva ottenuto un singolare privilegio, quello di possedere un branco di maiali.

I suini pascolavano liberamente per le strade del quartiere, cibandosi degli avanzi della popolazione e fu stabilito per decreto del Senato che fosse preservata la loro incolumità e, per distinguerli dagli altri, furono dotati di un rumoroso campanellino.

Il loro numero crebbe a dismisura così si decise che, a godere di tale immunità, fossero al massimo un verro, tre scrofe e venti porcellini; quelli in esubero avrebbero potuto essere catturati ed uccisi da chiunque. I monaci protestarono e ottennero che il Papa intercedesse in loro favore per far revocare tale provvedimento.

Un giorno però, i suini ormai padroni del Borgo, attaccarono un corteo di Senatori ferendone alcuni, decretando di fatto,con questa aggressione, la loro stessa fine.

Intervennero allora i Doria che lasciarono una consistente donazione ai frati in modo che potessero provvedere ai loro bisogni alimentari ed avviare gli ormai indispensabili lavori di ristrutturazione del complesso conventuale.

Inoltre, ogni 13 dicembre, le dame della famiglia patrizia provvedevano ad elargire ai monaci, a titolo personale, cinque scudi d’oro.

L’abate di Sant’Antonio, per sdebitarsi, iniziò la tradizione per cui, ad ogni Natale, un corteo in processione si recava a San Matteo, portando in dono un maiale dell’Abbazia alla nobile casata.

Da qui, forse, l’origine della “Porchetta arrosto” come una delle portate, ormai dimenticate, della tradizione gastronomica natalizia genovese.

"Incisione ottocentesca che rappresenta la processione a San Matteo".
“Incisione ottocentesca che rappresenta la processione a San Matteo”.

Storia di un Re, di un carro, di un cigno…

il mito della nascita dei Liguri…

Racconta Esiodo che Fetonte, figlio del Sole, reo di essersi  troppo avvicinato alla Terra con il suo carro infuocato bruciò ogni cosa, venne fulminato da un irato Giove e cadde morto nel fiume Eridano, l’attuale Po.

Le sorelle di Fetonte le Eliadi, addolorate, vennero tramutate in pioppi, le loro lacrime, in ambra (da qui l’antica denominazione “Ambrones”) e Cicno, re dei Liguri e suo fraterno amico che pianse con loro, per via della sua melodiosa voce, in cigno.

Come ricorda Virgilio: “Cicno, abbandonando la Terra, con il canto raggiunse le stelle”.

Da qui l’origine delle costellazioni del Cigno e delle Pleiadi, volute vicine da Apollo perché si facessero compagnia.

Questo significa il bassorilievo romanico di Vico S. Pietro della Porta nel quale sono rappresentati stemmi araldici, il Vescovo (S. Siro) e il Cigno.

S. Bartolomeo dell’Olivella…

Complesso conventuale eretto nel 1305 dai monaci Cistercensi come ci ricorda una lapide, posta all’ingresso del chiostro dedicata al suo fondatore, Bongiunta Valente.

La piazza, protetta dai frastuoni e dal traffico quotidiano è un luogo dell’anima dove anche il tempo entra in punta di piedi perché ha paura di disturbare, di interrompere l’incanto.
Sulla lunetta un affresco con Madonna e bambino e S. Bartolomeo con in una mano un libro e nell’altra un coltello, a simboleggiare la supremazia della cultura sulla violenza.
Al suo interno, in pieno degrado, opere di artisti minori della scuola genovese.
In epoca napoleonica la chiesa venne requisita dalle truppe francesi e adibita a stalla, il chiostro a caserma.

 

"Scorcio d'altri tempi".
“Scorcio d’altri tempi”.

Cessata l’indipendenza della Repubblica il complesso è stato sconsacrato, in parte inglobato dalle abitazioni circostanti, in parte utilizzato come teatro e luogo ricreativo.

"Particolare dell'arco di accesso alla piazza".
“Particolare dell’arco di accesso alla piazza”.

Storia di un Generale…

figlio della Superba… condottiero di Spagna… terrore del Continente…
Ciò che rappresentò nel ‘500 l’Ammiraglio Andrea Doria per mare fu, per terra, nel ‘600 il Generale Ambrogio Spinola.

Il nobile genovese, entrato a servizio degli spagnoli, contribuì ad aumentarne la potenza e la gloria combattendo in tutta Europa, in particolare nei Paesi Bassi, dove le sue qualità di sublime stratega gli valsero unanimi riconoscimenti.
Molte furono le sue imprese, quella della presa di Breda, la più celebre.

“Quadro di Velasquez, museo del Prado, Madrid, che rappresenta la Resa di Breda.

Lo scrittore Don Pedro Calderon dedicò, infatti, a questo accadimento una commedia intitolata, appunto, “l’assedio di Breda” in cui il condottiero, al culmine del successo, rivolgeva il suo pensiero alla Superba in difficoltà… (lontana e assediata dai piemontesi)…
“Genova (timoroso leggo) è oppressa dal Duca di Savoia…
Mi perdoni il valore, l’invidia
mi perdoni, se m’intenerisce questa notizia, che a volte è valore la tenerezza;
e la mia patria, mi perdoni
se io vesto acciaio brunito
e non è per sua difesa.”

“Ritratto del condottiero opera di Pietro Paolo Rubens.”

Ancor più eloquente fu “il Dialogo Militar” rivolto ad Ambrogio e composto da Lope de Vega…”
… Quella città famosa,
la cui Repubblica eccelsa
simili eroi produce
nelle armi e nelle lettere;
quella che da tanti secoli
regia maestà conserva,
a nessuna corona
sua antica testa è serva;
Genova la bella, dico,
cui il mar i piedi bacia.
… lo trovaron sempre
l’aurora e le stelle
vestito d’acciaio il corpo
e la sua anima verso gloriose imprese;
esempio per i suoi soldati
rispettato in tutte le frontiere,
invidia delle età passate,
gloria del secol nostro
… (le imprese) di questo grande Capitano,
Ambrogio il Magno, saranno di Italia e Spagna la gloria.”

 

Storia del culto di S. Giorgio… seconda parte…

Alla tradizione più antica, precedentemente raccontata, si aggiunge la variante fantastica dove gli aspetti religiosi assumono una valenza marginale. Come nelle migliori fiabe un giorno il santo, di passaggio per la città di Salem in Libia, incontra una principessa, figlia del re di quel regno, pronta a sacrificare la propria vita per placare le ire di un drago che dimorava in uno stagno poco lontano. Il popolo infatti, stanco di aver sacrificato i propri fanciulli, obbliga il re a rinunciare alla figlia, minacciando la rivolta.

Giorgio interviene prontamente placando la collera della plebe dopodiché affronta il mostro, lo ferisce e lo sottomette come un cagnolino obbediente. Ordina di far legare al collo dell’animale la cintura della principessa che, incredula, ritorna in città con il drago al guinzaglio.

I sudditi sono in festa e, riconoscenti, si convertono in massa assieme a re e principessa al Cristianesimo. Il cavaliere uccide il mostro, lo taglia a pezzi e lo fa trascinare fuori dal paese trainato da quattro paia di buoi. Un’altra variante suggella il gran finale con il matrimonio fra il nostro eroe e la principessa Sabra.

san giorgio chiesa
“La chiesa di S. Giorgio oggi, nelle forme settecentesche successive a l bombardamento di re Sole del 1684”.

Da qui in poi, in particolare dalle Crociate, San Giorgio diverrà l’alfiere dell’Occidente, simbolo della lotta del bene contro il male. Il suo mito si diffonde in tutta Europa; in suo nome vengono erette molte chiese dall’Egitto a Costantinopoli, in Italia, Spagna, Portogallo, fino alla Germania, l’Inghilterra e il Caucaso.

A Genova, già dal 700, una guarnigione di soldati greco bizantini portava in processione, accompagnata dalla popolazione, il vessillo nella chiesa a questi intitolata.

Ma è al ritorno dalla presa di Antiochia (1098) e dalla conquista di Gerusalemme (1099) che i genovesi dell’Embriaco lo elevano ufficialmente a simbolo della città e della Repubblica. Da allora, per oltre cinquecento anni, le grida di battaglia saranno: “Viva San Zorzo” e “Pe Zena e pe San Zorzo”.

I portali delle dimore delle grandi famiglie si adorneranno delle sue gloriose effigie e saranno testimonianza perenne del prestigio da queste acquisito.

"Portale di palazzo Giorgio Doria".
“Portale di palazzo Giorgio Doria”.

Solo agli ammiragli e ai capitani che lo avevano difeso e onorato in battaglia con orgoglio era concesso infatti esporre i simboli del santo guerriero.

San Giorgio protegge dalla sifilide e dal morso delle vipere, sconfigge lebbra, streghe e peste bubbonica, è il protettore degli armaioli e dei sellai e dell’agricoltura in tempi di siccità.

Oggi è patrono dello scoutismo, dell’Inghilterra, del Portogallo, della Lituania, della Serbia, di Barcellona e della Catalunya, di Mosca e di oltre cento comuni italiani di cui ventuno ne portano il nome.

In Germania fa scaturire acque miracolose, in America dà il nome ad uno stato e, nel Caucaso, ad una repubblica.

La festa a lui dedicata è, a seconda dei paesi in cui si celebra, il 23 o il 24 aprile. La religione islamica lo venera tra i profeti.

"S. Giorgio su azulejos, Cappella Botto
“S. Giorgio su azulejos, Cappella Botto”.

Le sue reliquie sono sparse un po’ ovunque: il cranio nella basilica di S. Giorgio in Velabro a Roma, un braccio a Ferrara, l’altro a Venezia. Altre parti si trovano a Le Mans e a Limoges in Francia e in svariate località della Spagna e, naturalmente, custodite nella chiesa a lui dedicata sul promontorio, a Portofino.

Nel 1637 con l’elezione della Madonna a Regina, il pagano “Viva San Zorzo” cede il passo al più ecumenico “Viva Maria” ma già da tempo i fasti dei crociati genovesi sono un lontano ricordo.

Nel 1969 la Santa Congregazione dei Riti lo declassa da “santo ausiliatore” a “memoria facoltativa”.

Ecco perché mi arrogo la “facoltà” di ricordarlo.

In Copertina: Il Vessillo di San Giorgio fino al 1242, anno dell’assunzione ufficiale dello scudo bianco rosso crociato, identificato come la bandiera di San Giorgio.

Storia del culto di S. Giorgio…prima parte…

Notizie certe non ce ne sono anche perché, si perdono nella notte dei tempi:
La tradizione più antica fa capo ad una biografia, “La Passio Georgii”, risalente al v sec., relegata dal decreto gelasiano fra gli scritti apocrifi (cioè non conformi alla dottrina).
Secondo questo testo il santo sarebbe nato nel 280 d.C. in Cappadocia (attuale Turchia).
Secondo altre fonti sarebbe invece originario di Lydda (odierna Tel Aviv), in Palestina.
Nei secoli successivi fu un proliferare di ulteriori rielaborazioni agiografiche.
Fino a che, nel ‘200, il Vescovo di Genova Jacopo da Varagine, completò la sua celebre “Legenda Aurea”.
Secondo questa leggenda Giorgio, educato alla fede cristiana, intraprende la carriera militare fino a diventare una delle guardie del corpo dell’imperatore Diocleziano.
A quel tempo l’Impero romano è in lotta con i cristiani e settantadue re si riuniscono per deliberare misure comuni contro la nuova religione, considerata sovversiva.
Giorgio si autoaccusa di essere cristiano, dona i suoi averi ai poveri e, una volta imprigionato, subisce torture d’ogni sorta.
Dio in persona gli appare in visione spiegandogli che per tre volte morirà e per altrettante risorgerà:
Viene tagliato in due da una ruota di chiodi e spade, resuscita e compie numerosi miracoli.
Converte l’imperatore Anatolio e la sua consorte Alessandra, resuscita morti e fa incenerire i settantadue re che lo avevano imprigionato.
Viene decapitato e, risorto una seconda volta, diventa un cavaliere errante….

“Io vo’ Vedere il Cavalier de’ Santi:
Il Santo io vo’ Veder de’ Cavalieri.”
Cit. Rime Nuove. Giosuè Carducci.
In Copertina: San Giorgio che uccide il drago opera di Lazzaro Tavarone nel 1606 (restaurato nel 1990 da Raimondo Sirotti) sul prospetto rinascimentale di Palazzo San Giorgio.