Ninfeo in Salita Santa Caterina n. 4

L’edificio in Salita Santa Caterina n. 4, noto come Palazzo Gio Batta Spinola, poi Agostino Airolo ha subito diversi passaggi di proprietà: Costa, Doria, Spinola, Franzoni e Tedeschi si sono succedute nel tempo.

Il palazzo venne costruito intorno al 1580 dagli eredi di Gio Batta ma, nella versione in cui lo possiamo ancora oggi ammirare, risale al 1798 anno delle più significative modifiche.

Il sobrio portale squadrato va di pari passo con l’essenziale atrio con scala loggiata con colonne doriche dove, sullo sfondo, protagonista assoluto è un ninfeo a grotta con un satiro.

La Grande Bellezza…

In copertina: atrio di Salita Santa Caterina n. 4. Foto di Stefano Eloggi.

Piazza Negri

Da Sarzano scendendo in Stradone S. Agostino sulla destra si apre piazza Renato Negri.

Da qui si accede al sagrato di S. Agostino, l’inconfondibile chiesa a fasce bicrome che costituisce forse il più significativo esempio di gotico in città.

Sul portale a sesto acuto risalta la secentesca lunetta con l’affresco del santo di G. B. Merano.

Al centro della navata un grande oculo con ai lati due bifore. In cima sono posti tre calchi di statue, i cui originali trecenteschi sono conservati nell’omonimo museo: S. Agostino – appunto – San Pietro e una Madonna con Bambino.

Sulla sinistra nel 1701 venne fondato il teatro di S. Agostino che, fino alla costruzione del Carlo Felice oltre un secolo dopo, fu il principale teatro cittadino.

Qui nel 1795 si esibì per la prima volta in pubblico un musicista tredicenne che con il suo violino avrebbe stregato il mondo intero: Niccolò Paganini.

Successivamente divenne prima Teatro Nazionale, poi cinema Aliseo e dal 1986 Teatro della Tosse.

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In copertina: Piazza Negri con la chiesa di S. Agostino e il teatro della Tosse.

Foto di Leti Gagge.

Stradone S. Agostino

La direttrice, detta appunto stradone, per via delle sue ragguardevoli dimensioni, di S. Agostino venne aperta nel 1670 con lo scopo di collegare piazza Sarzano, a quel tempo la principale della città, con il palazzo Ducale.

Ben presto l’arteria divenne snodo di traffico e transito vitale per la zona e percorso obbligato e privilegiato per le seguitissime processioni delle Casacce a capo delle quali vi erano Vescovo e Doge insieme.

Ancora oggi percorrendolo non mancano le attrattive: partendo da Sarzano possiamo ammirare infatti la chiesa, il museo di S. Agostino e l’omonimo teatro, attuale teatro della Tosse; di fronte si stagliano le imponenti Mura del Barbarossa con lo spettacolare portone di accesso al Palazzo del Vescovo, odierna sede della facoltà di Architettura; in fondo infine si arriva allo scrigno di San Donato con il suo inconfondibile campanile.

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In copertina: Stradone S. Agostino. Foto di Leti Gagge.

Atrio palazzo Gio. Batta Saluzzo

L’indirizzo ufficiale di palazzo Gio. Batta Saluzzo corrisponde al civ. n. 7 di Via Chiabrera. In realtà l’edificio si trova nella piazzetta dei Giustiniani, di fronte al celebre omonimo palazzo di Marcantonio.

Nel palazzo costruito nel 1580 spettacolare è l’atrio con volte e colonne doriche che adornano lo scalone loggiato per due piani nobili.

L’edicola nell’atrio. Foto di Stefano Eloggi.

La piccola edicola votiva rappresenta una statua della Madonna Incoronata che poggia su nubi da cui spuntano alcuni cherubini alati. Ai piedi della Vegine degli ex voto uno dei quali pende dalle sue mani.

Sullo sfondo s’intravede un minuscolo cortile con una grottesca di pietre e conchiglie con mascherone marmoreo.

Particolare poi, sul fastigio a riccioli e ghirlande di fiori e frutti, uno stemma nobiliare con l’aquila e una corona in ferro battuto.

La Grande Bellezza…

In copertina: Foto di Stefano Eloggi.

Sui canali della Darsena

No, non ci troviamo sui canali di Venezia ma in darsena, nel cuore antico del porto medievale della Superba.

Qui un tempo sorgeva la darsena vera e propria costruita dopo il 1284 con i proventi della vittoriosa battaglia della Meloria contro Pisa.

La darsena originaria (dall’arabo dār-ṣinā῾a “casa dell’ industria”, quindi “fabbrica” in genovese) era divisa in tre specchi d’acqua complementari: darsena delle barche, olio e vino destinata alle imbarcazioni di piccolo cabotaggio; darsena delle galere ricovero delle grandi navi mercantili e da guerra; arsenale spazio di costruzione e armamento delle galee da guerra.

Nel 1312 a sua protezione venne progettato un imponente sistema di fortificazioni che prevedeva l’erezione di mura maestose. Due poderosi torrioni ne delimitavano l’accesso.

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Veduta dei Genova nel 1481 realizzata da Cristoforo Grassi nel 1597. Al centro del quadro custodito al Museo galata si riconoscono le mura e i poderosi torrioni dell’arsenale.

Per tutto il Medioevo il porto manterrà questo assetto polifunzionale e solo con la caduta della gloriosa Repubblica marinara nel 1797 la darsena verrà completamente militarizzata.

Nella seconda metà del 800 poi, durante il Regno Sardo, con il suo interramento si rinuncerà definitivamente alla vocazione militare dell’arsenale. Al suo posto verrà costruito un nuovo grande bacino di carenaggio maggiormente idoneo alla ricezione dei nuovi colossali bastimenti trans oceanici.

Alla fine dello stesso secolo il porto diviene proprietà comunale e assume la conformazione, con i suoi silos e magazzini, di emporio commerciale denominato Portofranco.

L’omonimo quartiere riveste oggi, grazie all’Acquario, al museo Galata e alla rivitalizzazione del Porto Antico, grande interesse e importanza in ambito turistico.

Non va tuttavia dimenticata, in virtù della presenza in loco della facoltà di Economia e Commercio, anche una significativa impronta di stampo culturale e universitario.

Un panoramico appartamento sui canali di Ponte Morosini era stato scelto negli anni ’90 da Fabrizio De Andre’ come “buen ritiro” e nido sul mare natio.

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In copertina: canali in Darsena. Foto di Leti Gagge.

Atrio Palazzo Tomaso Spinola

In Salita Santa Caterina al civ.n.3 si trova, costruito a metà del ‘500 da Giovanni Battista Castello detto il Bergamasco, il Palazzo dal nome del suo committente, Tomaso Spinola.

Nell’atrio tutt’altro che spazioso, nonostante l’evidente dislivello tra l’ingresso e il ballatoio di accesso al vano scala e l’inconveniente dell’unica rampa di scale presente a sinistra risolto con la costruzione del triforio e dello scalone monumentale, il Bergamasco riesce a conferire indubbia grandiosità all’ambiente.

Gli spettacolari affreschi che rappresentano scene ed episodi mitologici, circondati da decorazioni a grottesca, sono opera di Andrea e Ottavio Semino. Nel quadro centrale è rappresentata “Angelica legata alla rupe e Guerriero che interroga due donne”. Secondi altri esperti invece l’affresco rappresenterebbe “Andromeda che accoglie Perseo Liberatore”.

La Grande Bellezza…

Foto di Stefano Eloggi.

Atrio Palazzo Gio Carlo Brignole (Durazzo)

Al civ. n. 2 di Piazza della Meridiana si trova, progettato da Bartolomeo Bianco, il secentesco Palazzo Gio Carlo Brignole. La versione in cui ancora oggi lo possiamo ammirare è quella della ricostruzione ndel 1671 su pertinenze antecedenti. Ai Durazzo che a metà dell’Ottocento acquisirono dalla famiglia Brignole la proprietà dell’edificio si deve la stupefacente decorazione dell’atrio.

Nella parte superiore decorata da Federico Leonardi campeggia lo stemma del casato, in quella inferiore risaltano invece le gesta di illustri genovesi che fecero grande Genova: Guglielmo Embriaco, Simone Boccanegra e Andrea D’Oria le cui storie circondano l’ottocentesco affresco principale, opera di Giuseppe Isola che celebra Ottaviano Fregoso il distruttore della fortezza della Briglia occupata dalle truppe francesi di Luigi XII.

Il linguaggio prescelto che si sviluppa attraverso la postura del protagonista che regge fiero lo stendardo è quello risorgimentale con cui questi “viri” illustri assurgono a simbolo della lotta contro l’oppressione straniera.

La Grande Bellezza…

Foto di Stefano Eloggi.

La Natività del Grechetto

Giovanni Benedetto Castiglione noto, per via della sua peculiarità di vestirsi all’orientale e fingersi greco, come il Grechetto realizza nel 1645 il suo capolavoro: la Natività per la chiesa patrizia genovese di San Luca, proprietà degli Spinola.

In questa pala il cui vero titolo è “Adorazione dei pastori” l’artista dimostra di aver assorbito sia i caratteri di rinnovamento legati alla presenza in città di inizio Seicento dei maestri del Barocco Rubens e Van Dyck in particolare, sia gli insegnamenti frutto del precedente soggiorno romano in cui frequenta Gian Lorenzo Bernini e Pietro da Cortona e studia le prime opere di Poussin.

Per la descrizione tecnica non posso far altro che proporre quanto scritto dal sito specializzato www. fosca.unige.it (fonti per la storia della critica dell’arte) che spiega in maniera impeccabile le caratteristiche dell’opera:

“L’impostazione spaziale si rivela infatti con caratteri di novità: i personaggi si addensano sul lato destro della scena su piani lievemente diversi. La Vergine risulta con il Bimbo fulcro di un insieme di linee idealmente provenienti da un arco di cerchio sul quale si dispongono tutti i personaggi, ma leggermente distanziata da questi, quasi in un isolamento evidenziato dalla luce promanata dal giacilio del Bambino. L’articolazione dello spazio è ripresa anche dal gruppo di angeli che si addensano sopra la scena, intrecciando gesti e movimenti come in un gruppo plastico. L’accentuata fisicità di questi ultimi, la naturalistica evidenza del loro sporgersi verso la scena ripropone la ricchezza dell’esperienza romana e forse napoletana. Per la presenza del gruppo d’angeli si può forse pensare anche ad un riferimento alla pala della Circoncisione del Gesù di Genova.

In corrispondenza con la figura della Vergine, la colonna separa il luogo del sacro avvenimento da un fondale rappresentato a squarci. Poussiana è la figura di Giuseppe, del pastore con le mani giunte nella posizione dell’oratio, la luca che illumina il volto del Bimbo, nell’accostamento delle tonalità di veste, manto e velo della Vegine, così pure i gli incarnati dalle tonalità rosso-brune, questi ultimi trovano anche riferimenti nelle scelte rubensiane”.

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Il Presepe di Palazzo Reale

Fino a fine Ottocento il presepe oggi custodito a Palazzo Reale, noto come Presepe Reale o Presepe Savoia, apparteneva alla chiesa torinese di San Filippo Neri anche se gli esperti non sono certi sia stato realizzato per quella sede.

Alcuni studiosi infatti ritengono che il presepe sia stato commissionato dai Savoia intorno al 1814 al tempo dell’annessione della Repubblica di Genova al Regno di Sardegna.

A partire da inizio ‘900 il presepe, inizialmente ritenuto opera del Maragliano (1664-1739) e di altri maestri intagliatori (Ciurlo e Pittaluga) è passato di mano in mano per poi per fortuna diventare patrimonio comune.

Furono nel 1993 gli esperti Giulio Sommariva e Giuliana Biavati – come spiegato nel sito http://palazzorealegenova.beniculturali.it/il-presepe-del-re/ di palazzo Reale – ad identificare con certezza l’autore nella figura di Giovanni Battista Garaventa (1770-1840), artista di formazione accademica, attivo soprattutto come intagliatore di casse processionali e immagini sacre, come restauratore di antiche sculture e modellatore di apparati decorativi ed effimeri che dà qui prova di saper utilizzare un linguaggio colto e raffinato, di grande efficacia e piacevolezza compositiva.

Dallo stesso sito riporto pari pari, poichè sarebbe presuntuoso aggiungere altro, la puntuale descrizione del capolavoro composto da 85 strepitose statuine lignee di dimensione compresa fra i 40 e i 70 cm, minuziosamente decorate:

“Regale nell’ampiezza ed eccezionale nelle sue componenti: la Sacra Famiglia ne costituisce naturalmente il nucleo centrale, insieme agli angeli, ai tre sontuosi magi, agli armigeri e ai soldati.  Ogni statuina è impreziosita da eleganti ed elaborati costumi in seta, cotone, velluto, tela jeans. Gli abiti sono inoltre caratterizzati da passamanerie in argento e filo d’oro, corpetti e armature in cuoio e metallo argentato che fanno d’ogni personaggio un piccolo capolavoro. E il tutto è qualificato da accessori sofisticati: corone e sciabole, lance e scudi in metallo sbalzato, catene e cinture in cuoio, utensili e attrezzi che indicano una committenza di altissimo rango e di cospicue disponibilità economiche. Qualità e mestiere nelle parti scolpite si apprezzano sia nei pastori che nei popolani d’ambo i sessi, con una varietà di intonazioni, un gusto spiccato per il dettaglio di pregio, una forza plastica di impostazione classica che trova riscontri anche nel variopinto serraglio formato, oltre che dal bue e dall’asinello, dai tre magnifici cavalli dei magi, da due esotici cammelli e, poi, come da tradizione, da mucche e pecore, capre e montoni”.

In Copertina: Foto di Mario Ghiglione

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Foto Mario Ghiglione
Foto di Giovanni Caciagli.
Foto di Giovanni Caciagli.
Foto Mario Ghiglione
Foto di Giovanni Caciagli.
Foto di Giovanni Caciagli.
Foto di Giovanni Caciagli.
Foto di Giovanni Caciagli.
Foto di Giovanni Caciagli.
Foto di Giovanni Caciagli.
Foto di Giovanni Caciagli.