La Galleria Mazzini

Da quasi 150 anni la Galleria Mazzini rappresenta l’elegante salotto buono dei genovesi.

Fu edificata tra il 1866 e il 1877 in contemporanea alla signorile attigua Via Roma.

Purtroppo doloroso scotto da pagare per tale costruzione fu la demolizione del convento di San Sebastiano, del conservatorio di San Giuseppe, dell’Oratorio di San Giacomo delle Fucine oltre che di tutti i caruggi che degradano verso via Luccoli.

Resta traccia di questo imponente sbancamento nel terrapieno lato Via Cebà – antica creuza del diavolo – dove il portone del civico n.3 è sospeso sul fronte del palazzo.

A cavallo delle due guerre del secolo scorso la galleria era frequentata dalla meglio gioventù cittadina, da poeti, scrittori, intellettuali, artisti ed impresari teatrali, massima espressione della cultura cittadina e nazionale.

Fra i musicisti, Verdi, Mascagni e Puccini; fra gli scrittori, i poeti e i giornalisti, Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Montale, Quasimodo, Sbarbaro, Donaver, Barrili, Gandolin, Baratono, Firpo, Bacigalupo, Gozzano; fra gli artisti, gli architetti e scultori Grasso e Messina; fra gli attori, Govi e Lina Cavaliere.

“Dettaglio della luminosa vetrata in ferro battuto
In alto ai lato si notano due dei quattro grifoni in ghisa”.

I principali punti di ritrovo di questo vivace fermento erano i locali della Libreria Moderna, della birreria Zolezi, del ristorante della Posta di Pippo Luce, del Caffè Bardi e del Caffè Roma.

Nonostante l’inesorabile trascorrere del tempo le scintillanti vetrate, i lampadari in bronzo con Giano e i Grifoni in ghisa che sorvegliano dall’alto e le cupole in vetro mantengono inalterate il loro fascino.

In copertina Galleria Mazzini con gli addobbi natalizi. Foto di Leti Gagge.

La Lapide di Lanfranco Cicala

All’esterno del palazzo di Piazza dell’Agnello n. 6 noto come Pallavicino Richeri è affissa una lapide che ricorda erroneamente come l’edificio sia stato di proprietà di Lanfranco Cicala.

Erroneamente perché gli storici hanno individuato con certezza in piazza delle Scuole Pie la casa natale dell’eclettico letterato genovese.

Lanfranco Cicala – infatti – recita la lapide fu un: “console, legista e poeta” vissuto nel XIII secolo.

Nome non poteva essere più azzeccato visto che – nomen omen – proprio come la cicala, Lanfranco il trovatore cantava i suoi versi.

I Cicala si stabilirono a Genova nel 942 – questo è sicuro – provenienti dalla Germania ma le loro vicende risultano piuttosto contorte: alcuni rami si sono infatti sviluppati non solo in città ma anche nelle due riviere, a Lerici e a Ventimiglia.

L’origine del casato si fa comunque risalire a Pompeo valoroso soldato – appunto di Ventimiglia – che, mentre affrontava i pisani, ebbe il capo ricoperto da uno sciame di cicale frinenti.

Alla vista di tale insolita scena i nemici s’impaurirono e Pompeo – da allora divenuto Pompeo Cicala – trionfò.

Per via di questo curioso aneddoto sullo stemma nobiliare del casato fino al 1432 compariva dunque il rumoroso insetto.

L’arma venne successivamente sostituita con l’aquila d’argento in campo rosso, insegna conferita dal re di Polonia a Gio-Batta Cicala per meriti militari. Questi si era infatti distinto sul campo sconfiggendo i Tartari per conto del sovrano di Varsavia.

Oltre a Pompeo fra i numerosi membri di questa illustre schiatta che generò ammiragli, cardinali, generali e senatori, due personaggi meritano particolare menzione; Guglielmo che nel 1198 fu fra i capitani che portarono a Genova le ceneri di San Giovanni Battista; Scipione marinaio vissuto a metà del ‘500 e divenuto Gran Visir, le cui gesta ispirarono il brano “Sinán Capudán Pasciá” di Fabrizio De Andre’.

Costantino moderno martire dei Greci

In Piazza Matteotti sul pilastro di sinistra di accesso al Palazzo Ducale una targa ricorda il tragico gesto di protesta di Costantino Georgakis.

Costui fu un giovane studente greco di geologia che, in opposizione al regime golpista dei colonnelli del suo paese, si cosparse di benzina e diede fuoco.

Costantino morì suicida in risposta estrema oltre che alle minacce e ai ricatti subiti dalla sua famiglia rimasta in Grecia, anche alle persecuzioni delle spie che lo pedinavano continuamente minandone la libertà.

Mentre ardeva, rifiutando i soccorsi, urlava: “Abbasso i tiranni, abbasso i colonnelli fascisti”.

Spirò dopo nove ore di atroce agonia e le sue ultime parole furono: “Viva la Grecia libera!”.

Recita la lapide in ricordo del tragico gesto:

“Al giovane Greco COSTANTINO GEORGAKIS / che à sacrificato i suoi 22 anni / per la Libertà e la Democrazia del suo Paese / Tutti gli uomini Liberi / Rabbrividiscono Davanti al suo Eroico Gesto / La Grecia Libera lo Ricorderà PER SEMPRE / 19 Settembre 1970.

In memoria di Daniel O’Connel

In zona Banchi, in via al Ponte Reale 16r. è affissa una lapide e un medaglione con il ritratto in rilievo del patriota cattolico irlandese Daniel O’Connell morto a Genova nel 1847.

Recita l’epigrafe in sua memoria:

“Danieli Oconnello / vindici. Illi /Ivrivm. Civilivm. Atque. Sacrorvm / Hiberniae. Svae / Qvi. Qvvm. Romam. Iter. Haberet / His. In. Aedibus. Cessi. e. Vita / Idibvs. Maiis. An. M.DCCC.XLVII / Monvmentvm. Pecvnia. Collatit . Factvm / Anno. ab. Ortv. Eivs. C. / M.DCCC.LXXV.

Il bordo dell’ovale reca la firma dello scultore Federico Fabiano.

Sotto la lapide il piccolo medaglione in bronzo ornato di fogliami con inciso il testo:

“A Daniele O’Connell / che in nome di Dio / strenuamente propugnò / la verace Libertà/ Religiosa e Civile / della Sua Patria / nel 50 Anniversario / della Sua Morte / i Cattolici Genovesi / o.d.c.

Trittico di San Pancrazio

Dietro all’altare della chiesa di San Pancrazio recentemente restaurato, si scorge il pezzo forte della chiesa, il cinquecentesco trittico di scuola fiamminga attribuito ad Adrien Isenbrandt.

La pregevole pala descrive la vita del santo attraverso il racconto della Legenda Aurea di Jacopo da Varagine.

A dichiararlo è l’autore stesso quando sull’anta sinistra raffigura San Pietro con in mano le chiavi del Regno Celeste ed il celebre libro scritto dal vescovo di Genova.

Al tempo delle persecuzioni cristiane del III sec d. C ordinate dall’imperatore Diocleziano, quando venne martirizzato, Pancrazio era poco più di un bambino di quattordici anni.

Al centro della pala il santo è raffigurato, a sottolineare le sue nobili origini, con un falcone.

Diocleziano è prostrato ai suoi piedi, in mezzo Cristo sovrastato dallo Spirito Santo e dal Padre Eterno, con a destra San Giovanni Evangelista con una coppa in mano da cui spunta un mostriciattolo che fugge.

Sullo sfondo la città di Roma dove avvenne il martirio della quale si riconoscono alcuni monumenti. Nell’anta destra San Paolo con la spada – tratto caratteristico -della sua iconografia a conclusione di un’opera veramente straordinaria.

“Dettaglio, splendido e inconsueto, dal “Trittico di San Pancrazio” di Adriaen Isenbrant (Bruges, Belgio l 1510 – 1551).


Particolare è la rappresentazione di San Giovanni con in mano il calice e il draghetto.

Narra infatti il vescovo di Genova nel suo scritto che il sacerdote del tempio di Diana ad Efeso avesse dato da bere una coppa avvelenata al santo per metterlo alla prova visto che due condannati, avendone precedentemente bevuto, erano già morti.

Non solo Giovanni non morì ma resuscitò i due uomini.

Il simpatico draghetto dentro al calice simboleggia dunque, oltre al veleno, Satana e il male.

In copertina: Adriaen Isenbrant (Bruges, Belgio attivo 1510 – 1551). Olio su tavola di rovere, parte centrale 252 x 160 cm, 1520 circa. Chiesa di San Pancrazio, Genova.

Portolano

Rarissima e minuziosa immagine di Genova nel 1489.

Dettaglio tratto dal Portolano di Albino de Canepa, cittadino genovese attivo alla fine del XV sec.

Da ‘n pòrto à l’atro o dexidëio o l’inscia
veie stramesuæ, bon vento a-o viægio,
e mi do mondo perso, onde m’inäio
con ciù me perdo, con ciù me gh’attreuvo.

De quello che son fæto m’invexendo:
de tutto quello che vorriæ conosce.
Fæta ‘na Zena, ‘nn’atra a l’é ch’a speta
d’ëse fondâ inti seunni e ‘nte memöie.

Lascia che a lontanansa a ne s’ingheugge
indòsso, comme craccia de sarmaxo,
no gh’é destin, no ghe saià retorno,
solo a mäveggia de chi se descreuve.

Da un porto all’altro il desiderio gonfia / vele smisurate, buon vento per il viaggio, // ed io, perso nel mondo, me ne incanto, / più mi ci perdo e più mi ci ritrovo. // Mi esalto per ciò di cui sono fatto, / che è tutto ciò che vorrei conoscere. / Fatta una Genova, un’altra aspetta / di essere fondata nei sogni e nelle memorie. // Lascia che la lontananza ci si attacchi / addosso, come crosta salmastra, / non c’è meta, non ci sarà ritorno, / solo la meraviglia di scoprirsi.

Il viaggio diviene, nei versi del Prof. Fiorenzo Toso liberamente ispirati dall’anonimato genovese, condizione esistenziale e significa conoscenza.

Quell’essere “per lo mondo sì desteixi” è occasione, come argutamente osservato dallo stesso esimio linguista, “di esperienze feconde e manifestazione di creatività, attraverso il mito fondativo di infinite città, non importa se reali, immaginate o ricordate”.

Il restauro dello stemma

A meglio identificare la Lanterna con la città, nel 1340 venne dipinto alla sommità della torre inferiore lo stemma del Comune di Genova, opera del pittore Evangelista di Milano.

Il maestoso simbolo misura ben 80 metri quadrati, 10 metri d’altezza dello scudo, per una larghezza nei punti massimi di 8 metri.

In passato lo stemma era già stato “rinfrescato” varie volte, l’ultima delle quali nel 1992, in occasione delle Colombiadi.

Per questo motivo il personale della ditta Formento Restauri, incaricata del ripristino, ha effettuato cinque prelievi di pellicola pittorica e di intonaco in cinque punti diversi.

Dalle relative e puntuali analisi è emerso che nel tempo alcune parti sono state “semplificate”, uniformando le due diverse gradazioni di rosso e le due di giallo-oro in un solo rosso e un solo giallo.

Gli operai artisti di Formento non solo sono riusciti a replicare le sfumature della tinteggiatura originale, ma si sono attivati anche per far riaffiorare alcune iscrizioni fino ad oggi diventate illeggibili o quasi.

Il tutto, naturalmente, si è svolto sotto gli attenti controlli della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Genova e le province di Imperia, La Spezia e Savona con i sopralluoghi del dottor Franco Boggero e dell’architetto Francesca Passano.

Formento Restauri ha impegnato, nelle varie fasi, da due a quattro persone simultaneamente “in quota”, tra cui una restauratrice professionista, naturalmente qualificata per questa acrobatica tecnica di lavoro.

L’ottimo risultato è sotto gli occhi di tutti.

21 sett 2019

La cripta più antica

Nella versione attuale il santuario delle Grazie, causa i bombardamenti della seconda guerra mondiale, si presenta in maniera anonima abbellito nell’antistante piazzetta dalla statua del Padre Santo (1963) di Guido Galletti.

Il tempio venne eretto nelle forme originarie nel XI sec. e fu intitolato alla Madonna delle Grazie per volere dei marinai. Costoro infatti, data la vicinanza al mare, lo elessero a loro santuario e meta delle loro suppliche.

Nel ‘500 l’edificio venne quasi completamente ricostruito. Solo il campanile, a bifore, resta orgoglioso testimone della primitiva struttura.

In realtà il sito posto sulla scogliera del Mandraccio è antichissimo. Secondo alcune fonti risalirebbe addirittura al V sec. d. C, dedicato ai santi Nazario e Celso, e sarebbe stato costruito, come la vicina ex cattedrale di S. Maria di Castello, per ordine del re longobardo Ariperto.

“Interni della cripta”. Foto di Anna Rosa Basile.

Negli anni ’50 del secolo scorso durante i lavori di ristrutturazione della sottostante cisterna gli operai fecero un inaspettato ritrovamento.

All’altezza dell’odierna Via Quadrio, al livello di quella che un tempo era la spiaggia, scoprirono una piccola cripta di origine romanica che, secondo le fonti, sarebbe il più antico tempio cristiano cittadino.

Qui secondo la tradizione sarebbero approdati i due santi martiri e vi avrebbero celebrato la prima messa iniziando l’evangelizzazione della nostra regione.

La cripta è visitabile ogni venerdì dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18 grazie al prezioso contributo dei volontari di S. Maria di Castello.

In copertina foto della cripta di Anna Rosa Basile.

Il Ponte di Carignano e la Madre di Dio

È forse l’immagine più famosa che ritrae la dimenticata e nostalgica bellezza di Via Madre di Dio sotto il Ponte di Carignano.

Qualche anno fa divenne la copertina di un divertente gioco da tavolo a tema storico intitolato “Zena 1814”. Tale erudito e piacevole passatempo è ambientato negli effimeri 8 mesi di indipendenza della Repubblica genovese compresi tra la caduta di Napoleone e il Congresso di Vienna (1814 – 1815) in seguito al quale Genova venne venduta dagli inglesi ai Savoia.

L’autore di questo quadro, il pittore olandese Pieter van Loon, immortala con dovizia di particolari una scena di vita quotidiana conferendole una straordinaria vivacità.

Ed è così che, con sapiente gioco di ombre e luci, di colori vividi alternati ad altri più tenui e di frizzante realismo, la strada si anima di una moltitudine di caratteristici personaggi che popolano botteghe ed osterie: marinai che giocano alla riffa, bambini che gironzolano per strada, garzoni e muli da soma che trasportano merci, una coppia a passeggio seguita da uno scolaro con i libri, popolane che chiacchierano tra di loro e con giovanotti, avvolte nei loro macramè.

A sinistra si vede un navigante appoggiato alla porta, forse in cerca di un ingaggio, che aspetta davanti agli uffici della Compagnia marittima di battelli a vapore – di cui si legge l’insegna – della linea Livorno Marseille.

A fianco un locale dalla cui sovrastante targa con la scritta “Stanza…” si deduce essere in affitto.

Vicino “Il Grande Albergo Bella…” supera il tendone di una bottega di legumi e cereali.

Al centro della strada si distinguono un gruppo di preti e un frate. Sul lato destro si notano una grande edicola votiva oggi scomparsa, una donna seduta sulla soglia di casa e la dicitura “Buon Vin ed a mangiare” che campeggia sulla sottostante osteria. Appesa alle corde una cesta si confonde fra i panni stesi.

Domina la scena il celebre ponte di Carignano voluto da Domenico Sauli per collegare, da un colle all’altro, la propria Basilica gentilizia di S. Maria Assunta (Carignano) con il cuore del centro storico (Sarzano), scavalcando l’impervio strapiombo di Via Madre di Dio.

L’imponente opera fu realizzata tra il 1718 e il 1724 dall’ingegnere francese Gerard de Langlade nell’ambito dei lavori di ricostruzione resisi necessari, ma iniziati solo qualche decennio, a causa dei bombardamenti del 1684 del re Sole.

Sullo sfondo i colori che si dissolvono con sapiente sfumatura nella prospettiva lasciano intendere una via assai trafficata e frequentata che restituisce al quartiere scomparso tutta la sua umana vitalità.

“Strada della Madre di Dio e Ponte di Carignan a Genova” 1847 olio su tela 61,5.x 90 cm. Pieter van Loon. Genova, Collezioni Banca Carige.

Il 25 aprile del piccolo Lorenzo

Raccontare il significato del 25 aprile, senza cadere nella retorica, a generazioni che ormai vivono il giorno della Liberazione come una pagina di storia sbiadita nel tempo, è impresa ardua.

Allora ho pensato di farlo attraverso le parole di un testimone di quei giorni che ne racconta le emozioni con gli occhi ingenui del bambino.

“Non ho mai dimenticato la sera del mio primo XXV aprile (o forse era il 26 ??) ricordo come fosse ora … ero in casa con mia madre e mio padre convalescente in seguito alle amputazioni dei piedi per cancrena durante la ritirata dal Don… quando improvvisamente iniziarono scoppi tremendi dal lato di Genova… la mia reazione fu pavloviana e scappai sotto al tavolo… uno dei soliti bombardamenti… – pensai – anche se non realizzavo completamente cosa fossero questi bombardamenti… ma i miei ne erano terrorizzati… poi vidi mia madre e mio padre pazzi di gioia abbracciarsi… mi recuperarono da sotto al tavolo e mi presero in braccio… inutile dire quanto fossi sorpreso, non avevo mai visto mia madre e mio padre ridere… ero smarrito e non capivo… mia madre dolcemente cercò di spiegarmi che erano “fuochi d’artificio”… parole nuove per me… e che scoppiavano perché la guerra era finita e con essa tutti i massacri e gli orrori… la mia unica reazione fu… i miei ci scherzarono per anni…”allora stasera posso dormire da solo ??? “.

Un abbraccio a tutti e un augurio che questo giorno sia festeggiato più col cuore che con la demagogia.

Lorenzo Van, testimone di quei giorni.

In copertina le formazioni partigiane sfilano il 26 aprile per Piazza De Ferrari e Via XX.