Il Presepe delle Vigne

All’interno della Basilica delle Vigne è stato allestito, realizzato dall’Accademia Ligustica di Belle Arti, un imponente presepe.

Quest’anno il presepio è stato diviso in più scene e reso itinerante, sfruttando i grandi spazi della basilica, all’interno della chiesa.

La quinta principale è stata pensata ai piedi dell’altare dove è stata posta la Natività mentre in una navata laterale è stato allestito il presepe tradizionale a cura dei giovani della parrocchia.

Basilica S. Maria delle Vigne – Vico Campanile delle Vigne – Genova.

Orario Visita Presepe: dal 24 dicembre al 2 febbraio orario 8-19.
Info: tel 010.2474761 – info@basilicadellevigne.it.

Genova, Dicembre 2022.

In Copertina: il Presepe delle Vigne. Foto di Anna Armenise.

In Copertina: Il presepe delle Vigne. Foto di Anna Armenise.

Il marmo igienico

In Piazza Fontane Marose in un lato del Palazzo Interiano Pallavicino si trova una sporgenza di marmo dalla curiosa forma.

Tale manufatto aveva la duplice funzione di evitare che quell’angolo diventasse un orinatorio pubblico o un nascondiglio per malintenzionati.

Il riempire gli angoli con pietre, marmi e materiale vario, serviva a salvaguardare ambienti poco areati come quelli dei caruggi, dalla puzza e dal proliferare delle malattie.

Purtroppo infatti orinare sui muri e fare i propri bisogni all’aperto era un tempo usanza diffusa.

Di questa pratica deterrente esistono anche altre testimonianze. Ad esempio un’altra sporgenza con scanalature molto simili, in Via San Siro e altre due, invece lisce, in via Balbi all’ingresso della Facoltà di Giurisprudenza (ex convento dei Gesuiti).

In Copertina: Il marmo igienico di Palazzo Interiano Pallavicino. Foto di Stefano Eloggi.


Mercurio e Balilla

Da Piazza Dante scendendo il tratto finale di Via Fieschi si incrocia Via XX Settembre.

Attraversandola per salire verso Via V Dicembre si oltrepassa un monumentale arco con lo stemma di Genova sorretto da due personaggi opera dello scultore lucchese Arnaldo Fazzi

Il primo sulla destra è l’aitante Mercurio che impugna il bastone alato sul quale si attorcigliano due serpenti e rappresenta la prosperità.
Mercurio infatti è il dio del commercio e fu quindi scelto per vigilare sui negozi di questa importante e trafficata strada.

Il secondo a sinistra è Balilla il giovane eroe che diede il via all’insurrezione contro l’invasore austriaco.

Lo si riconosce dal fatto che la statua che raffigura Gian Battista Perasso stringe in mano il sasso, simbolo della rivolta, lanciato ad inizio della ribellione.

Da qui infatti inizia lo storico sestiere di Portoria dove il 5 dicembre 1746 il Balilla, secondo la tradizione, pronunziò il celebre che “l’inse” (che abbia inizio).

In Copertina: L’arco monumentale di Via V Dicembre. Foto dell’autore.

L’Eden è qui… a Genova.

La trasmissione di ieri “Eden un pianeta da salvare” condotta da Licia Colò sulla Sette ha avuto come protagonista in prima serata Genova.

Nel complesso la narrazione non mi è dispiaciuta e l’ho trovata, in linea con il target ecologico del pubblico a cui si rivolge, senza infamia e senza lode.

Forse proprio per via di questo aspetto “green” si è dato ampio risalto alla pista ciclabile ed al trasporto pubblico, temi che in città non riscuotono proprio un consenso bulgaro.

Da Boccadasse con i suoi inconfondibili scorci e relativi racconti legati ai cantautori si è passati poi alle affascinanti atmosfere del centro storico con il suo inestricabile dedalo di caruggi e la magia delle sue botteghe storiche rappresentate, queste ultime, dalla confetteria più antica d’Europa, quella dei Romanengo.

Pazienza se non si è scollinato Capo Santa Chiara per mostrare un altrettanto meraviglioso e incorotto borgo marittimo come quello di Vernazzola.

Un plauso alla buona creanza di aver interpellato, per spiegare ai foresti la meraviglia dei Rolli, il Prof. Giacomo Montanari che ne è l’appassionato curatore.

Il viaggio è poi proseguito alla Spianata di Castelletto da dove, in pieno centro città, è possibile ammirare uno dei panorami più suggestivi della Superba.

Finalmente si è spiegato ai foresti che, come cantavano Fossati e De Andre’:

“Chi guarda Genova sappia che Genova
si vede solo dal mare”

E che l’altra chiave di lettura è quella della verticalità. Pazienza se una volta preso l’ascensore di Castelletto non si è ricordato che, proprio con quell’ascensore, Giorgio Caproni avrebbe voluto andarci in Paradiso.

Quel paradiso, ovvero quell’Eden, che Licia Colò rincorre nei suoi programmi, noi genovesi lo viviamo tutti giorni, privilegiati testimoni della sua incommensurabile bellezza.

La tappa all’Acquario è stata invece abbastanza scontata ma visto appunto il taglio naturalista del racconto, è comprensibile.

Così come comprensibile è stata la citazione di Colombo, la cui abitazione è stato omesso però essere un falso storico ad uso e consumo dei turisti.

Perdonata comunque per aver ribadito l’inconfutabile, documenti alla mano, genovesità dell’esploratore.

Giustificata invece, per via dell’importanza del museo stesso, la sosta al Gàlata, (non Galàta come erroneamente pronunciato) con tutto quel che riguarda la storia della navigazione e relativa testimonianza sull’emigrazione del Direttore Pierangelo Campodonico.

Dell’Antico Porto che poi in realtà è il Porto Antico si è raccontato del Bigo, dipinto solo come un ascensore panoramico senza spiegare cosa rappresenti (sistema di gru per la movimentazione delle merci sulle navi) e del sommergibile Nazario Sauro.

Pazienza se non si è parlato della Biosfera, dei Magazzini del Cotone, di quelli del Sale e dell’Abbondanza, della Città dei Bambini, del vascello pirata Neptune, della pista di ghiaccio in Piazza delle Feste.

Almeno la cinquecentesca porta alessiana del Molo Vecchio però due parole le avrebbe meritate.

Accenno che invece, per fortuna, è stato destinato alla banca più antica del mondo, quella del Banco di San Giorgio.

Interessante invece la bucolica escursione a Pegli nei giardini, di quello che è stato votato come il più bel parco d’Italia, di Villa Pallavicini.

Apprezzabile infine la scenografica chiosa sulle alture da uno dei sedici forti (Forte Begato) che fanno da corona alla città e alla secentesca cinta muraria delle Mura Nuove.

Insomma tutto sommato un gradevole spot pubblicitario che invita il turista a visitare la nostra città con l’augurio di comprendere perché noi genovesi la si ritenga la più fascinosa di tutte.

D’altra parte molti viaggiatori hanno professato la loro predilezione per Genova come ad esempio Cechov che nella sua commedia “Il Gabbiano” ci ha regalato questo inequivocabile dialogo:

Medvedenko: Posso chiedervi, dottore, quale città straniera vi è piaciuta di più?

– Dorn: Genova.

– Trepliov: Perché Genova?

– Dorn: Per le strade di Genova cammina una folla meravigliosa. Quando si esce, di sera, dall’albergo, tutta la strada è colma di gente. Poi te ne vai a zonzo, senza una meta, di qua e di là, a zig-zag, tra quella folla; vivi della sua vita, ti confondi a lei nell’anima; e cominci a credere che possa esistere una sola anima universale …

Genova è la città più bella del mondo”.

In Copertina: La conduttrice di “Eden” Licia Colò con sullo sfondo le imponenti torri di Porta Soprana.

Respublica superiorem non recognoscens

La Compagna Communis nata probabilmente già prima, fu a partire dal 1099 l’embrione della Repubblica di Genova.

Fu con la riforma degli Alberghi istituita nel 1528 da Andrea Doria che si ebbe i il passaggio formale dalla Compagna alla Repubblica.

E’ in occasione di tale trasformazione che Genova assume il suo glorioso e inequivocabile motto :

“Respublica superiorem non recognoscens” che tradotto dal latino significa:

“La Repubblica (di Genova) non riconosce nessuno che le sia superiore”.

Con questa categorica affermazione Genova proclama la propria inalienabile sovranità e lo fa con tutto il suo incommensurabile orgoglio che le deriva da una, già a quel tempo, plurisecolare storia.

Dal punto di vista giuridico e politico Genova enuncia così il primato del proprio Stato in quanto originario (non derivante da altro), assoluto (perché superiorem non recognoscens), esclusivo (perché indivisibile), inalienabile e imprescrittibile (in quanto di funzione pubblica, necessaria a ogni organizzazione politica).

Quando poi a inizio ‘600 le arroganti monarchie straniere oseranno, forti del loro strapotere militare e strategico, sfidare la Superba, Genova escogiterà un geniale artifizio:

l’elezione nel 1637 della Madonna a Regina della città che permetterà ai Serenissimi Collegi di sostituire nello stemma e nel titolo la corona dogale in vigore all’incirca dal 1570 (seppur il dogato esistesse già dal 1339) con quella regale.

Le statue della Vergine saranno poste sulle principali porte delle Mura Nuove recanti l’epigrafe: “Posuerunt me Custodem”.

“Hanno messo me a protezione”.

Fine di ogni discorso.

Respublica superiorem non recognoscens!

In Copertina: lo stemma di Genova recante il motto “Respublica superiorem non recognoscens”.

Lunesdi de l’Angeo

Quando fate gli auguri del lunedì di Pasqua, ricordatevi che a Genova si dice Lunesdi de l’Angeo, ovvero Lunedì dell’Angelo.
Con il temine Pasquetta (Pasqueta in lingua genovese) infatti in Liguria ci si riferisce alla festa dell’Epifania.

Nel cristianesimo occidentale il lunedì dell’Angelo è il secondo giorno dell’Ottava (settimana) di Pasqua, e nel cristianesimo orientale è anche il secondo giorno della settimana luminosa.

Prende il nome dal fatto che in questo giorno si ricorda la manifestazione dell’angelo alle donne giunte al sepolcro.

Secondo il Vangelo infatti (Matteo 28:1-10) le donne si recarono al sepolcro di Gesù dopo la sua morte. Una volta giunte sul posto, non trovarono il corpo del Signore ma un Angelo che le aspettava. In quel momento le donne ricevettero la grande notizia con le parole dell’Angelo:

“Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: È risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l’ho detto.”

In Liguria l’espressione “lunedì dell’Angelo” è ormai tradizionale anche se non appartiene al calendario liturgico canonico della Chiesa cattolica, il quale lo indica come lunedì fra l’Ottava di Pasqua, alla stessa stregua degli altri giorni dell’ottava settimana (martedì, mercoledì ecc.).

Il lunedì dell’Angelo quindi non è giorno di precetto per i cattolici ed è diventata nel tempo un’abituale festa civile ottima occasione per scampagnate, pic nic e gite fuori porta.

Così al suono rituale delle campane a festa per la Resurrezione si è sostituito lo scoppiettare profano delle braci dei barbecues.

In Copertina: Giovan Battista Gaulli detto Baciccio (attribuito), Le tre Marie al sepolcro.

Seppia

Nel porticciolo di Boccadasse è diventato ormai una vera e propria attrazione turistica.

Chi si ferma per una carezza, chi per una foto o un selfie, chi per dargli qualcosa da mangiare (anche se su richiesta dei padroni meglio evitare), tutti comunque cercano Seppia:

il gatto assurto, per la sua ingrugnita e infastidita espressione, a ironico simbolo dell’accoglienza ligure.

Machiavelli

Curiosa anche la sua singolare somiglianza con Machiavelli il gatto scontroso e sospettoso del celebre film del regista genovese Enrico Casanova del 2021 della Pixar -Luca- ambientato nel levante della nostra regione.

Così a Boccadasse alla romantica gatta con “una macchia nera sul muso” di Gino Paoli si è aggiunto il burbero gatto disneyano.

In Copertina: Foto di Stefano Eloggi

Salita delle Battistine

Da Piazza Portello Salita delle Battistine collega con Via Bertani nella zona sovrastante Piazza Corvetto.

La ripida e spettacolare creuza percorsa in discesa sembra catapultare nel centro della città.

Al civ. n. 12 si trova l’ex chiesa e convento di San Giovanni Battista (1744) a cui si deve il nome della strada, oggi sede della scuola primaria Giano Grillo e della secondaria Bertani Ruffini.

Salita delle Battistine ripresa da Via Bertani. Foto di Leti Gagge.

Sulla porta d’ingresso resta traccia delle decorazioni della chiesa in un affresco ottocentesco del pittore lombardo, membro dell’Accademia Ligustica di Belle Arti, Giacomo Ulisse Borzino.

Al civ. n. 8 la dimora genovese di Nietzsche del cui soggiorno all”interno 6 è sparita la lapide commemorativa sostituita con un’imbarazzante fotocopia nell’androne.

La freccia indica le finestre dell’appartamento di Nietzsche. Foto di Anna Armenise.

Lapide che invece all’interno della scuola Giano Grillo è presente per ricordare che qui nel giugno 1907 il futuro premio Nobel Eugenio Montale conseguì la licenza elementare.

La lapide dedicata a Montale.

Di fronte un tratto delle imponenti mura del ‘500 che fungono da muraglione di contenimento dei giardini di Villetta Di Negro.

La lapide del Marchese (cittadino) Serra.

Sopra una piccola porta murata una targa marmorea, a scanso di equivoci, ne attesta la proprietà e sta ad indicare che lì vi era una deviazione dell’acquedotto richiesta dal C.NO (cittadino così amava qualificarsi in virtù delle nuove idee giacobine il marchese) Serra che proprio nel 1781 aveva acquistato dagli Spinola Palazzo Baldassarre Lomellini in Strada Nuova (oggi Via Garibaldi civico 12).

1781/ C. NO Domenico Serra / N°. 371

In Copertina: Salita delle Battistine vista in direzione Portello. Foto di Leti Gagge.

O Campanon de Päxo

Fin dal Medioevo l’ultimo piano della torre del Palazzo Ducale -O Päxo per i Genovesi- ospitava una cella campanaria.

Diverse campane si sono susseguite nei secoli fino al 1941, quando durante la seconda guerra mondiale, quella presente venne fusa per realizzare dei cannoni.

Ai camalli della Compagnia dei Caravana era riconosciuto il privilegio di far risuonare il Campanon quando si convocavano a Palazzo i nobili per il Gran Consiglio della Repubblica.

La campana più duratura di cui si ha notizia durò quasi 300 anni avendo con il suo suono -si dice- udibile fino a Savona, celebrato la vittoria della Lega Santa sugli Ottomani nella battaglia di Lepanto nel 1571.

Nel 1860 in concomitanza di un altro festeggiamento, quello dell’annessione della Toscana e dell’Emilia (a quel tempo Genova apparteneva ai Savoia), il campanone si ruppe.

Stessa sorte ebbe il sostituto che svolse diligentemente il proprio compito fino al 1925 quando anch’esso venne rimpiazzato:

Calato dalla torre il 3 maggio 1925 per la sua rifusione, il nuovo campanone fu reinstallato il 15 aprile del 1926, con un’imponente cerimonia alla quale partecipò tutta Genova; poi, la domenica del 26 aprile, fece finalmente sentire la sua voce, salutato dal coro festoso di tutte le campane della città“. Testo de A Compagna.

Una voce che inizialmente fu oggetto di numerose lamentele da parte dei genovesi i quali sostenevano avesse un suono sordo e comunque non come quello di una volta.

Costretto così, a rispondere alle critiche, fu il Sig. Boero fonditore, discendente di una dinastia di costruttori di campane che aveva bottega in salita di Mascherona.

L’artigiano, portando ad esempio la campana grossa di San Lorenzo (fusa dal padre) che presentava la stessa distonia e della quale erano ora tutti soddisfatti, spiegava che per ottenere l’armonico effetto sonoro auspicato, il campanone avrebbe dovuto risuonare per un po’ di tempo.

Purtroppo causa la guerra, nell’aprile del 1941 venne demolito e donato alla Patria, perché con il suo bronzo si fondano nuovi cannoni per la nuova vittoria“. Testo de A Compagna.

O Campanon de Paxo. Cartolina celebrativa de “A Compagna” distribuita in occasione dell’evento.

Grazie all’impegno dell’Associazione “A Compagna”, dal cui sito riporto il verbale dell’evento, nel 1980 O Campanon ha ripreso, come nei secoli precedenti, a scandire i principali avvenimenti cittadini.

Molti gli anni di silenzio assoluto sulla torre, fin quando – in occasione del Parlamento del 1979 – ai soci viene comunicato che «semmo in graddo de fâ tornâ in sciä Töre de Päxo o Campanon: unna grande azienda zeneize a l’à zà offerto unna grande quantitae de metallo (rammo, bronzo e latton), mentre o Scindico o l’à daeto a sò adexòn». Il 24 aprile 1980, il nuovo campanone ritorna a suonare per tutti i genovesi.

La cerimonia è ricordata in una lapide sottostante la Torre in cui si legge:

Genova celebra oggi
24 aprile 1980
o Campanon de Päxo
ripristinato nell’antica sede
auspice A Compagna
generosamente
partecipi
il Comune e i Cittadini
.”

La lapide sottostante la Torre. Foto di Leti Gagge.

Era la mattina del 26 aprile 1980 ed era stata appena scoperta in Via Tomaso Reggio la lapide commemorativa; l’allora sede de A COMPAGNA, la Loggia degli Abati del Popolo, rigurgitava di invitati, di autorità, di soci: a un certo momento il console Augusto Cavassa si è rivolto al Sindaco di Genova, Fulvio Cerofolini, dicendogli in genovese: «Scio Scindico, oua ch’emmo faeto trenta, scia dovieiva fa trent’un e completâ l’opera, faxendo issâ a bandëa de Zena in scia Töre». I presenti hanno assentito caldeggiando la proposta e il Sindaco, dopo essersi guardato intorno, quasi a voler chiedere conferma della sincerità e della profondità del nostro desiderio, ha detto semplicemente che sì, che la nostra richiesta era giusta e che avrebbe subito dato disposizioni affinché la bandiera fosse issata sulla Torre di Palazzo Ducale (la Grimaldina). E così, dai primi giorni del mese di maggio di quel lontano 1980, tutti i genovesi possono vedere garrire al vento il vessillo rosso-crociato della Repubblica di San Giorgio“.

Il «Campanon de Päxo», voluto dai Soci, che hanno partecipato con una generosa sottoscrizione, è stato fuso ad Avegno dalla Ditta Enrico Picasso e reca sul bordo il verso di speranza di Edoardo Firpo: «Pe questa taera antica sempre ritorna un mäveggioso giorno».

I testi in corsivo sono estrapolati dal sito Ufficiale de “A Compagna”: www.acompagna.org.

In Copertina: La bandiera di San Giorgio sventola sulla torre Grimaldina di Palazzo Ducale. Foto di Leti Gagge.


The Sailors’ Rest

All’inizio di via Buozzi direzione ponente (un tempo via Milano), lasciato sulla sinistra il Palazzo del Principe, si trova l’elegante palazzina di tre piani denominata confidenzialnente dai genovesi “La casa del marinaio”.

In realtà la corretta traduzione del nome SAILORS’ REST” inciso nel fregio marmoreo delle facciate laterali è “Il riposo dei marinai”.
L’edificio fu costruito nel 1891 dall’architetto scozzese David Barclay Niven (1864-1942) su incarico della British Shipowners Association per la Genoa Harbour Mission ed era destinata all’assistenza religiosa, culturale e pratica agli equipaggi di religione protestante delle navi britanniche, nordiche e scandinave che numerose facevano scalo nel porto di Genova.

Via Milano, oggi Via Buozzi. Il primo edificio sulla sedia è il Sailors’ Rest.

La struttura fu inaugurata nel gennaio dell’anno successivo sotto la supervisione del Reverendo Donald Miller, della chiesa libera di Scozia, con lo scopo di offrire ai naviganti britannici un ritrovo che facesse ricordare la loro madre patria.

Il Reverendo era convinto infatti che i marinai di Sua Maestà frequentando questo angolo di Albione, lontani da bettole, luoghi di perdizione, donne di malaffare e potenziali disdicevoli risse, avrebbero evitato i pericoli delle tentazioni.

L’edificio del Sailor’s Rest lato via Lattanzi. Foto dell’autore.

Il Sailor’s Rest era infatti dotato di camere in cui riposare, sale ricreative dove praticare le attività in stile pub (carte, biliardo, freccette) e bere (con moderazione), e soprattutto, come ricordato sulla scritta del prospetto principale, “SAILOR CHAPEL AND READING ROOM“, una cappella e una sala di lettura.

Oggi la palazzina, recentemente restaurata, è occupata da una farmacia, da una sezione di un sindacato e uno studio medico.

There once was a ship that put to sea
The name of the ship was the Billy of Tea
The winds blew up, her bow dipped down
O blow, my bully boys, blow (huh)

She had not been two weeks from shore
When down on her a right whale bore
The captain called all hands and swore
He’d take that whale in tow (huh)

Soon may the Wellerman come
To bring us sugar and tea and rum (hey)
One day, when the tonguin’ is done
We’ll take our leave and go

Take our leave and go

Before the boat had hit the water
The whale’s tail came up and caught her
All hands to the side harpooned and fought her
When she dived down below (huh)

She had not been two weeks from shore
When down on her a right whale bore
The captain called all hands and swore
He’d take that whale in tow (huh)

Soon may the Wellerman come
To bring us sugar and tea and rum (hey)
One day, when the tonguin’ is done
We’ll take our leave and go

Take our leave and go

C’era una volta una nave che salpò
Il nome della nave era Billy of Tea
I venti si alzarono, la sua prua si abbassò
“Sta soffiando, ragazzacci miei, sta soffiando” (eh)

Lontana due settimane dalla costa
Le si avvicinò una balena nera
Il capitano chiamò tutto l’equipaggio a lavoro giurando che
Avrebbe preso quella balena (eh)

“Presto arriverà il Wellerman (nave che riforniva di provviste)
Per portarci zucchero, tè e rum (ehi)
Un giorno, quando smetteremo di tagliare strisce di grasso (di balena)
Ci congederemo e torneremo

Prima che la barca toccasse l’acqua
La coda della balena si alzò e la presero
Tutto l’equipaggio l’arpionò, lottando contro di lei
Fino a quando lei si reimmerse (eh)

Lontana due settimane dalla costa
Le si avvicinò una balena nera
Il capitano chiamò tutto l’equipaggio a lavoro giurando che
Avrebbe preso quella balena (eh)

Presto arriverà il Wellerman
Per portarci zucchero, tè e rum (ehi)
Un giorno, quando smetteremo di tagliare strisce di grasso di balena
Ci congederemo e torneremo

Ci congederemo e torneremo e torneremo.

Testo e traduzione del riadattamento del sea shanty canto popolare di mare inglese di metà ‘800 “Soon May the wallerman” che racconta della caccia alle balene in Nuova Zelanda

In Copertina: il Sailor’s Rest. Foto dell’autore.