Storia di un Principe…

due Dei… un gigante… e di un fedele guardiano…

Nei primi decenni del ‘500 in località Fassolo fuori le mura, l’ammiraglio Andrea Doria commissiona all’architetto Perin del Vaga, la sua principesca dimora nella quale ospiterà degnamente i potenti del suo tempo.

"Giove e Nettuno si parlano...".
“Giove e Nettuno si parlano…”.
Posizionato davanti alla Porta di S. Tommaso (dove oggi sorge la Stazione marittima), in modo da poter accedere autonomamente alle proprie galee ricoverate in Darsena, di fronte alla Superba Lanterna, il palazzo è concepito in maniera da essere autosufficiente in caso di assedio.
Lungo tutta la collina sovrastante sono presenti abbondanti selvaggina e frutteti, verso San Teodoro il Principe fa addirittura costruire un lago artificiale (ancora oggi presente ricoperto dal campo da calcio), chiamato poi, nell’800 Lagaccio, da cui il celebre biscotto (ma queste sono altre storie).

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“Originale rappresentazione dei giardini settentrionali con raffigurato anche l’autore nell’atto di dipingere”.

Di fronte, prima di accedere al porto, un ampio giardino dove troneggia una fontana che lo ritrae nei panni di Nettuno, chiaro riferimento alla sua supremazia marittima.
Dove oggi si staglia il Miramare il nipote Gian Andrea, nel 1566 in omaggio al nonno, farà erigere la Statua di Giove (a immagine di Carlo V), rivolta verso Nettuno, perché gli tenesse compagnia.
Il Dio del Mare e il Padre degli Dei sembrano infatti comunicare fra di loro.

"Ritratto del Gran Roldano presso il Palazzo del Principe".
“Ritratto del Gran Roldano opera di Aurelio Lomi presso il Palazzo del Principe”.

La Statua di Giove, alta circa otto metri, fu soprannominata del “Gigante”e, ai suoi piedi nel 1615 come ricordato da una lapide “per la molta sua fede et benevolentia”, fu ricavata la tomba del “Gran Roldano”, il cane da guardia donato dal re di Spagna Filippo II a Gian Andrea, erede dell’ammiraglio, in segno di stima e amicizia, come già aveva fatto il suo antenato Carlo V con, appunto, Andrea.
Nel 1939, ormai trascurata e fastidiosa alle nuove strutture circostanti, venne demolita.

La statua del Gigante nei primi anni del ‘900. Sullo sfondo la chiesa di San Rocco.
“La targa, posta dietro al Miramare, della sepoltura del Gran Roldano coperta dai rovi”.

Storia breve di grandi marinai…

… esploratori…
Genova, la Dominante del mare, detta poi Superba dal Petrarca, da tempo immemore ha costruito la sua fortuna con i commerci con il Levante e, quando questi sono stati messi in pericolo dalle orde mongoliche, ha esplorato nuove soluzioni.
Come nel 1291, quando Tedisio Doria e Ugolino e Vadino Vivaldi armarono due galee e intrapresero “il folle volo” da cui Dante trasse ispirazione per narrare di Ulisse nella Divina Commedia.

"Il dantesco folle volo di Ulisse"
“Il dantesco folle volo di Ulisse”

Si diressero allo stretto di Ceuta, varcarono le colonne di Ercole, cosa a quel tempo inaudita, e solcarono l’Oceano, veleggiarono lungo le coste di Gozora (Agadir, Marocco del sud).
Dopo di ciò di loro non si ebbero più notizie, probabilmente naufragarono e, se sopravvissero, si accompagnarono a qualche solare indigena ma non fecero più ritorno.
In ogni caso avevano anticipato la rotta e segnato la via.
Così si concluse un secolo, il Duecento, in cui i Genovesi avevano già ampiamente dimostrato di essere, nelle cose di mare, inarrivabili.
Basti pensare a Ugo della Volta primo Ammiraglio di Castiglia, al Lercari e al da Levanto Ammiragli di San Luigi re di Francia, al Boccanegra creatore dell’Arsenale di Aigues Mortes o ad Ansaldo Mallone al servizio dell’Inghilterra e a Benedetto Zaccaria  “almirante mayor de la Mar” della flotta militare castigliana.
Così nel Trecento e, soprattutto nel Quattrocento, i Genovesi al soldo delle potenze straniere, delineano il mondo e lo tracciano sulle proprie cartine (visibili a Palazzo Ducale, Museo Galata e Museo navale di Pegli), arte nella quale dimostrano tutta la propria perizia:
In Portogallo i Pessagno, ammiragli per diritto familiare sono gli antesignani della ricerca di “vie nuove”;
Lanzarotto di Malocello (da cui il nome dell’isola di Lanzarote) scopre la rotta delle Canarie (1312) ; Nicoloso da Recco quella delle Azzorre (1341); Antonio da Noli quella di Capoverde (1441) ; infine Antonio Usodimare insieme al veneziano Alvise da Mosto, la via lungo le coste africane, fino al Golfo di Guinea (1445).
Senza dimenticare, stavolta via terra, sempre in Africa, la presenza alla ricerca dell’oro di Palola, di Antonio Malfante (1447).

"Lapide di Ansaldo Mallone in Piazza Cattaneo".
“Lapide di Antonio Malfante in Piazza Cattaneo”.

"Lapide di Noli in ricordo di Antoniotto illustre concittadino".
“Lapide di Noli in ricordo di Antoniotto illustre concittadino”.

E, quando il mondo non avrà più segreti, troppo piccolo per soddisfare la sete di avventura, la voglia di esplorare e, il bisogno di espansione in nuovi mercati si sarà palesato impellente, i nostri avi ne inventeranno uno nuovo.
Nel 1492 Cristoforo Colombo il più celebre e qui sarò blasfemo, ma non il più grande dei nostri Ammiragli, scoprirà il Nuovo Mondo.

In Copertina: Portolano  di fine ‘400 di Albino de Canepa cittadino genovese attivo alla fine del XV sec.

Storia di marinai…

galee… scoperte geografiche… cartografi.

Genova e il mare sono un binomio inscindibile non c’è mare senza Genova e viceversa.
Nel libro Genesi, il quarto giorno Dio crea il mare e dice a Genova: “prendilo è tuo”.

Naturalmente sto scherzando ma il mare per Genova significa commercio, sostentamento, campo di battaglia, scoperta, scalo portuale, vita!

I genovesi ereditano dai greci e dai romani la vocazione marittima per farne un’arte di millenaria tradizione.
Nel ‘200 i fratelli Vivaldi anticipano con il loro “folle volo” dantesco le rotte di Colombo.
Antonio da Noli scoprirà Capo Verde, Lanzarotto di Maloccello, le Canarie (da qui Lanzarote), altri esploratori e marinai, per conto dei portoghesi, le Azzorre.
Quando il mondo é svelato Colombo, per azzardo e caso, ne scopre un altro.

I cartografi genovesi (vedi Museo navale di Pegli e il Galata) rappresentano geograficamente e politicamente i nuovi mondi, come nessun altro.

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“Galea genovese, quadro conservato nel Museo di Pegli”.
Nel ‘500 la flotta di galee più numerosa è quella veneziana, poi segue quella turca, terza la genovese ma prima per qualità costruttiva.
Se quelle degli altri durano in media dodici anni, quelle genovesi diciotto.
I nostri Maestri d’ascia, come i tecnici della formula uno oggi, erano assoldati dalle potenze straniere per trasferirvi il loro sapere.
Si diceva: “… per essere un vero marinaio devi aver navigato sulle navi di S. Giorgio”.
Galee genovesi ROSSE, su un mare BLU (che bei colori… ritornano sempre).
Scoperto il nuovo mondo costruiscono navi più grandi, idonee a trasportare ori e argenti e merci sconosciute, adatte a superare le onde e i venti dell’Atlantico, le Caracche antenate dei galeoni.
“L’oro nasce in America, cresce in Spagna, muore a Genova”…. recitava un vecchio adagio spagnolo.

Riproduzione in scala 1:1 di galea genovese del seicento. Foto tratta dal Galata Museo del Mare.

In copertina: Progetto per la poppa di una nave di Domenico Piola. Foto del Prof. Emiliano Beri.

La congiura dei Vacchero…

L’anno 1628 è teatro della più terribile congiura, talmente pericolosa, da mettere a repentaglio la sussistenza della Repubblica stessa.
Giulio Cesare Vacchero, nobile membro della casata dei Vacca (gli stessi dell’omonima Porta), in combutta con Carlo Emanuele di Savoia, progetta l’occupazione del Palazzo Ducale e l’omicidio del Doge e dei Senatori con conseguente ingresso del Savoiardo in città.
Alcuni membri implicati nella congiura vengono però scoperti e raccontano ai Magistrati quanto avrebbe dovuto accadere.
Vacchero e i suoi soci, dopo aver tentato la fuga, vengono arrestati.
Carlo Emanuele, minacciando l’uccisione di cinque nobili genovesi prigionieri di guerra, intercede in loro favore anche presso la corte spagnola, in quel tempo sua alleata.
Nonostante le pressioni ispaniche il Minor Consiglio, al fine di salvaguardare l’autonomia di giudizio della Repubblica, convalida l’arresto e dà ordine di procedere alla sentenza.
Vacchero, Fornari e Zignago, i principali componenti della “rassa” (congiura in genovese) vengono giustiziati.

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La fontana che ricopre la colonna infame dei Vacchero. Foto di Stefano Eloggi.


Le abitazioni dei Vacchero abbattute e, al loro posto, ancora oggi visibile in Via del Campo, viene eretta la celebre colonna infame che così recita a perenne ricordo dell’accaduto..
“Memoria infamante sia di Giulio Cesare Vacchero uomo scellerato che, per aver cospirato contro la Repubblica, fu pubblicamente decapitato, banditi i suoi figli, rasa al suolo la casa ebbe pena nell’anno 1628.”
Pena impeccabile a monito di chiunque osasse tramare contro la Repubblica.
Gli eredi, qualche anno dopo, nella speranza di occultare tale stele, vi fecero costruire davanti un’imponente pubblica fontana odierno luogo di preghiera dei Musulmani al venerdì.

 

“La Motivazione…”

"Il Generale Meinhold, scortato fra due ali di Partigiani, abbandona disarmato Genova". La Superba è libera!
“Il Generale Meinhold, scortato fra due ali di Partigiani, abbandona disarmato Genova”.
La Superba è libera!

“Amor di Patria, dolore di popolo oppresso, fiero spirito di ribellione animarono la sua gente nei venti mesi di dura lotta il cui martirologio è nuova fulgida gemma all’aureo serto di gloria della “Suprema” repubblica marinara.
I caduti il cui sangue non è sparso invano, i deportati il cui martirio brucia ancora nelle carni dei superstiti, costituiscono il vessillo che alita sulla città martoriata e che infervorò i partigiani del massiccio suo Apennino e delle impervie valli, tenute dalla VI zona operativa, a proseguire nella epica gesta sino al giorno in cui il suo popolo suonò la diana della insurrezione generale.
Piegata la tracotanza nemica, otteneva la resa del forte presidio tedesco, salvando così il porto, le industrie e l’onore. Il valore, il sacrificio e la volontà dei suoi figli ridettero alla madre sanguinante la concussa libertà e dalle sue fumanti rovine è sorta nuova vita santificata dall’eroismo e dall’olocausto dei suoi martiri. – 9 settembre 1943 – Aprile 1945 “.

"Gli alleati angloamericani entrano in una Città già libera".
“Gli alleati angloamericani entrano in una città, il 26 aprile, già libera”.

Storia di un quartiere…

di un Santo e di un pittore tanto geniale quanto irascibile…
Il Comune di Quinto al mare, il cui nome significa a cinque miglia dal centro di Genova era, fin dal 1033, un Borgo marinaro autonomo dal glorioso passato (secondo alcuni, smentiti peraltro dalle fonti storiche, avrebbe dato i natali anche a Cristoforo Colombo).
Nel 1926 per volere di Mussolini fu inglobato nella “Grande Genova” che si estendeva da Voltri a Nervi.

Sorge alle pendici del Monte Moro da cui degrada sulla costa. Tra la spiaggia e la Torre di avvistamento dei Saraceni svetta sulla scogliera il trecentesco oratorio di S. Erasmo, protettore dei naviganti.

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“La chiesa di S. Erasmo adagiata sulla scogliera di Quinto”.

Il Santo è infatti raffigurato durante il salvataggio da un naufragio.
L’opera è di Pieter Mulier, pittore secentesco olandese, meglio noto come il “Tempesta” per la capacità di ritrarre le navi in balia delle onde.
                                                                Al Museo Galata sono esposte numerose sue tele.

All’interno della chiesa merita una sosta il settecentesco Crocifisso ligneo del Maragliano, l’insuperato maestro celebre per le casse processionali e per il Presepe della Madonnetta.

Tornando invece al pittore “orange” sorge il dubbio che invece il suo soprannome fosse dovuto al carattere litigioso e violento visto che, accusato di aver ucciso la moglie, trascorse alcuni anni nelle celle della Torre Grimaldina a Palazzo Ducale.
 

 

 

Storia di una fontana…

di un saccheggio… di pirati saraceni… di marinai genovesi… e di un lieto fine.

 Nell’anno del Signore 935 d.C., nella zona dell’attuale Piazza Cavour, più o meno in corrispondenza dell’odierno Mercato del pesce, sorgeva una fontana detta del “Bordigotto” che, improvvisamente, iniziò a zampillare sangue, cattivo presagio per il quale i nostri avi non seppero trovare una spiegazione.
Di lì a pochi giorni, mentre i nostri marinai erano impegnati fuori dal golfo, la città fu saccheggiata da una flotta di pirati saraceni;
chiese, edifici pubblici e dimore private furono violate, donne e bambini rapiti con l’intento di essere venduti come schiavi.

"La costruzione di impronta fascista che ospita ancora oggi il Mercato del pesce" Qui un tempo zampillava la fontana del Bordigotto.
“La costruzione di impronta fascista che ospita ancora oggi il Mercato del pesce.”
Qui un tempo zampillava la fontana del Bordigotto.

“I nostri guerrieri troppo lontani sulla pista del bisonte” cantava Faber in “Fiume Sand Creek”.
Ma, all’altezza della Sardegna, i Nostri incrociarono gli infedeli sulla via del ritorno e, dopo aver ingaggiato lunga e cruenta battaglia, ebbero la meglio, si ripresero il maltolto e liberarono i propri cari.
Questo racconto, confermato anche da fonti arabe (almeno nella sostanza), è giunto fino a noi così come ce lo ha tramandato Liutprando da Cremona.
Perché Genova non dovesse più subire simili offese si decise l’erezione delle più antiche mura cittadine di cui si abbia notizia.
Sul tracciato delle quali, opportunamente ampliate circa duecento anni più tardi, sorgeranno quelle ancor oggi visibili, dette del “Barbarossa”.

Storia di un Palazzo…

Nel 1407 divenne, per volere del Maresciallo di Francia Boucicault, sede del Banco delle Compere di San Giorgio, la più antica banca del mondo, che riuniva sotto di sé tutti i monopoli e le compere della Repubblica.

Divenne così potente da essere autonomo dal governo e da far dire a Machiavelli: “Uno Stato nello Stato”

di una prigione e della Banca più antica del mondo…

Edificato nel 1257 da Frate Olivero, per volere del capitano del Popolo Guglielmo Boccanegra  Palazzo San Giorgio veniva chiamato “Palazzo del Mare” perché costruito su uno scoglio bagnato sui tre lati.

In seguito venne utilizzato come Dogana per le navi che proprio lì di fronte attraccavano.

Nelle sue segrete venne rinchiuso il veneziano Marco Polo che dettò al pisano Rustichello la stesura del celebre Milione”

"Parte medievale del palazzo".
“Parte medievale del palazzo”.

Nel 1407 fu, per volere del Maresciallo di Francia Boucicault, sede del Banco delle Compere di San Giorgio, la più antica banca del mondo, che riuniva sotto di sé tutti i monopoli e le compere della Repubblica.

Divenne così potente da essere autonomo dal governo e da far dire a Machiavelli: “Uno Stato nello Stato”.
A metà del ‘500 venne costruita la parte rinascimentale lato mare, mentre quella medioevale era lato Sottoripa.
All’esterno sono presenti delle teste leonine, bottino di guerra, proveniente dal Palazzo dei Veneziani di Costantinopoli.
Sulla facciata della parte rinascimentale oltre all’affresco di S. Giorgio che uccide il Drago (mirabile opera di Lazzaro Tavarone del 1606 restaurata nel 1990 dal Maestro Raimondo Sirotti), sono rappresentati i sei Padri della Patria:

Caffaro (l’autore degli “Annali” che raccontano l’epopea della Repubblica dal 1099 al 1163), Boccanegra (eletto primo Doge nel 1339), G. Embriaco (il conquistatore di Gerusalemme nel 1099), il Principe A. Doria (Ammiraglio supremo di tutte le forze cristiane), C. Colombo (Ammiraglio ed esploratore per conto della Spagna) e B. Assereto (Ammiraglio e Condottiero della Repubblica, eroe della battaglia di Ponza del 1435).

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“La sala del Capitano”. Foto tratta dal sito di Palazzo San Giorgio.

All’ interno sono degni di nota nell’atrio la Statua della Madonna Regina e il casellario delle gabelle.

Ai piani superiori le segrete dove erano custoditi gli immensi tesori, il Salone delle Compere con le statue dei più importanti azionisti del Banco e infine la Sala del Capitano, piastrellata in meravigliosi azulejos (piastrelle in rilievo policrome di fattura araba).

Essendo stata anche dimora dei Conservatori del Mare, oggi è sede del Consorzio Autonomo del Porto.

"La sala delle Compere".

“La sala delle Compere”.

In Copertina: Il fronte lato mare di Palazzo San Giorgio.

Storia di un faro…

di una fortezza, di una torre, della Lanterna…

La tradizione per convenzione adotta il 1128 come anno di fondazione del nostro Faro ma si sa che già precedentemente, nel luogo dove sarebbe poi sorta si bruciavano steli di brisca, la ginestra raccolta a Briscata in Val Bisagno, per comunicare con le navi.

Leggenda narra che, proprio come accadeva nell’antico Egitto con gli architetti delle Piramidi, il suo costruttore perché non replicasse simil prodigio, una volta terminata l’opera venne buttato giù dalla torre.

Un’altra versione di tale vicenda racconta invece che il maestro venne eliminato per non corrispondergli il dovuto emolumento.

Dopo questa breve escursione nelle favole senza fondamento torniamo piuttosto alla storia, quella vera.

La Lanterna aveva la duplice funzione di faro e fortificazione e tutti gli utenti del Porto erano tenuti a contribuire alla sua manutenzione.

"La Lanterna al tramonto".
“La Lanterna al tramonto”. Foto di Irene Tasso.

A partire dal 1320 venne dotata di cinquantadue lampade ad olio e di vetri piombati provenienti da Altare e Masone.

Nel 1507 ai suoi piedi, per volere dei francesi, venne edificata la fortezza della Briglia per controllare la città dal mare così come facevano dal Castelletto da terra.

I Genovesi si ribellarono e distrussero i simboli dell’occupazione straniera.

Nel demolire la Briglia la Lanterna venne danneggiata e rimase per circa trent’anni senza un piano, a metà.

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” Veduta di Genova”. Lanterna e Torre dei Greci a presidio dell’arco portuale, opera di Cristoforo Grassi 1597 Museo Navale di Pegli. Il quadro rappresenta la parata militare della spedizione cristiana voluta da Papa Sisto IV e dal Cardinale Paolo Fregoso per liberare nel 1481 Otranto dai Turchi”.

Come la vediamo noi oggi risale al 1543 e da allora ha sopportato valorosa i bombardamenti del 1684 del Re Sole, del 1746 della Rivolta anti austriaca del Balilla, del 1849 del piemontese La Marmora, del 1800 degli inglesi che assediavano il generale napoleonico Massena, fino a quelli della seconda Guerra Mondiale.

Comprendendo la scogliera di Capo di Faro, Promontorio o San Benigno, che dir si voglia, su cui svetta, alta 117  metri, la Lanterna ci illumina e ci protegge in “saecula saeculorum”.