Come Narciso!

Proprio come Narciso la Piazza si specchia e si riflette nelle acque della sua fontana.

“Quanto lamento il puro e fatale tuo splendore | da me sì dolcemente circondata o fontana, | dove attinsero gli occhi in un mortale azzurro | la mia immagine d’umidi fiori incoronata!”

Cit. da Narciso di Paul Valery.

La Grande Bellezza…

Portofino in notturna

Già in epoca romana Plinio il Vecchio raccontava ammirato della grande bellezza del borgo di Portofino Portus Delphini così chiamato per via della numerosa presenza di questi cetacei nelle sue acque.

“Ed ecco, all’improvviso, scoprirsi un’insenatura nascosta, di ulivi e castani. Un piccolo villaggio, Portofino, si allarga come un arco di luna attorno a questo calmo bacino. Attraversiamo lentamente lo stretto passaggio che unisce al mare questo magnifico porto naturale, e ci addentriamo verso l’anfiteatro delle case, circondate da un bosco di un verde possente e fresco, e tutto si riflette nello specchio delle acque tranquille, ove sembrano dormire alcune barche da pesca”
(Guy de Maupassant).

La notte bramosa le avvolge intorno il suo vellutato mantello mentre Portofino illuminata come un presepe risplende di smisurata bellezza…

La Grande Bellezza…

Bacan d’a corda…

“Bacan d’a corda marsa d’aegua e de sä
Che a ne liga e a ne porta ‘nte ‘na creuza de mä”.

“Padrone della corda marcia d’acqua e di sale
che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare”.

Cit. da “Creuza de mä” 1984 di Fabrizio De Andrè.

“Bacan” non significa solo “padrone” in senso materiale ma anche, e soprattutto, “responsabile” in senso etico e morale.

Siamo tutti, noi genovesi, responsabili di questa gomena che ci lega, ci unisce in un caruggio di mare, per renderci partecipi dei nostri destini.

Responsabili di portare la nostra barca ad ormeggiare sicura in porto.

“Creuza de mä”. Foto di Leti Gagge.

A mio modestissimo parere i più bei versi mai scritti su Genova capaci di racchiuderne in poche parole l’essenza più intima e profonda.

La Grande Bellezza…

Il Bacinetto di carenaggio

Tra le nubi che lentamente si colorano di blu filtra la luce di un tramonto che prepara la sua danza d’amore intorno alla città vecchia e al suo porto.

Gli alberi delle vele in primo piano e la Lanterna sullo sfondo sembrano sfidare il cielo.

Protagonista assoluto, come in un quadro di Rubens (“rosso” appunto in latino), il rosso della chiusa del “Bacinetto” di carenaggio davanti alla Darsena (dàrsena: dall’arabo dārināa «casa dell’industria; fabbrica», attraverso la lingua genovese) di fronte a Porta dei Vacca.

Tale struttura tuttora adibita alla manutenzione dei rimorchiatori portuali  è il più antico bacino di carenaggio in pietra del Mediterraneo.

La Grande Bellezza…

Foto di Leti Gagge.

La Gru del Mandraccio

Dove oggi sorge l’area recuperata del Porto Antico un tempo pulsava il cuore laborioso della città:

“Del mare avevo un’idea approssimativa, non però della vita in un porto. Vagoni ferroviari, minacciose gru a vapore, carichi di merce e uomini lungo argini di solida muratura, funi da scavalcare. Sfuggire ai barcaioli: «Giro del porto, panorama della città!», «Le navi da guerra americane!», «I fari!», «Il mare!». Sedersi sui grossi cavi di ferro. Clima insolito. Piroscafi da Liverpool, Marsiglia, Brema, la Spagna, la Grecia, l’America. Rispetto per la grandezza del globo terrestre. Centinaia di vapori accanto a innumerevoli vaporetti, velieri, rimorchiatori. E gli uomini, poi? le figure più strane, col fez. Qui, sugli argini, emigranti, italiani del Sud, accoccolati al sole (come lumache), gesticolare da scimmie, madri con lattanti al petto, i bambini più grandicelli che giocano e si bisticciano. Un vivandiere si fa largo con un recipiente fumante di «frutti di mare». Colpisce l’odore d’olio e di fumo. Donde proviene? Poi gli scaricatori di carbone, belle figure robuste, il torso nudo, agili e veloci, col carico in groppa (in testa un fazzoletto, a riparo dei capelli), sulla lunga passerella su al magazzino, per la pesatura. Poi, liberi, per un’altra passerella giù al piroscafo, dov’è pronta un’altra cesta piena. Così in incessante giro, uomini abbronzati dal sole, neri di carbone, rudi, sprezzanti. Lì un pescatore. L’acqua schifosa non può contenere nulla di buono. Non pesca nulla, e neppure gli altri. Gli arnesi: una corda, con un sasso attaccato, una zampa di gallina, un mollusco.
Sugli argini case e magazzini. Un mondo a sé. Noi semplici oziosi. Eppure fatichiamo, almeno con le gambe”. Cit. Paul Klee.

“Lapide presso Calata Cattaneo sul muro dell’edificio del Millo che omaggia i lavoratori portuali genovesi”

La gru di Calata Mandraccio trasformata a monumento di quel tempo eroico funge da sentinella della memoria quando la Compagnia dei Caravana faticava sulle banchine dei vecchi moli.

“Ammirerai il molo opposto al mare e il porto, opera dell’uomo, di inestimabile valore e di molto lavoro, che invano colpiscono le quotidiane tempeste“. Francesco Petrarca.

La Grande Bellezza…

La Fontana del Genio Marino

La fontana di Piazza Colombo recentemente restaurata un tempo si trovava sul Ponte Reale davanti a Palazzo S. Giorgio.

Nel 1643 fu commissionata dai facoltosi membri dei Protettori delle Compere a Pier Antonio e Ottavio Corradi (i progettisti della vasca) e realizzata da Giambattista Garrè. I quattro delfini capovolti invece sono opera di G.B. Orsolino mentre la statua alata, allegoria della fama, aggiunta nel 1673, è stata scolpita da Jacopo Garvo.

La fontana venne traslocata da Ponte Reale a Piazza Colombo nel 1861 per abbellire la nuova piazza ottocentesca voluta dall’architetto Resasco. Non solo bellezza ma anche utilità visto che il barchile fungeva da abbeveratoio per cavalli e muli provenienti dalla campagna che vi transitavano carichi di verdure verso il Mercato Orientale.

Oggi i suoi marmi sono stati ripuliti dalla fuliggine che la anneriva e riportati all’antico splendore.

Nella piazza infine due lapidi meritano menzione: la prima ricorda i caduti sotto i bombardamenti dell’ultima guerra, la seconda omaggia la casa Natale del poeta dialettale Edoardo Firpo.

La Grande Bellezza…

“La Fontana del Genio Marino”. Foto di Leti Gagge.

La Colonna ottagonale

Vico Denegri prende il nome dalla nobile famiglia Dinegro originaria di Portovenere.

Per via della presenza in loco delle botteghe della corporazione dei distillatori il caruggio era anticamente noto come Vicolo dell’Acquavite o degli Acquavitai.

Qui ha sede, anche se l’ingresso principale dell’edificio è in Via San Luca n. 2, la loggia del Palazzo di Ambrogio Di Negro.

A fianco una lapide recita: “Il Nome di Questo Vicolo Ricorda / Andalò Di Negro / Tra i Sapienti dell’età sua sapientissimo / 1300.

Andalò intraprese numerosi viaggi in qualità di ambasciatore sia nel Mediterraneo che in tutta Europa. Fu maestro e amico di molti suoi illustri contemporanei come Marco Polo e Boccaccio. Come testimoniato da alcuni suoi scritti conservati in diverse biblioteche europee il Di Negro fu anche medico, chimico, scienziato e poeta.

Al civ. n. 4 la loggia con due grandi arcate a sesto acuto, tamponata con un’ampia vetrata, si distingue per la presenza di una strepitosa colonna ottagonale in pietra bianco nera. In cima i resti di un capitello sul quale si possono ancora ammirare tracce di un volatile.

La Grande Bellezza…

In copertina Vico Denègri. Foto di Stefano Eloggi.

Il Salone del Maggior Consiglio

La versione originale della sala di Palazzo Ducale in cui si riunivano i 400 nobili che decidevano dei destini della Repubblica è andata distrutta dopo il furioso incendio avvenuto nel 1777. In quell’occasione si persero gli affreschi di Marcantonio Franceschini e del Solimena, e le opere di Tommaso Aldobrandini. Sfarzosamente riedificata in un tripudio di stucchi e arredi neoclassici su progetto del Cantoni viene decorata nelle lunette con “la Battaglia della Meloria” del David e con “Leonardo Montaldo libera Jacopo da Lusignano re di Cipro” del Tagliafichi. La decorazione della volta invece venne affidata al Tiepolo che la affrescò con le “Glorie della Famiglia GiustinianI”. Nel 1875  l’opera del pittore veneziano venne sostituita con “l’allegoria del Commercio dei Liguri”, arte in cui i nostri avi da sempre avevano dimostrato di eccellere, di Giuseppe Isola.

Sullo sfondo del salone dove un tempo si trovava il trono del Doge si possono ancora ammirare le due splendide statue della Giustizia e della Fortezza scolpite rispettivamente da Nicolò Traverso e Francesco Maria Ravaschio.

La Grande Bellezza…

La Madonna degli Afflitti

All’angolo fra Via Giustiniani 29r e Via Chiabrera 19r è incastonata l’edicola della Madonna degli Afflitti. Il Medaglione marmoreo è secentesco mentre l’edicola in stucco è ottocentesca.

Agli angoli quattro grandi riccioli incorniciano la Vergine e reggono a coronamento una conchiglia con teste di cherubini, fregi floreali e il monogramma di Maria.

Il cartiglio ormai abraso reca l’epigrafe: “Consolatrix Afflictorum 1804″.

Censita dall’Alizeri  anche un’altra scritta oggi rimossa che recitava: ” Cui Morbum Cholericum Arcebat / Deiparae Virgini / Hoc Insignis Grazie Monumentum / Instaurabant / Salvati an. 1855, a ricordo della nefasta epidemia di colera che colpì la città in quell’anno.

Il Piano di S. Andrea

Il piano di S. Andrea è la zona dell’omonimo colle sul quale si staglia Porta Soprana che, prima del 1936 quando la montagnola venne sbancata, dominava dall’alto i quartieri di Ponticello, dei Lanaiuoli, della Marina, dei Servi e della Madre di Dio.

Sullo spiazzo si affacciano la Turris Matonorum, un’antica duecenteca torre della famiglia Embriaco e Vico delle Carabaghe con le sue curiose storie di case chiuse e macchine da guerra. Da qui si dipartono verso il cuore della città vecchia i caruggi di Via Ravecca, Via della Porta Soprana e Salita del Prione.

La Grande Bellezza…

Foto di Leti Gagge.