“Amor di Patria, dolore di popolo oppresso, fiero spirito di ribellione animarono la sua gente nei venti mesi di dura lotta il cui martirologio è nuova fulgida gemma all’aureo serto di gloria della “Suprema” repubblica marinara.
I caduti il cui sangue non è sparso invano, i deportati il cui martirio brucia ancora nelle carni dei superstiti, costituiscono il vessillo che alita sulla città martoriata e che infervorò i partigiani del massiccio suo Apennino e delle impervie valli, tenute dalla VI zona operativa, a proseguire nella epica gesta sino al giorno in cui il suo popolo suonò la diana della insurrezione generale.
Piegata la tracotanza nemica, otteneva la resa del forte presidio tedesco, salvando così il porto, le industrie e l’onore. Il valore, il sacrificio e la volontà dei suoi figli ridettero alla madre sanguinante la concussa libertà e dalle sue fumanti rovine è sorta nuova vita santificata dall’eroismo e dall’olocausto dei suoi martiri. – 9 settembre 1943 – Aprile 1945 “.
Categoria: Racconti
Storia di un quartiere…
Sorge alle pendici del Monte Moro da cui degrada sulla costa. Tra la spiaggia e la Torre di avvistamento dei Saraceni svetta sulla scogliera il trecentesco oratorio di S. Erasmo, protettore dei naviganti.
All’interno della chiesa merita una sosta il settecentesco Crocifisso ligneo del Maragliano, l’insuperato maestro celebre per le casse processionali e per il Presepe della Madonnetta.
Storia di una fontana…
di un saccheggio… di pirati saraceni… di marinai genovesi… e di un lieto fine.
chiese, edifici pubblici e dimore private furono violate, donne e bambini rapiti con l’intento di essere venduti come schiavi.
“I nostri guerrieri troppo lontani sulla pista del bisonte” cantava Faber in “Fiume Sand Creek”.
Ma, all’altezza della Sardegna, i Nostri incrociarono gli infedeli sulla via del ritorno e, dopo aver ingaggiato lunga e cruenta battaglia, ebbero la meglio, si ripresero il maltolto e liberarono i propri cari.
Questo racconto, confermato anche da fonti arabe (almeno nella sostanza), è giunto fino a noi così come ce lo ha tramandato Liutprando da Cremona.
Perché Genova non dovesse più subire simili offese si decise l’erezione delle più antiche mura cittadine di cui si abbia notizia.
Sul tracciato delle quali, opportunamente ampliate circa duecento anni più tardi, sorgeranno quelle ancor oggi visibili, dette del “Barbarossa”.
Storia di un Palazzo…
Nel 1407 divenne, per volere del Maresciallo di Francia Boucicault, sede del Banco delle Compere di San Giorgio, la più antica banca del mondo, che riuniva sotto di sé tutti i monopoli e le compere della Repubblica.
Divenne così potente da essere autonomo dal governo e da far dire a Machiavelli: “Uno Stato nello Stato”
di una prigione e della Banca più antica del mondo…
Edificato nel 1257 da Frate Olivero, per volere del capitano del Popolo Guglielmo Boccanegra Palazzo San Giorgio veniva chiamato “Palazzo del Mare” perché costruito su uno scoglio bagnato sui tre lati.
In seguito venne utilizzato come Dogana per le navi che proprio lì di fronte attraccavano.
Nelle sue segrete venne rinchiuso il veneziano Marco Polo che dettò al pisano Rustichello la stesura del celebre Milione”
Nel 1407 fu, per volere del Maresciallo di Francia Boucicault, sede del Banco delle Compere di San Giorgio, la più antica banca del mondo, che riuniva sotto di sé tutti i monopoli e le compere della Repubblica.
Caffaro (l’autore degli “Annali” che raccontano l’epopea della Repubblica dal 1099 al 1163), Boccanegra (eletto primo Doge nel 1339), G. Embriaco (il conquistatore di Gerusalemme nel 1099), il Principe A. Doria (Ammiraglio supremo di tutte le forze cristiane), C. Colombo (Ammiraglio ed esploratore per conto della Spagna) e B. Assereto (Ammiraglio e Condottiero della Repubblica, eroe della battaglia di Ponza del 1435).
“La sala del Capitano”. Foto tratta dal sito di Palazzo San Giorgio.
All’ interno sono degni di nota nell’atrio la Statua della Madonna Regina e il casellario delle gabelle.
Essendo stata anche dimora dei Conservatori del Mare, oggi è sede del Consorzio Autonomo del Porto.
“La sala delle Compere”.
In Copertina: Il fronte lato mare di Palazzo San Giorgio.
Storia di un faro…
di una fortezza, di una torre, della Lanterna…
La tradizione per convenzione adotta il 1128 come anno di fondazione del nostro Faro ma si sa che già precedentemente, nel luogo dove sarebbe poi sorta si bruciavano steli di brisca, la ginestra raccolta a Briscata in Val Bisagno, per comunicare con le navi.
Leggenda narra che, proprio come accadeva nell’antico Egitto con gli architetti delle Piramidi, il suo costruttore perché non replicasse simil prodigio, una volta terminata l’opera venne buttato giù dalla torre.
Un’altra versione di tale vicenda racconta invece che il maestro venne eliminato per non corrispondergli il dovuto emolumento.
Dopo questa breve escursione nelle favole senza fondamento torniamo piuttosto alla storia, quella vera.
La Lanterna aveva la duplice funzione di faro e fortificazione e tutti gli utenti del Porto erano tenuti a contribuire alla sua manutenzione.
A partire dal 1320 venne dotata di cinquantadue lampade ad olio e di vetri piombati provenienti da Altare e Masone.
Nel 1507 ai suoi piedi, per volere dei francesi, venne edificata la fortezza della Briglia per controllare la città dal mare così come facevano dal Castelletto da terra.
I Genovesi si ribellarono e distrussero i simboli dell’occupazione straniera.
Nel demolire la Briglia la Lanterna venne danneggiata e rimase per circa trent’anni senza un piano, a metà.
Come la vediamo noi oggi risale al 1543 e da allora ha sopportato valorosa i bombardamenti del 1684 del Re Sole, del 1746 della Rivolta anti austriaca del Balilla, del 1849 del piemontese La Marmora, del 1800 degli inglesi che assediavano il generale napoleonico Massena, fino a quelli della seconda Guerra Mondiale.
Comprendendo la scogliera di Capo di Faro, Promontorio o San Benigno, che dir si voglia, su cui svetta, alta 117 metri, la Lanterna ci illumina e ci protegge in “saecula saeculorum”.
Storia di nasi, orecchie, embarghi…
Questi, intimorito, consegna il suddito insolente al nobile genovese il quale, raggiuntolo sulla spiaggia tremante, gli intimò di girarsi e gli sferrò un calcio nel sedere, proferendo il famoso epitteto, alludendo sarcasticamente al rapporto intimo che lo legava al monarca:
Ecco perché nella parte esterna di S. Lorenzo è presente una scacchiera e, in Via Garibaldi, il Palazzo Lercari mostra sul portone d’ingresso due telamoni, scolpiti da Taddeo Carlone, privi di nasi e orecchie.
Storia di una misteriosa scacchiera…
Questa appartenne a Megollo Lercari che nel 1314, ospite a Trebisonda del Re Alessio II, venne durante una partita a scacchi, da un suo cortigiano insolentito, un tal Andronico.
Megollo diede scacco matto al suo avversario e, come già narrato in apposito post, mise in atto la sua terribile e feroce vendetta:
“Sappi tu e sappiano i Greci tutti che chi offende un genovese deve attendere inesorabile il castigo.
Noi genovesi siamo tutti della stessa tempra, per cui se io fossi morto o preso prima che la mia vendetta fosse compiuta, altri genovesi sarebbero giunti a portarla a termine”.
La scacchiera ricorda lo scacco matto della vendetta lavata con il sangue dal valoroso genovese.
Non tutti però concordano con questa versione. Almeno altre due sono le ipotesi accreditate dagli studiosi: la prima legata e correlata ad altre simbologie presenti in Cattedrale, rimanda ai cavalieri Templari dei quali la scacchiera sarebbe una esoterica testimonianza. La seconda, riferita dal Caffaro nei suoi Annali, racconta di una disputa, nel XII sec. al tempo della nascente rivalità fra Genova Pisa, risolta fra le due contendenti con una partita a scacchi vinta dai genovesi. In ricordo di quella vittoria la scacchiera sarebbe stata così murata in S. Lorenzo.
Storia di palanche…
Optando infatti per l’alleanza con la Spagna ai danni della Francia contribuì al secolo di maggior splendore economico della Superba.
Non solo A. Doria venne nominato Ammiraglio Capo di tutto l’Impero e, più tardi di tutte le forze cristiane, ma anche le maestranze genovesi ottennero numerose e lucrose commesse per l’armamento della flotta spagnola.
Da un lato i genovesi, in particolare gli Spinola, i Doria e i Centurione finanziarono con ingenti prestiti le attività militari dell’Impero, dall’altra ottennero di occuparsi in esclusiva di tutte le attività marittime ai danni degli Aragonesi, i più importanti esperti di mare iberici.
Tanta era l’opulenza della Superba che venne coniato il famoso adagio “L’oro nasce in America, cresce in Spagna e muore a Genova”.
Proprio in quel periodo cominciò a circolare in città una moneta spagnola il Blanco che, per storpiatura onomatopeica planco, palanco, si cristallizzò infine in “palanca” dando così origine al modo, ancor oggi in uso, di indicare i soldi tanto caro a noi zeneizi.
Vico e Piazza dell’Amor Perfetto…
Un’altra teoria sostiene invece che il nome derivi dalla posa estatica della Madonna di un’edicola votiva, oggi scomparsa, che un tempo adornava il caruggio.
Ma la versione più fascinosa e romantica, anche se priva di fondamento storico, visto l’improbabile scenario logistico, è invece quella che narra del leggendario “intendio”, l’amor platonico fra la nobildonna genovese, Tommasina Spinola e il re di Francia Luigi XII.
Il re sotto mentite spoglie più volte passò, durante i suoi soggiorni genovesi, in quel vicolo per vedere la sua amata.
Tommasina, fedelissima moglie, morì di crepacuore nel 1505 a causa di questo casto, profondissimo e impossibile amore, dopo aver appreso la falsa notizia della morte del sovrano.
Il re, tornato da nemico a Genova e appresa la triste novella, volle recarsi ancora una volta sotto le finestre dell’amata e lì avrebbe pronunziato la celebre frase “Avrebbe potuto essere l’amor perfetto”.
Il pittore Ludovico Brea inserì il ritratto della poveretta (ritenuta una delle più belle donne del suo tempo) nel suo celebre capolavoro, intitolato il “Paradiso”, conservato ancor oggi nel museo di S. Maria in Castello.
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Storia di un Parco e dei suoi illustri visitatori…
Da qui il nome Acquasola.
A metà del ‘500, munito dall’omonima porta, in seguito al potenziamento della cinta muraria voluta dall’Amm. Andrea Doria, il luogo venne utilizzato per raccogliere i detriti derivati dalla costruzione della Strada Nuova (attuale Via Garibaldi) e, per questo, chiamato “i Muggi”.
In seguito, l’area compresa fra Piazza Corvetto e i bastioni cinquecenteschi, venne utilizzata come parco pubblico fino al 1657, anno di una terribile peste, quando fu convertito in cimitero.
Le catacombe sono ancora presenti più o meno nel tratto compreso fra i laghetti dei cigni (che pare verranno ripristinati) e il complesso di S. Stefano.
Fra gli altri Gustav Re di Svezia, il Principe di Condè, l’Imperatore d’Austria, i reali britannici e gli Arciduchi milanesi.
Nell’800 il Parco raggiunse il massimo splendore al punto di conquistarsi il nome di un Viale di Mosca.
Nella speranza che, dopo la recente inaugurazione, ritrovi se non gli antichi fasti, almeno il perduto decoro degli anni ’70, quando era meta domenicale delle famiglie…