Quando al posto del Campo… c’era l’ippodromo…

quando il giovane marchese Musso Piantelli cedette al Genoa, di cui era socio, i terreni occupati dal suo galoppatoio per costruirvi nel 1911, parallelo al prato della Cajenna utilizzato dai rivali dell’Andrea Doria, il primo stadio di football in Italia. I due campi confinanti erano divisi da uno steccato di proprietà dei rossoblù per il quale ricevavano dai biancoblù un canone di affitto e un rimborso per la manutenzione.

Quando nel 1910 una delle manenti del marchese a cui era stata, a causa dei lavori per l’erezione del nuovo stadio, preclusa la luce del sole necessaria alla prosperità dei suoi orti pronunciò la famosa maledizione: “Genoa non vincerai nulla per i prossimi cent’anni; non vedrai più la luce delle vittorie, così come io non vedo più la luce del sole”.

Quando nel 1926 la Cajenna venne dichiarata inagibile ed il Grifone, approfittando della situazione ne entrò in possesso, liquidando con una congrua somma gli indesiderati rivali.

"Il vecchio Ferraris".
“Il vecchio campo di Via del Piano nel 1911”.

Il nuovo campo venne disposto parallelamente e non più perpendicolarmente al Bisagno e, dove un tempo sorgeva il campo della Doria, venne eretta la gradinata nord, cuore indomito della tifoseria genoana.

"Stadio Campo di Via del Piano inaugurato nel 1911".
“Stadio Campo di Via del Piano inaugurato il 22 gennaio 1911”.

Il primo dell’anno del 1933 venne inaugurato il nuovo impianto che aumentò la sua capienza da ventimila a trentamila spettatori e che venne intitolato a Luigi Ferraris capitano del “Vecchio Balordo”, medaglia d’argento al valor militare, caduto durante la Prima guerra mondiale. Nei decenni successivi la capacità venne adattata alle nuove esigenze della passione cittadina fino a ben oltre la soglia delle cinquantacinquemila presenze ospitando anche dal 1946, la neonata Sampdoria.

Quando in occasione di Italia Portogallo fu stabilito il record di affluenza con oltre sessantamila tifosi anche se i 57815 paganti (più circa duemila non paganti) del derby del 28/11/82 terminato 1-1, restano un dato di tutto rispetto.

Negli anni successivi non ci furono particolari stravolgimenti fino alla ristrutturazione dell’architetto Gregotti in occasione dei mondiali di Italia ’90, da allora, complici le restringenti normative di sicurezza, la capienza  è andata progressivamente riducendosi fino a quella attuale di circa trentaseimila spettatori.

"Le carrozze davanti alla tribuna".
“Le auto davanti alla tribuna e alle biglietterie del nuovo Luigi Ferraris nel 1933”. La biglietteria venne costruita nel 1926 ed è tuttora l’unica parte originale del primitivo stadio.

Il Palazzo dello Spicchio….

A Genova capita anche questo, passeggiando nella zona della Maddalena, d’imbattersi all’angolo fra l’omonima piazza e Vico Libarna in un curioso palazzo, soprannominato per via della sua originale forma, dello “Spicchio”.

Di sagoma triangolare termina strettissimo sul lato dello slargo. Venne così progettato sul terrapieno per fare da quinta scenografica al giardino sul retro del palazzo Lazzaro e Giacomo Spinola affacciato in Via Garibaldi ai numeri 8 e 10.

Proprio in corrispondenza infatti del civico n. 10, sul muro del retrostante palazzo dello Spicchio poggia un cinquecentesco ninfeo. Il giardino invece, con l’abbattimento di una grande pianta, è stato ristrutturato, per ospitare un posteggio privato sotterraneo.

Il Ninfeo di Palazzo Lazzaro e Giacomo Spinola in Via Garibaldi n. 10.

Storia di un Re… di un Generale… di un inganno…

poco regale e di un vergognoso monumento.

Nel 1815 in seguito al Congresso di Vienna finalmente i piemontesi riescono a mettere le mani sulla nostra città, di fatto comprata dagli inglesi, i quali a loro volta, l’avevano tolta a Napoleone.

I sabaudi si dimostrano presuntuosi e ostili ma, soprattutto secondo i genovesi, completamente inetti alla gestione del porto, dei commerci e delle questioni marittime.

Così che, quando nel 1849 i Savoia sono costretti all’armistizio con gli austriaci, stufi dei soprusi subiti, i Genovesi insorgono e restituiscono la libertà alla Repubblica.

"Quadro allegorico del Guascone, conservato all'Istituto mazziniano che rappresenta in modo sarcastico la compravendita stabilita nel Congresso di Vienna ". Sotto lo sguardo di una preoccupata Lanterna, Lord Bendinck il liberatore inglese, presenta al re sabaudo Vittorio Emanuele I, il nuovo possedimento nella persona d'una bella giovane, scortata da gendarmi inglesi.Sul tavolo le monete d'oro, prezzo d'acquisto, Per il trattato di Vienna la Repubblica entra a far parte dei domini sardi dal primo gennaio 1815.
“Quadro allegorico del Guascone, conservato all’Istituto mazziniano che rappresenta in modo sarcastico la compravendita stabilita nel Congresso di Vienna “.
Sotto lo sguardo di una preoccupata Lanterna, Lord Bendinck il liberatore inglese, presenta al re sabaudo Vittorio Emanuele I il nuovo possedimento nella persona d’una bella giovane, scortata da gendarmi inglesi. Sul tavolo le monete d’oro, prezzo d’acquisto.
Per il trattato di Vienna la Repubblica entra a far parte dei domini sardi dal primo gennaio 1815.

Il re Vittorio Emanuele II ordina al generale Alfonso La Marmora di sedare la rivolta: mentre una nave britannica inizia a cannoneggiare la Darsena il generale, fingendo di trattare con i ribelli, scaglia loro contro circa venticinquemila fra soldati e bersaglieri.

L’assedio dura sei giorni e, nonostante la coraggiosa resistenza della Guardia Civica, forte di circa diecimila effettivi comandati dal Pareto e dal De Stefanis, Genova è riconquistata, violentate le sue donne, uccisi i suoi figli, violate le sue dimore e chiese.

Nemmeno gli infermi e gli anziani ricoverati in ospedale vengono risparmiati, in tutto si contano centinaia di morti (secondo alcuni almeno un migliaio), la maggior parte fra la popolazione inerme.

Nel testo in francese di congratulazioni inviato all’alto ufficiale per l’esito della repressione il re non esita a definire la classe dirigente mazziniana, rea di aver istigato la rivolta, “gente vile, razza infetta di canaglie” e ancora più in generale “i Genovesi son tutti Balilla, non meritano compassione, dobbiamo ucciderli tutti”.

Al generale dei Bersaglieri, per questa mirabile impresa, viene conferita da un re raggiante la Medaglia d’oro al valor militare.

Per queste ragioni fino al 1994, anno della riconciliazione con il Corpo con la tesa rotonda e le piume di gallo, ospite a Genova in occasione del proprio raduno nazionale, la Superba si è poi sempre rifiutata di arruolarvi i propri figli.

I Genovesi, “obtorto collo” furono costretti ad erigere la scultura bronzea in onore del primo re d’Italia incaricando nel 1886 l’artista milanese F. Barzaghi proprio, ironia della sorte, in Piazza Corvetto poco distante dal suo acerrimo nemico politico di sempre, Giuseppe Mazzini.

"La statua di Mazzini".
“La statua di Mazzini”.

In realtà la statua del grande genovese, ritratto in un atteggiamento pensieroso, era già presente dal 1882 vicina a quella di Maria Drago, l’intrepida madre sostenitrice.

"Busto di Maria Drago, madre di Mazzini".
“Busto di Maria Drago, madre di Mazzini”.

Il re, rappresentato a cavallo, è immortalato nell’atto di togliersi il cappello in segno di saluto.

Per alcuni il significato che la scena sottintende è un bonario segno di scuse, un gesto di riconciliazione.

Per altri, ed io condivido, invece i genovesi in una sorta di rivincita morale, lo hanno voluto raffigurare in un gesto di ossequio rivolto al vero padre della patria e alla sua genitrice, nonché alla Torre Grimaldina, simbolo del potere repubblicano cittadino (in effetti il sovrano si leva il cappello in quella direzione).

Bisognerebbe chiedere l’opinione delle centinaia di vittime sacrificate all’altare delle ambizioni sabaude.

Dal 2008 per volontà della comunità e del Movimento Indipendentista Ligure sul basamento è stata posta una targa che rammenta il “vergognoso sacco di Genova”.

La Liguria non ha mai partecipato ad alcun plebiscito di annessione né al Regno di Sardegna né di quello d’Italia quindi, formalmente la gloriosa e mai doma Repubblica, nonostante proprio a Genova siano nati sia il concetto d’Italia che l’unità del Paese, non si è mai sciolta.

"la Targa commemorativa".
“la Targa commemorativa”.

L’invincibile Gonfalone di San Giorgio…

Il glorioso gonfalone della Repubblica simbolo millenario della città veniva, dopo solenne cerimonia e processione, consegnato dal Doge (Podestà, Consoli o Capitano del Popolo a seconda della forma di governo in vigore al momento) al comandante della galea madre prima di ogni impresa militare.

Il corteo partiva da Palazzo Ducale, attraversava San Lorenzo, proseguiva a San Giorgio e terminava in Darsena dove il Capitano (se al comando di cinque navi) o l’Ammiraglio (se le navi erano almeno dieci) ricevevano al grido di “Pe Zena e pe San Zorzo”, con l’impegno che fosse difeso e onorato ad ogni costo, il sacro vessillo.

Nonostante le sconfitte a volte subite, lo stendardo è sempre tornato a casa sano e salvo e veniva custodito e riposto nell’omonima chiesa.

Ironia della sorte furono proprio i Genovesi a fine ‘700, invasati dalle nuove idee rivoluzionarie giacobine, a distruggerlo insieme ad altri preziosi simboli della Repubblica marinara e dell’oligarchia militare e mercantile della città. Di lì a poco Napoleone avrebbe mostrato il suo vero tirannico volto e i Genovesi avrebbero a lungo rimpianto il loro santo guerriero protettore.

"Il Gonfalone in processione".
“Il Gonfalone in processione”.

 

Oggi se ne può ammirare fedele copia come sfondo delle riunioni comunali o come prezioso testimone ad importanti celebrazioni cittadine.

Esistono città meravigliose… poi c’è Genova…

Nel corso dei secoli artisti, poeti, viaggiatori hanno raccontato di Genova nelle loro opere; alcuni l’hanno lodata, altri disprezzata, molti amata, ma nessuno come lui.

Al primo gruppo appartengono Petrarca (“Vedrai una città…”), R. Wagner musicista tedesco (che arriva al punto di dire “Parigi e Londra al confronto impallidiscono”), P. Valery poeta francese (che le dedica il tempestoso componimento “La nuit de Genes), A. Cechov novelliere russo (che la definisce “la città più bella del mondo”).

Nel secondo novero si distinguono il sommo Dante (“Ahi Genovesi uomini diversi…”), E. Hemingway scrittore americano che, attraversando l’operosa Sampierdarena in una piovosa giornata, la paragona con spregio ai sobborghi di Manchester, A. Rimbaud “poeta maledetto” che ne lamenta la sporcizia e il degrado dei vicoli.

All’ultimo aderiscono, fra gli altri, E. Montale innamorato dei suoi paesaggi, E. Firpo dei suoi caruggi, C. Sbarbaro delle sue bagasce, G. Caproni dei suoi aromi, F. Nietzche del suo clima, M. Twain dell’eleganza delle sue donne e dell’opulenza dei suoi palazzi.

G. De Maupassant vi ha ambientato un suo romanzo, C. Dickens vi ha tratto ispirazione per uno dei suoi cinque celebri “Racconti di Natale”, il compositore G. Verdi la scelse a lungo come dimora prediletta (soggiornò, fra l’altro, anche nella Villa del Principe), rapito dalle paste, intitolate in suo onore,

"Creuza de ma, lato monte a Pieve Ligure". Foto di Cristina Campus.
“Creuza de ma, lato monte a Pieve Ligure”.
Foto di Cristina Campus.

“Falstaff”. Potrei continuare a lungo con altri illustri personaggi ma nessuno ha saputo amarla, viverla e comprenderla come F. De André che, prima di andarsene, le ha dedicato il verso più bello, a mio parere, su di lei mai scritto e che racchiude duemila anni di cultura:

“Bacan d’a corda marsa d’aegua e de sa che a ne liga e a ne porta ‘nte na creuza de ma”. Tradotto per i foresti: “Padrone della corda marcia d’acqua e di sale che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare”.

Se tutte le strade, dicevano gli antichi, portano a Roma, a Genova portano al mare.

In Copertina: Creuza di Pieve Ligure. Foto di Cristina Campus.

Storia del gioco del Lotto…

Con buona pace degli amici partenopei il lotto è nato clandestinamente a Genova sul finire del ‘500 anche se, solo nel 1620, è stato legalizzato.

Il gioco consisteva nello scommettere sull’estrazione casuale di cinque nomi su una rosa di centoventi papabili che avrebbero assunto il ruolo di membri del Maggior Consiglio della Repubblica. Essendo la carica semestrale il gioco si ripeteva due volte l’anno e prese il nome di “Giuoco del Seminario”.

Con i proventi delle scommesse il Senato di Palazzo Ducale, una volta rimborsati i premi, copriva buona parte delle spese correnti.

Storia di un Palazzo… di infermi…

di prigionieri… di carità.

Oggi sede della Facoltà di Scienze Politiche, ubicato in posizione collinare, sorge il monumentale edificio eretto nel 1652 e terminato, nella versione attuale, nel 1835. I lavori non appena deliberati vennero subito interrotti a causa della piaga della peste che nel 1657 falcidiò gli abitanti della città. Le loro salme, circa diecimila cadaveri, furono sepolte nelle fondamenta del complesso.
Noto ai genovesi come L’Albergo dei Poveri perché costruito su donazione del Marchese Brignole per dare ospizio agli indigenti, offriva circa milleottocento posti letto anche se, durante la guerra savoina del 1672 e l’insurrezione antiaustriaca del 1746, accolse fino a quattromila prigionieri.
Al suo interno una chiesa e una quadreria di tutto rispetto con opere del De Ferrari, del Piola e di artisti di scuola fiamminga. Realizzazione dello Schiaffino è l’altare, del  marsigliese Puget, la statua dell’Assunta, i più affermati artisti del loro tempo.

"Madonna Assunta del Puget e sottostante altare dello Schiaffino".
Madonna Assunta del Puget e sottostante altare dello Schiaffino”.

 

Durante il nefasto bombardamento del 1684 ad opera del Re Sole, ospitò il Doge e il Senato che avevano abbandonato il Palazzo Ducale per mettersi in salvo portando seco il tesoro e le Ceneri del Battista, oggi custoditi nella cripta della Cattedrale di S. Lorenzo il primo e nella Cappella di S. Giovanni, le seconde.
In facciata lo stemma cittadino la corona regale e i Grifoni che reggono lo Scudo di S. Giorgio. Andato purtroppo perso, deteriorato dal tempo, il sovrastante secentesco affresco del G. B. Carlone.

Storia di un santuario… di un presepe…

e di ospiti molto altolocati…

Sulle alture del Monte Galletto si staglia il settecentesco Santuario della Madonnetta.
Il solo ufficialmente riconosciuto dalla Repubblica con tanto di autentica dogale.
È un altro di quei luoghi speciali che Genova sa regalare ai suoi amanti, ricco di opere d’arte e curiosità.
Disposto su quattro livelli di continui sali e scendi per ricordare ai fedeli che, come Gesù è sceso in terra per salvare gli uomini, così costoro devono salire a lui per purificarsi.
Ti accoglie con un meraviglioso sagrato in rissoeu, uno dei meglio conservati in città.

"Il Risseu".
“Il Rissoeu”.

Al suo interno la statua in alabastro della Madonnetta, una versione di quella, più celebre, di Trapani, venerata in tutto il Mediterraneo.
È una rappresentazione unica perché il Bambinello non guarda in avanti ma si rivolge alla Madre e le stringe il pugno… come a dire “Proteggili”.
Il vestito che fascia Gesù è lo stesso che avvolge la Madonna a sottolineare che sono una cosa sola.

"La chiesa a pianta ottagonale e lo scranno dogale".
“La chiesa a pianta ottagonale e, sulla destra lo scranno dogale e quelli dei rappresentanti del Senato”.

Infine l’ampio

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“La Madonnetta”.

drappeggio dell’abito, più grande del necessario, sta ad indicare che c’è posto e protezione per tutti.
Incastonate nelle pareti della chiesa ottagonale (l’otto nella simbologia cristiana rappresenta la Resurrezione) sono presenti circa venticinquemila reliquie di santi, provenienti dalle prime catacombe romane.
La volta della cripta è affrescata dal Guidobono e molti dei maggiori artisti del ‘700 genovese hanno lasciato qui la propria impronta.
Impossibile non ricordare il Bissone con la Statua della Madonna Regina e le statuine del presepe nella scena della Natività.
O il Maragliano con uno dei suoi celebri crocifissi e con la continuazione del famoso presepe che da lui prende il nome.

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“Il Crocifisso del Maragliano”.

In realtà oltre al Maragliano e al Bissone, le circa cento statuine che lo compongono sono frutto di oltre un secolo di tradizione della scuola genovese e dei suoi eredi. Dai maestri Navone e Pedevilla al tirolese De Scopt.
Molte altre sarebbero le cose da raccontare… buona scusa per una visita… un’ultima però va rammentata:

“Si riconoscono la Porta del Molo, detta Siberia, la parte medievale del Palazzo S. Giorgio e la Torre  De Castro”. Foto di Leti Gagge.

“Da Sottoripa”. Foto di Leti Gagge.

“Foto di Leti Gagge”.

“Foto di Leti Gagge”.

“Foto di Leti Gagge”.

“Foto di Leti Gagge”.

“Foto di Leti Gagge”.

La Pietà del Maragliano, osservata in solitudine, commuove per tragicità espressa.
In particolare gli occhi azzurri della Madonna sono così vivi e lucenti che sembrano implorare noi uomini di non bestemmiare mai più suo Figlio.
La Madonnetta val ben una Messa!

“La Pietà”.

Storia di un’Abbazia poco nota… di santi protettori…

Sulle alture della circonvallazione a monte, sconosciuta ai più, si staglia l’antica abbazia di S. Maria della Sanità, chiesa gentilizia della nobile famiglia De Mari.

"La Madonna della Sanità sopra l'altare".
“La Madonna della Sanità sopra l’altare, opera del Narducci del 1615”.

Il complesso sorge sul luogo dove precedentemente nel ‘400 esisteva una chiesa intitolata a San Bernardino da Siena (da qui anche il nome del tratto delle mura e della Porta poco distanti) per volere di Stefano De Mari, proprietario dei terreni (così come dell’attigua attuale Villa Gruber, un tempo De Mari). Fu edificata nel 1592 su progetto del Ponzelli ed affidatane la conduzione ai Carmelitani Scalzi di S. Anna.

Con la Rivoluzione franco genovese del 1797 la gestione passò di mano prima ai De Mari, poi al clero secolare, quindi alle monache di clausura.

Nel 1934, con apposito decreto ministeriale, la chiesa fu inserita nell’elenco dei Monumenti di interesse nazionale ma subì gravi danni in seguito ai bombardamenti della seconda guerra mondiale e cadde nell’oblio.

Dopo alterne vicessitudini e passaggi di mano nel dopoguerra il cardinale Siri si attivò per la sua ricostruzione affidandone i lavori di ripristino all’Ingegner Umberto Pagnini che, grazie all’aiuto del Genio Civile e alle offerte dei fedeli, potè restituire al complesso il perduto splendore.

Nel 1965 l’Arcivescovo riconsegnò al culto dei fedeli l’Abbazia.

Appena superato l’ampio scalone di accesso, nell’atrio si incontra subito una gradita sorpresa, una splendida “Sacra Famiglia” (con San Giovannino) in ardesia di Luca Cambiaso, insuperato maestro del Manierismo genovese: un’opera che sprigiona in egual misura potenza e delicatezza.

Atrio S.Famiglia L.Cambiaso
“Sacra famiglia e San Giovannino, opera in ardesia di Luca Cambiaso”.

Degno di nota anche il busto di Ansaldo De Mari, uno dei personaggi più illustri della Casata,

"Busto di Ansaldo De Mari, un tempo conservato nella cappella familiare della demolita chiesa di San Domenico".
“Busto di Ansaldo De Mari, un tempo conservato nella cappella gentilizia della demolita chiesa di San Domenico”.

primo ammiraglio dell’Impero ai tempi di Federico II, nella prima metà del ‘200.

Una volta varcata la soglia dalla curiosa pianta ottagonale numerose sono le opere di scuola genovese custodite al suo interno e alcune di esse meritano particolare menzione come, ad esempio, le balaustre dell’ Orsolino, scultore molto attivo e noto in città (fra le tante opere, il barchile di Piazza delle Erbe) o la secentesca rappresentazione del Narducci sopra l’altare della Madonna della Sanità ma quella che, più di tutte, mi ha colpito, custodita nella seconda cappella sul lato sinistro, opera di G. B. Paggi del 1600 è la

“Madonna con i quattro santi protettori di Genova (S. Giorgio, S. Giovanni Battista, S. Siro e S. Lorenzo).

Genova orgogliosa e impettita non si svela facilmente, basta a se stessa, si lascia trovare solo da chi ha voglia di cercare e la Sanità, a mio modesto parere, ne è emblematica dimostrazione.

2° Cappella Sx
“I quattro santi protettori di Genova, opera di G. B. Paggi”.

Storia di una Moschea… anzi due… terza parte…

forse sei… di un Imam… di Galee…
continua… terza e ultima parte…
Evidentemente le lamentele del Papasso ottennero il loro scopo se, di lì a poco, la Repubblica ricevette una missiva di Bogo, console di Tunisi, in cui il diplomatico informava la Superba del fatto che il re di quel paese aveva minacciato, come ritorsione, di rendere schiavi tutti i Genovesi liberi presenti in città.

"Moschea di Vico Fregoso, una dei tanti centri islamici presenti nel centro storico".
“Moschea di Vico Fregoso, una dei tanti centri islamici presenti nel centro storico”.

Il Papasso intanto, oltre che paventare nuove lettere di protesta, pretendeva di avere un trattamento diverso, privilegiato, rispetto agli altri schiavi “passando in minacce contro molti e, in particolare, contro il Padre dei Cappuccini, incaricato, per conto del Magistrato delle Galee, di tenere “cordiali” i rapporti.
L’Imam, nel frattempo, si era proclamato “direttore” (colui che detiene il banco) in Darsena del Gioco del Biribis (gioco d’azzardo simile alla lotteria) scontrandosi anche con personaggi della nobiltà che non disdegnavano le scommesse.
Fu allora che le Autorità cittadine misero fine alla “querelle” costringendolo in catene, al pari degli altri schiavi, per lunghi e duri sedici mesi sulle galee.
Il Senato scrisse ai consoli di Francia, Inghilterra, Spagna e Olanda che a Tunisi, Tripoli e Algeri smentissero le insinuazioni del Papasso…
Forse l’Imam, non aveva tutti i torti, ma aveva “tirato troppo la corda” e i Genovesi di quel tempo non erano certo usi “a farsi menar per il naso”…

galata
“Expo 1914: ricostruzione della trecentesca Torre Galata, cuore e simbolo di Istanbul, eretta dai Genovesi a protezione del loro quartiere.”

Nel 1914, in occasione dell’Expo genovese, l’architetto fiorentino Coppedè, per meglio descrivere lo spirito della manifestazione, concepì all’interno dei padiglioni una Moschea e la Torre Galata, simboli della tolleranza, della potenza e dell’intraprendenza dei Genovesi nei secoli.