“La Motivazione…”

"Il Generale Meinhold, scortato fra due ali di Partigiani, abbandona disarmato Genova". La Superba è libera!
“Il Generale Meinhold, scortato fra due ali di Partigiani, abbandona disarmato Genova”.
La Superba è libera!

“Amor di Patria, dolore di popolo oppresso, fiero spirito di ribellione animarono la sua gente nei venti mesi di dura lotta il cui martirologio è nuova fulgida gemma all’aureo serto di gloria della “Suprema” repubblica marinara.
I caduti il cui sangue non è sparso invano, i deportati il cui martirio brucia ancora nelle carni dei superstiti, costituiscono il vessillo che alita sulla città martoriata e che infervorò i partigiani del massiccio suo Apennino e delle impervie valli, tenute dalla VI zona operativa, a proseguire nella epica gesta sino al giorno in cui il suo popolo suonò la diana della insurrezione generale.
Piegata la tracotanza nemica, otteneva la resa del forte presidio tedesco, salvando così il porto, le industrie e l’onore. Il valore, il sacrificio e la volontà dei suoi figli ridettero alla madre sanguinante la concussa libertà e dalle sue fumanti rovine è sorta nuova vita santificata dall’eroismo e dall’olocausto dei suoi martiri. – 9 settembre 1943 – Aprile 1945 “.

"Gli alleati angloamericani entrano in una Città già libera".
“Gli alleati angloamericani entrano in una città, il 26 aprile, già libera”.

Storia di un quartiere…

di un Santo e di un pittore tanto geniale quanto irascibile…
Il Comune di Quinto al mare, il cui nome significa a cinque miglia dal centro di Genova era, fin dal 1033, un Borgo marinaro autonomo dal glorioso passato (secondo alcuni, smentiti peraltro dalle fonti storiche, avrebbe dato i natali anche a Cristoforo Colombo).
Nel 1926 per volere di Mussolini fu inglobato nella “Grande Genova” che si estendeva da Voltri a Nervi.

Sorge alle pendici del Monte Moro da cui degrada sulla costa. Tra la spiaggia e la Torre di avvistamento dei Saraceni svetta sulla scogliera il trecentesco oratorio di S. Erasmo, protettore dei naviganti.

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“La chiesa di S. Erasmo adagiata sulla scogliera di Quinto”.
Il Santo è infatti raffigurato durante il salvataggio da un naufragio.
L’opera è di Pieter Mulier, pittore secentesco olandese, meglio noto come il “Tempesta” per la capacità di ritrarre le navi in balia delle onde.
                                                                Al Museo Galata sono esposte numerose sue tele.

All’interno della chiesa merita una sosta il settecentesco Crocifisso ligneo del Maragliano, l’insuperato maestro celebre per le casse processionali e per il Presepe della Madonnetta.

Tornando invece al pittore “orange” sorge il dubbio che invece il suo soprannome fosse dovuto al carattere litigioso e violento visto che, accusato di aver ucciso la moglie, trascorse alcuni anni nelle celle della Torre Grimaldina a Palazzo Ducale.
 

 

 

Storia di una fontana…

di un saccheggio… di pirati saraceni… di marinai genovesi… e di un lieto fine.

 Nell’anno del Signore 935 d.C., nella zona dell’attuale Piazza Cavour, più o meno in corrispondenza dell’odierno Mercato del pesce, sorgeva una fontana detta del “Bordigotto” che, improvvisamente, iniziò a zampillare sangue, cattivo presagio per il quale i nostri avi non seppero trovare una spiegazione.
Di lì a pochi giorni, mentre i nostri marinai erano impegnati fuori dal golfo, la città fu saccheggiata da una flotta di pirati saraceni;
chiese, edifici pubblici e dimore private furono violate, donne e bambini rapiti con l’intento di essere venduti come schiavi.

"La costruzione di impronta fascista che ospita ancora oggi il Mercato del pesce" Qui un tempo zampillava la fontana del Bordigotto.
“La costruzione di impronta fascista che ospita ancora oggi il Mercato del pesce.”
Qui un tempo zampillava la fontana del Bordigotto.

“I nostri guerrieri troppo lontani sulla pista del bisonte” cantava Faber in “Fiume Sand Creek”.
Ma, all’altezza della Sardegna, i Nostri incrociarono gli infedeli sulla via del ritorno e, dopo aver ingaggiato lunga e cruenta battaglia, ebbero la meglio, si ripresero il maltolto e liberarono i propri cari.
Questo racconto, confermato anche da fonti arabe (almeno nella sostanza), è giunto fino a noi così come ce lo ha tramandato Liutprando da Cremona.
Perché Genova non dovesse più subire simili offese si decise l’erezione delle più antiche mura cittadine di cui si abbia notizia.
Sul tracciato delle quali, opportunamente ampliate circa duecento anni più tardi, sorgeranno quelle ancor oggi visibili, dette del “Barbarossa”.

Storia di un Palazzo…

Nel 1407 divenne, per volere del Maresciallo di Francia Boucicault, sede del Banco delle Compere di San Giorgio, la più antica banca del mondo, che riuniva sotto di sé tutti i monopoli e le compere della Repubblica.

Divenne così potente da essere autonomo dal governo e da far dire a Machiavelli: “Uno Stato nello Stato”

di una prigione e della Banca più antica del mondo…

Edificato nel 1257 da Frate Olivero, per volere del capitano del Popolo Guglielmo Boccanegra  Palazzo San Giorgio veniva chiamato “Palazzo del Mare” perché costruito su uno scoglio bagnato sui tre lati.

In seguito venne utilizzato come Dogana per le navi che proprio lì di fronte attraccavano.

Nelle sue segrete venne rinchiuso il veneziano Marco Polo che dettò al pisano Rustichello la stesura del celebre Milione”

"Parte medievale del palazzo".
“Parte medievale del palazzo”.

Nel 1407 fu, per volere del Maresciallo di Francia Boucicault, sede del Banco delle Compere di San Giorgio, la più antica banca del mondo, che riuniva sotto di sé tutti i monopoli e le compere della Repubblica.

Divenne così potente da essere autonomo dal governo e da far dire a Machiavelli: “Uno Stato nello Stato”.
A metà del ‘500 venne costruita la parte rinascimentale lato mare, mentre quella medioevale era lato Sottoripa.
All’esterno sono presenti delle teste leonine, bottino di guerra, proveniente dal Palazzo dei Veneziani di Costantinopoli.
Sulla facciata della parte rinascimentale oltre all’affresco di S. Giorgio che uccide il Drago (mirabile opera di Lazzaro Tavarone del 1606 restaurata nel 1990 dal Maestro Raimondo Sirotti), sono rappresentati i sei Padri della Patria:

Caffaro (l’autore degli “Annali” che raccontano l’epopea della Repubblica dal 1099 al 1163), Boccanegra (eletto primo Doge nel 1339), G. Embriaco (il conquistatore di Gerusalemme nel 1099), il Principe A. Doria (Ammiraglio supremo di tutte le forze cristiane), C. Colombo (Ammiraglio ed esploratore per conto della Spagna) e B. Assereto (Ammiraglio e Condottiero della Repubblica, eroe della battaglia di Ponza del 1435).

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“La sala del Capitano”. Foto tratta dal sito di Palazzo San Giorgio.

All’ interno sono degni di nota nell’atrio la Statua della Madonna Regina e il casellario delle gabelle.

Ai piani superiori le segrete dove erano custoditi gli immensi tesori, il Salone delle Compere con le statue dei più importanti azionisti del Banco e infine la Sala del Capitano, piastrellata in meravigliosi azulejos (piastrelle in rilievo policrome di fattura araba).

Essendo stata anche dimora dei Conservatori del Mare, oggi è sede del Consorzio Autonomo del Porto.

"La sala delle Compere".

“La sala delle Compere”.

In Copertina: Il fronte lato mare di Palazzo San Giorgio.

Storia di un faro…

di una fortezza, di una torre, della Lanterna…

La tradizione per convenzione adotta il 1128 come anno di fondazione del nostro Faro ma si sa che già precedentemente, nel luogo dove sarebbe poi sorta si bruciavano steli di brisca, la ginestra raccolta a Briscata in Val Bisagno, per comunicare con le navi.

Leggenda narra che, proprio come accadeva nell’antico Egitto con gli architetti delle Piramidi, il suo costruttore perché non replicasse simil prodigio, una volta terminata l’opera venne buttato giù dalla torre.

Un’altra versione di tale vicenda racconta invece che il maestro venne eliminato per non corrispondergli il dovuto emolumento.

Dopo questa breve escursione nelle favole senza fondamento torniamo piuttosto alla storia, quella vera.

La Lanterna aveva la duplice funzione di faro e fortificazione e tutti gli utenti del Porto erano tenuti a contribuire alla sua manutenzione.

"La Lanterna al tramonto".
“La Lanterna al tramonto”. Foto di Irene Tasso.

A partire dal 1320 venne dotata di cinquantadue lampade ad olio e di vetri piombati provenienti da Altare e Masone.

Nel 1507 ai suoi piedi, per volere dei francesi, venne edificata la fortezza della Briglia per controllare la città dal mare così come facevano dal Castelletto da terra.

I Genovesi si ribellarono e distrussero i simboli dell’occupazione straniera.

Nel demolire la Briglia la Lanterna venne danneggiata e rimase per circa trent’anni senza un piano, a metà.

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” Veduta di Genova”. Lanterna e Torre dei Greci a presidio dell’arco portuale, opera di Cristoforo Grassi 1597 Museo Navale di Pegli. Il quadro rappresenta la parata militare della spedizione cristiana voluta da Papa Sisto IV e dal Cardinale Paolo Fregoso per liberare nel 1481 Otranto dai Turchi”.

Come la vediamo noi oggi risale al 1543 e da allora ha sopportato valorosa i bombardamenti del 1684 del Re Sole, del 1746 della Rivolta anti austriaca del Balilla, del 1849 del piemontese La Marmora, del 1800 degli inglesi che assediavano il generale napoleonico Massena, fino a quelli della seconda Guerra Mondiale.

Comprendendo la scogliera di Capo di Faro, Promontorio o San Benigno, che dir si voglia, su cui svetta, alta 117  metri, la Lanterna ci illumina e ci protegge in “saecula saeculorum”.

Storia di nasi, orecchie, embarghi…

di partite a scacchi… e di vendette…. quando si dice perdere la Trebisonda…
Siamo nel 1314 e Megollo Lercari è ospite di Alessio II Re di Trebisonda sul Mar Nero, quando, durante una partita a scacchi, viene provocato e insultato da un suo cortigiano, un tal Andronico, favorito del sovrano.
Megollo viene placato dai presenti mentre il Re prende le difese del suo suddito.
Lercari, infuriato, rientra a Genova, raduna amici e parenti, arma due galee e ritorna nel Mar Nero, posizionandosi all’ingresso del porto della città turca impedendo a chiunque di avvicinarsi, pena il taglio di nasi e orecchie che vengono conservati in un vaso di salamoia.
Commosso da un vecchio marinaio, pronto a sacrificarsi pur di salvare i tre nipoti a bordo con lui, lo grazia affidandogli il vaso da consegnare al Re.

Questi, intimorito, consegna il suddito insolente al nobile genovese il quale, raggiuntolo sulla spiaggia tremante, gli intimò di girarsi e gli sferrò un calcio nel sedere, proferendo il famoso epitteto, alludendo sarcasticamente al rapporto intimo che lo legava al monarca:

"Fronte del Palazzo Lercari".
“Fronte del Palazzo Lercari”.
“La costruzione del fondaco di Trebisonda”. Affresco cinquecentesco di Luca Cambiaso al piano nobile di Palazzo Lercari Parodi in Via Garibaldi 3.
“Non aver paura… non sai che i Genovesi non se la prendono con le femminucce”.
Secondo un’altra versione che non cambia la sostanza Megollo sferrò un calcio nel volto di Andronico. Il genovese stipulò nuovi accordi commerciali, ottenne privilegi daziari e il permesso di costruire un fondaco nella città turca. Le vicende del condottiero sono illustrate al piano nobile di Palazzo Lercari da un dipinto di Luca Cambiaso e, presso Villa Spinola di San Pietro a Sampierdarena, in un ciclo d’affreschi del 1622 – 1625, da Giovanni Carlone, figlio del più celebre Taddeo.

Ecco perché nella parte esterna di S. Lorenzo è presente una scacchiera e, in Via Garibaldi, il Palazzo Lercari mostra sul portone d’ingresso due telamoni, scolpiti da Taddeo Carlone, privi di nasi e orecchie.

“Megollo riferisce l’accaduto a parenti e amici”. Villa Spinola, Giovanni Carlone.
“Megollo impone l’embargo e, a chi lo viola, dà battaglia”. Villa Spinola, Giovanni Carlone.
“La consegna del barilotto contenente i nasi e le orecchie in salamoia”. Villa Spinola, Giovanni Carlone.
“Al centro della scena Megollo sferra il calcio in volto ad Andronico”. Villa Spinola,  Giovanni Carlone.
In Copertina: Il portone con i telamoni di palazzo Lercari Parodi in Via Garibaldi n. 3. Foto di Stefano Eloggi.

Storia di una misteriosa scacchiera…

Incastonata sulla parete esterna di sinistra della Cattedrale di S. Lorenzo compare una misteriosa scacchiera.
Questa appartenne a Megollo Lercari che nel 1314, ospite a Trebisonda del Re Alessio II, venne durante una partita a scacchi, da un suo cortigiano insolentito, un tal Andronico.
Megollo diede scacco matto al suo avversario e, come già narrato in apposito post, mise in atto la sua terribile e feroce vendetta:
“Sappi tu e sappiano i Greci tutti che chi offende un genovese deve attendere inesorabile il castigo.

"Atrio e scalone di Palazzo Lercari".
“Atrio e scalone di Palazzo Lercari”. Foto di Leti Gagge.
“Affresco cinquecentesco di Luca Cambiaso al piano nobile di Palazzo Lercari Parodi che illustra la costruzione del fondaco di Trebisonda”.

Noi genovesi siamo tutti della stessa tempra, per cui se io fossi morto o preso prima che la mia vendetta fosse compiuta, altri genovesi sarebbero giunti a portarla a termine”.
La scacchiera ricorda lo scacco matto della vendetta lavata con il sangue dal valoroso genovese.

“Megollo sferra un calcio al volto di Andronico”. Affresco del 1622 – 1625 di Giovanni Carlone presso Villa Spinola di San Pietro a Sampierdarena”.

Non tutti però concordano con questa versione. Almeno altre due sono le ipotesi accreditate dagli studiosi: la prima legata e correlata ad altre simbologie presenti in Cattedrale, rimanda ai cavalieri Templari dei quali la scacchiera sarebbe una esoterica testimonianza. La seconda, riferita dal Caffaro nei suoi Annali, racconta di una disputa, nel XII sec. al tempo della nascente rivalità fra Genova Pisa, risolta fra le due contendenti con una partita a scacchi vinta dai genovesi. In ricordo di quella vittoria la scacchiera sarebbe stata così murata in S. Lorenzo.

Storia di palanche…

Nel ‘500, al tempo di Carlo V, A. Doria fece una scelta strategica che avrebbe segnato in positivo le sorti della città.
Optando infatti per l’alleanza con la Spagna ai danni della Francia contribuì al secolo di maggior splendore economico della Superba.
Non solo A. Doria venne nominato Ammiraglio Capo di tutto l’Impero e, più tardi di tutte le forze cristiane, ma anche le maestranze genovesi ottennero numerose e lucrose commesse per l’armamento della flotta spagnola.
Da un lato i genovesi, in particolare gli Spinola, i Doria e i Centurione finanziarono con ingenti prestiti le attività militari dell’Impero, dall’altra ottennero di occuparsi in esclusiva di tutte le attività marittime ai danni degli Aragonesi, i più importanti esperti di mare iberici.
Tanta era l’opulenza della Superba che venne coniato il famoso adagio “L’oro nasce in America, cresce in Spagna e muore a Genova”.
Proprio in quel periodo cominciò a circolare in città una moneta spagnola il Blanco che, per storpiatura onomatopeica planco, palanco, si cristallizzò infine in “palanca” dando così origine al modo, ancor oggi in uso, di indicare i soldi tanto caro a noi zeneizi.

Vico e Piazza dell’Amor Perfetto…

Il toponimo trae origine dalla famiglia Finamore che aveva parecchie proprietà nel vicolo.
Un’altra teoria sostiene invece che il nome derivi dalla posa estatica della Madonna di un’edicola votiva, oggi scomparsa, che un tempo adornava il caruggio.
Ma la versione più fascinosa e romantica, anche se priva di fondamento storico, visto l’improbabile scenario logistico, è invece quella che narra del leggendario “intendio”, l’amor platonico fra la nobildonna genovese, Tommasina Spinola e il re di Francia Luigi XII
 
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“Luigi XII entra a Genova, in Italia, il 29 aprile 1507”. >Miniatura da “Voyage de Gênes”. L’opera, del poeta Jean Marot (1450 circa – 1526), fu composta nel 1520 circa a Tours, in Francia, con le miniature dipinte da Jean Bourdichon (Tours 1457 circa – 1521). BnF (Bibliothèque nationale de France), Parigi.

 

Difficile infatti immaginare nella realtà una frequentazione di tali popolari contrade per personaggi di quel lignaggio.
Il re sotto mentite spoglie più volte passò, durante i suoi soggiorni genovesi, in quel vicolo per vedere la sua amata.
Tommasina, fedelissima moglie, morì di crepacuore nel 1505 a causa di questo casto, profondissimo e impossibile amore, dopo aver appreso la falsa notizia della morte del sovrano.
Il re, tornato da nemico a Genova e appresa la triste novella, volle recarsi ancora una volta sotto le finestre dell’amata e lì avrebbe pronunziato la celebre frase “Avrebbe potuto essere l’amor perfetto”.

“Piazza dello Amor Perfetto”.
“Nella piazza un bel sovrapporta di S. Giorgio che uccide il drago”,

“Le finestre di Tommasina”.

Il pittore Ludovico Brea inserì il ritratto della poveretta (ritenuta una delle più belle donne del suo tempo) nel suo celebre capolavoro, intitolato il “Paradiso”, conservato ancor oggi nel museo di S. Maria in Castello.

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“Il Paradiso di Ludovico Brea”.
 
“Luigi XII entra a Genova, in Italia, il 29 aprile 1507”.
Splendida e complessa miniatura da “Voyage de Gênes”.
L’opera, del poeta Jean Marot (1450 circa – 1526), fu composta nel 1520 circa a Tours, in Francia, con le miniature dipinte da Jean Bourdichon (Tours 1457 circa – 1521). BnF (Bibliothèque nationale de France), Parigi.

Storia di un Parco e dei suoi illustri visitatori…

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“Gioco del pallone sui bastioni dell’Acquasola, secolo XIX”.

 

Anticamente percorrendo l’attuale Via Luccoli (dal latino “luculus” bosco sacro) si raggiungeva il tempio intitolato agli dei pagani Acca (luna) e Solis ( sole).
Da qui il nome Acquasola.
A metà del ‘500, munito dall’omonima porta, in seguito al potenziamento della cinta muraria voluta dall’Amm. Andrea  Doria, il luogo venne utilizzato per raccogliere i detriti derivati dalla costruzione della Strada Nuova (attuale Via Garibaldi) e, per questo, chiamato “i Muggi”.
In seguito, l’area compresa fra Piazza Corvetto e i bastioni cinquecenteschi, venne utilizzata come parco pubblico fino al 1657, anno di una terribile peste, quando fu convertito in cimitero.
Le catacombe sono ancora presenti più o meno nel tratto compreso fra i laghetti dei cigni (che pare verranno ripristinati) e il complesso di S. Stefano.
Opportunamente abbellito e ampliato, sul finire del ‘700, diventa meta della noblesse ospite in città….

"Dame a passeggio".
“Dame a passeggio”.

Fra gli altri Gustav Re di Svezia, il Principe di Condè, l’Imperatore d’Austria, i reali britannici e gli Arciduchi milanesi. 

Nell’800 il Parco raggiunse il massimo splendore al punto di conquistarsi il nome di un Viale di Mosca.

Nella speranza che, dopo la recente inaugurazione, ritrovi se non gli antichi fasti, almeno il perduto decoro degli anni ’70, quando era meta domenicale delle famiglie…