Ravecca

Tutta la contrada compresa tra Porta Soprana e Sarzano prende il nome dalla strada a mezza costa e parallela alle Murette che le collega.

Il toponimo Ravecca sarebbe un’evoluzione fonetica di Ruga Vecchia. Con il termine Ruga infatti nel Medioevo si identificava una strada maestra fra due ali di palazzi.

Si tratta di uno dei caruggi più coloriti e vivaci del centro storico. Una volta pullulava di forni, sciamadde e osterie. Oggi i locali che resistono si adattano ai cambiamenti dei tempi proponendo menù salutistici.

La Grande Bellezza…

In copertina: Via Ravecca. Foto di Leti Gagge.

Salita Oregina

La Lanterna sullo sfondo vigila onnipresente mentre Salita Oregina s’inerpica nel cuore dell’omonimo quartiere fino al santuario della Madonna Regina di Genova a cui deve il nome.

Secondo la tradizione infatti, il toponimo della zona deriverebbe dall’invocazione “O Regina!”, riportata su un’immagine dipinta su un muro della Madonna collocata anticamente in cima alla collina, formula abitualmente ripetuta dai viandanti in segno di omaggio alla Vergine.

Col tempo tale locuzione, contratta in una sola parola, avrebbe finito per designare il luogo stesso dove si trovava l’immagine.

Come testimoniato dal vescovo e storico Agostino Giustiniani nei suoi “Annali”, Oregina nel XVI secolo era una borgata di campagna quasi disabitata costituita da poche casupole con modesti appezzamenti e pascoli.

«Usciti che si è dalla porta di S. Michele occorre, primo: la villa di Oregina, col fossato di S. Tomo [San Tommaso] il quale dà fortezza alla città; sono in questa villa insieme col fossato trentotto case, venti di cittadini e diciotto di paesani, quali tutte hanno terreno lavorativo.»

(Agostino Giustiniani, “Annali della Repubblica di Genova”, 1537)

Il bucolico borgo si trovava dunque al di fuori delle mura cittadine dentro alle quali venne inserito solo nel Seicento con l’erezione delle Mura Nuove.

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Salita Oregina. Foto di Maurizio Romeo

L’accesso alla collina era garantito dalla ripida crêuza, ancora oggi percorribile, di Salita Oregina, che partendo dalla porta di San Tommaso (piazza Principe) seguiva esternamente il recinto delle mura cinquecentesche giungendo al bastione del forte di San Giorgio, che dal 1818 ospita l’osservatorio meteorologico e astronomico della Marina.

Qui sul finire del XVI sec. sarebbe sorta la chiesetta intitolata alla Madonna di Loreto della quale i romiti fondatori erano devoti.

Intorno alla metà del secolo successivo il piccolo tempio venne inglobato in una grande chiesa con relativo convento francescano annesso.

Santuario di Nostra Signora di Loreto. Foto di Leti Gagge.
Scalinata di accesso al sagrato della chiesa. Foto di Leti Gagge.

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L’altare Maggiore con la statua della Madonna di Loreto.
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Primo piano della Madonna di Loreto

Il santuario assunse particolare importanza quando nel 1746 la Repubblica di Genova decise di celebrarvi la cacciata, iniziata dal Balilla, degli austriaci.

Si stabilì quindi come simbolica ricorrenza il 10 dicembre giorno della vittoria sulle aquile bicipiti asburgiche.

Nel 1847 in occasione del centounesimo anniversario della rivolta si radunarono alcune migliaia (30000 secondo le cronache) di patrioti. L’imponente corteo partito dall’Acquasola che, attraversò il centro e imboccato Via Balbi, raggiunse il santuario.

Qui, sul sagrato della chiesa, venne eseguito per la prima volta dalla Filarmonica Sestrese, al cospetto dei suoi autori Mameli e Novaro, il Canto degli Italiani, quello che sarebbe poi diventato nel 1946 l’ Inno Nazionale italiano.

Targa della Scalinata Canto degli Italiani.

Nell’ottica dell’ampliamento urbanistico della città di Genova dovuto al forte sviluppo portuale, il quartiere di Oregina fu interessato dalla messa in opera di Via Napoli, la principale arteria del quartiere lato monte. La strada fu tracciata alla fine del XIX secolo e ultimata, nei tratti delle odierne Via Bari e Via Bologna, all’inizio del secolo seguente.

In copertina: Salita Oregina. Foto di Leti Gagge.

Piazza Don Andrea Gallo

Fino a qualche anno fa lo slargo intitolato a Don Gallo nel cuore del ghetto ebraico genovese era un triste cumulo di decennali macerie post belliche.

Grazie al Comune che ha contribuito alla pavimentazione e alle associazioni di quartiere che lo hanno pulito, con in primis l’abbellimento floreale ad opera di “Princesa”, lo spiazzo il 18 luglio 2014 é diventato piazza in memoria – come recita la targa – di don Andrea Gallo prete di strada.

Particolare e significativo il disegno che, prendendo spunto da un pilastro di una loggia tamponata utilizzato a mo’ di tronco d’albero, rappresenta un bambino che annaffia la pianta.

Particolare disegno nella piazza”. Foto di Giovanni Caciagli.

Proprio come nei versi della celebre canzone di De Andre’, del resto siamo proprio nei pressi di Via del Campo, “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.

La Grande Bellezza…

In copertina: Piazza Don Andrea Gallo. Foto di Leti Gagge.

Salita della SS. Incarnazione

La creuza della Salita della SS. Incarnazione che deve il suo toponimo dall’omonimo monastero , detto anche delle “turchine” per via del colore dell’abito delle monache.
Il complesso eretto nel 1604 in Castelletto sotto Corso Carbonara e Largo della Zecca dalla genovese Beata Maria V⁰ittoria de Fornari Strata (1562 – 1617) comprendeva due complessi attigui, separati da una strada, detti rispettivamente “Turchine di sopra” e “Turchine di Sotto”.

Dell’antico edificio scomparso restano i toponimi delle due vie di accesso Salita dell’Incarnazione appunto e Salita delle Monache Turchine che ne costeggia l’ultimo muro rimasto.

Le monache turchine si sono traferite dopo la prima guerra mondiale a San Cipriano portando con se i preziosi oggetti, i quadri, le secentesche sculture, gli arredi liturgici e il mobilio di maggior pregio.

Il risseu nella sua originaria collocazione all’interno del monastero.

La più significativa testimonianza del monastero rimane comunque il raffinato risseu del cortile interno del monastero che, recentemente restaurato dall’artista Gabriele Gelatti, fa bella mostra di se nel cortile di Palazzo Reale dove era stato ricostruito negli anni ’60 dal maestro Armando Porta.

“Spettacolare immagine dall’alto del risseu”.

La Grande Bellezza…

In copertina: Salita della SS. Incarnazione.

Foto di Leti Gagge.


“Pittoresca bellezza”…

Assai è noto con quanto di magnifica eleganza il Marchese Giancarlo Di Negro abbia dato molte solenni feste nella sua Villetta di Genova all’onore or di Eroi Italiani, or di suoi amici illustri. Innumerevoli persone, in tutta Italia e fuori conoscono la rara amenità del luogo, e quel meraviglioso prospetto di città e di mare, che il possessore cortesissimo concede liberamente di godere ogni giorno a tutti: ed è famoso lo spettacolo ch’essa rende illuminata copiosamente in quelle notti festose; al quale concorre plaudente un popolo numeroso nel sottoposto passeggio dell’Acquasola.

Cit. Pietro Giordani (1774-1848) scrittore italiano.

Sono andato a vedere la statua colossale nel giardino del celebre Doria, poi alla Villetta, delizioso giardino del marchese Di Negro: un uomo d’ingegno che, nonostante il suo blasone, fa buona accoglienza a tutti gli uomini di talento. […] Mi ha accolto con ogni cordialità m’ha offerto dell’uva della sua Villetta.

La casa italiana in cui gli stranieri sono ricevuti con maggior affabilità è quella del marchese di Negro, a Genova. La posizione della Villetta, il giardino di quest’uomo cortese, è unica per la sua pittoresca bellezza”.

Cit. Stendhal (1783-1842) scrittore francese.

La Grande Bellezza…

In copertina: da Villetta di Negro. Foto di Maurizio Romeo.

Salita Pietraminuta

Salendo Corso Dogali, dopo il quarto tornante sulla sinistra, più o meno all’altezza dell’Orto Botanico si nota all’interno di un cancello privato l’ottocentesca targa del civico n. 19 che rimanda al toponimo di Pietraminuta.

Da qui lo spunto e il pretesto per raccontare la storia dell’ampliamento verso ponente della cinta muraria, deliberato nel 1346 sotto il dogato di Giovanni da Murta (secondo doge della Repubblica dopo Simone Boccanegra).

I lavori completati nel 1350 prevedevano mura che, partendo dalla torre di Castelletto, scendevano a S. Agnese, risalivano per Carbonara per ridiscendere verso Pietraminuta (odierno Corso Dogali) e Montegalletto (attuale castello D’Albertis) e proseguire fino alla chiesa di San Michele sotto la quale si apriva la porta di S. Tomaso.

Come raccontato dal Dellepiane nel suo preziosissimo “Mura e Fortificazioni di Genova” da un atto notarile del 9 novembre 1346 del nostro Tomaso di Casanova si evince che: ” (…) la parte esecutiva per la costruzione dei bastioni di Pietraminuta venne affidata ai maestri antelami Giorgio Scriba, Giovannino da Biegna, Giacomo Piuma, Marchisio de Ceso, Antonio Sachero e Giovanni Gasparino”.

“Veduta di Genova cin il baluardo di Pietraminuta”. Immagine tratta da “Mura e Fortificazioni di Genova” di Carlo Dellepiane.

Si stabilì un’altezza delle mura compresa fra 18 e 25 palmi e una larghezza di sei, sette palmi. La parte superiore del muro doveva essere munita di parapetto alto cinque palmi coronato da merlatura di quattro palmi.

Si convenne che nella località di Pietra Minuta il muro difensivo doveva essere sormontato da tre torri; una sopra la piazza ivi esistente, un’altra sopra la strada ed infine l’ultima so doveva erigere sul terreno comune ai Monasteri di Pietra Minuta e di Santa Marta verso il Guastato.

Salita di Pietraminuta di arrampica nel buio da Via Balbi per guadagnarsi un solare e arioso panorama sui bastioni del Montegalletto.

Da Via Balbi, tra il collegio dei Gesuiti e la chiesa di San Carlo l’antico bastione è ancora oggi percorribile fino a Via Kassala.

In copertina: Salita Pietraminuta nel tratto in alto. Foto di Giovanni Sechi.

Vico Testadoro

Originariamente vico Testadoro era un vicolo unico che collegava direttamente Luccoli con Via S. Sebastiano.

Con l’apertura di Via XXV Aprile, nei primi decenni dell’Ottocento, il caruggio fu diviso in due (la parte verso Luccoli è infatti Vico Inferiore di Testadoro).

“Vico Inferiore Testadoro”. Foto di Giorgio Corallo.

Nei documenti antichi è indicato come Testa Auri (conchiglia o testa d’oro) il cui toponimo, secondo alcune fonti non certificate, deriverebbe dalla presenza in loco di un’omonima locanda.

La Grande Bellezza…

In copertina: Vico Testadoro. Foto di Raffaella Magherini.

Vico Angeli

Vico Angeli si trova nell’intricato dedalo di caruggi che compongono il sestiere della Maddalena.

Il toponimo, di cui si ha già notizia almeno dal 1798, trae origine dall’antica famiglia Angeli o De Angeli che qui aveva le proprie case.

Il personaggio di maggior spicco di tale casata fu Lorenzo che nel 1357 rivestì il ruolo di ambasciatore presso il Duca di Milano.

Anticamente il caruggio era noto come vico Testadoro. Mutò il nome per non confonderlo con l’omonimo vicolo che, all’inizio di via XXV Aprile, ospita la famosa trattoria dalla “Maria”.

La Grande Bellezza…

In copertina: Vico Angeli. Foto di Leti Gagge.

Caligo

Oggi non c’è stato un solo genovese che non abbia rivolto lo sguardo ai quattro punti cardinali per capire da dove provenisse quella specie di fumo che impediva la visibilità. Forse un incendio?

Niente puzza di bruciato quindi tale ipotesi non reggeva.

Poi dopo qualche momento di smarrimento si è capito trattarsi della caligo, ovvero quel raro fenomeno marinaro che, dall’incontro sotto costa di aria calda con la superficie fredda dell’acqua, produce nebbia. La foschia ha così dal mare lentamente ammantato la città fino a far scomparire – come per magia – persino la Lanterna.

Intanto senza il faro come riferimento le sirene delle spaesate navi urlano, segnalando la posizione, tutta la loro preoccupazione.

“Tetti di Genova avvolti nella caligo”. Foto di Gianni Cepollina.

Vi è poi una suggestiva credenza popolare, tramandata di generazione in generazione, che sostiene la caligo essere una sorta di mantello magico che avvolge e accompagna le anime dei marinai verso la loro pace. Gli spiriti risalirebbero dunque dal mare per venire a prendere le anime rimaste, in una specie di limbo, incastrate tra la vita terrena e quella ultraterrena.

“La nebbia arriva
su zampine di gatto.
S’accuccia e guarda
la città e il porto
sulle silenziose anche
e poi se ne va via”.


Cit. Carl Sandburg. Poeta americano (1878-1967).

La Grande Bellezza…

In copertina: caligo a Genova. Foto di Gianni Cepollina 24 febbraio 2021.

A street in Genoa 1851

“A street in Genoa” così è intitolato questo splendido dipinto in olio del pittore James Holland (1799-1870).

Nel 1851 infatti l’artista inglese soggiornò a Genova dove eseguì alcune delle sue opere più apprezzate:

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“Chiesa di San Pietro della Porta in Piazza Banchi”. Immagine tratta da https://www.pittoriliguri.info/pittori-liguri/holland-james/
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“Veduta della Foce” Immagine tratta da https://www.pittoriliguri.info/pittori-liguri/holland-james/
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“Lavandaie presso il fossato di S. Ugo“. Immagine tratta da https://www.pittoriliguri.info/pittori-liguri/holland-james/

Tra queste quella che mi ha incuriosito maggiormente è la vivace rappresentazione di via della Maddalena.

“Veduta della Lanterna dalla Villa del PrincipeImmagine tratta da https://www.pittoriliguri.info/pittori-liguri/holland-james

Lo si evince ingrandendo l’immagine sopra la targa del negozio dei cappelli dove è infatti appuntato “quartiere della Maddalena Genova”.

Anche se l’edicola sullo sfondo non corrisponde alla realtà (al suo posto oggi vi è quella di San Francesco da Paola) perchè l’originale settecentesca Madonna dell’Immacolata Concezione qui rappresentata è andata perduta, siamo probabilmente all’altezza della casa natale di Simone Boccanegra.

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“Altra versione dello stesso scorcio”. Immagine tratta da https://www.pittoriliguri.info/pittori-liguri/holland-james/

Spettacolari i dettagli dove, tra sapienti giochi di luce e chiaro scuri assai verosimili, tipici dei caruggi, si muovono i protagonisti della scena: in primo piano sulla destra la figura seduta a terra accanto ad una botticella di legno sembra appisolata; al centro della mattonata una coppia in abiti signorili si sofferma ad ammirare le merci di una venditrice ambulante seduta sul ciglio; sull’altro lato cammina una signora con gonna rossa e scialle bianco sulle spalle; tra la folla s’intravvede un’altra donna con cappello bianco che avanza in direzione contraria; sullo sfondo s’intuiscono, sfumati in lontananza, gli altri personaggi che affollano il vicolo; la presenza del camallo che procede con un sacco sulle spalle conferisce dinamicità alla scena; parcheggiata su un lato una elegante portantina nera con finiture dorate accanto alla quale riposa assiso sopra un gradino un facchino. Chissà forse i suoi passeggeri sono gli eleganti signori di cui sopra o altri che aspetta escano dall’antistante negozio di cappelli?

Fuori dalla porta della bottega una donna vestita di scuro con velo bianco sembra discorrere con le fioraie che espongono le proprie mercanzie sul tavolino in primo piano.

James Holland con questo delizioso dipinto ci ha lasciato una splendida istantanea di una Genova che non c’è più e che nemmeno attraverso foto o cartoline antiche sarebbe stato possibile raccontare.