Da tempo immemore i Frati Minori Conventuali dalla vicina Abbazia di S. Giuliano, si ritirarono in un luogo “… magis idoneum et plus ab ecclesia matrice distantem…” più distante dal mare, dal chiasso e dai pericoli della spiaggia. Chiusa fra gli ulivi che le facevano da barriera esisteva una piccola chiesa intitolata a S. Michele, sorella di quella che, ancora nel 1346 quando venne abbattuta per l’ampliamento delle mura trecentesche, con lo stesso titolo, si trovava nei pressi dell’attuale S. Stefano in città.
Fu la nobile famiglia Cebà Grimaldi quella che, fra il 1100 e il 1400, si adoperò più di ogni altra con cospicue donazioni per la manutenzione e gli abbellimenti dell’edificio: nel 1316 contribuì all’erezione del Convento e nel 1323 alla costruzione, sul sito della precedente, di una nuova chiesa. Nel 1334 al titolo di S. Michele i Frati sostituirono, per acclamazione popolare, quello del fondatore del loro Ordine, S. Francesco d’Assisi.
Nel 1544 incorporò il titolo parrocchiale dell’antichissima chiesa dei S.S. Nazario e Celso che, aggrappata agli scogli aveva subito, causa le forti mareggiate, gravi danni, tali da renderne sconsigliabile il ripristino. Chiesa dei S.S. Nazario e Celso e S. Francesco d’Albaro è a tutt’oggi l’intestazione completa della parrocchia. Nel ‘600 anche la famiglia Giustiniani partecipò ai restauri dell’edificio e, per questo, nel 1843 un suo illustre esponente, Sua Eminenza il Cardinale Alessandro Giustiniani, ebbe il privilegio di esservi sepolto. Il sepolcro marmoreo in cui riposa nella cappella del S. Cuore è mirabile lavoro di Carlo Rubatto.
A cavallo fra ‘600 e ‘700 S. Francesco d’Albaro ottenne l’autonomia rispetto alla sede principale dei francescani a Genova, quella di S. Francesco in Castelletto.
Nel 1810 durante l’epoca della dominazione napoleonica e della soppressione degli ordini minori, i Frati furono costretti ad abbandonare il Convento rientrandone in possesso solo nel 1817, dopo l’indigesto ma, per loro salvifico passaggio al Regno di Sardegna dei Savoia.
Pregevole testimonianza della sua origine medievale è il duecentesco Portale in bell’arco acuto con sottili colonnine che reggono l’architrave, con al centro un affresco della Madonna in mezzo a due Monaci del XIV sec. A ricordo della sua primitiva intestazione rimane tuttavia un grazioso bassorilievo dell’arcangelo Michele in marmo.
Al suo interno le opere di maggior rilievo sono i secenteschi affreschi di G. B. Carlone raffiguranti il “ S. Francesco in Gloria” e il ”Sacrificio di Abramo”. Di non minore importanza sono tuttavia le decorazioni settecentesche di abside coro e transetto, del Galeotti e altri affreschi secenteschi di Giovanni Andrea Ansaldo che nobilitano l’Altare della Crocifissione.
S’incontrano poi un gruppo ligneo del Maragliano rappresentante il Battesimo di Gesù , un “S. Francesco che contempla Gesù e Maria” di Domenico Fiasella, una Crocifissione lignea del savonese Antonio Brilla, scultore ottocentesco e un’altra del Maragliano custodita nel corridoio della parrocchia. Per gli appassionati di musica sacra, di particolare interesse è l’organo ottocentesco opera di artigiani bolognesi che sostituì il precedente irrecuperabile strumento settecentesco.
Le sorprese non finiscono qui perché nel refettorio sono conservate “Una cena di Emmaus” di Stefano Magnasco padre del più celebre Alessandro e un bozzetto dell’”Ultima Cena” di Luca Cambiaso. Nel corridoio che porta dalla sacrestia all’archivio “La Crocifissione” di Pier Francesco Sacchi, pittore lombardo di rinomata fama. Questi, pavese di nascita ma albarino d’adozione, morì di peste nel 1528 nella sua Albaro, mentre Genova, provata dal “Sacco” subito quell’anno, inneggiava la ritrovata libertà grazie ad Andrea Doria. Nel corridoio del convento è esposto anche “S. Carlo” una tela del Procaccino.
Infine, nella Sacrestia si conserva un pregevole “Riposo durante la fuga in Egitto” di Francesco Campora, settecentesco poco noto, ma valente maestro della scuola genovese del suo tempo.
Insomma S. Francesco che sia in chiesa, nella sacrestia, nel convento o nel refettorio, in ogni angolo manifesta la sua opulenta devozione.