In cima alla tortuosa salita di Via Luccoli in una nicchia sotto il muro di contenimento di Piazza Fontane Marose ci si imbatte nella secentesca fontanella marmorea.
La fontana parzialmente protetta da una cancellata in ferro è caratterizzata da un mascherone a testa di medusa che riversa l’acqua nel suo catino a forma di conchiglia.
Motivo, quest’ultimo, ripetuto anche nel timpano in alto.
Sembra il classico paesaggio esotico di una cartolina caraibica o di una baia brasiliana ed invece è un tramonto invernale sulla spiaggia di Priaruggia.
“E quando tramonta il sol Una canzone d’amor Da Baja a Salvador Oh Maria, per te canterò…”
“Intanto, più che chiese le direi bui gusci marini (conchiglie che sembrano a volte fossilizzate) ed entrare in una di tali chiese di dure pietre grige annerite dai fumi portuali e industriali (in San Donato, in San Giovanni in Prè, per tacer di tutte le altre, arci famose), sempre mi è parso un poco entrare in una sorta di murice, ingrandimento di quelli, ruvidi d’incrostazioni calcaree e saline, che i ragazzi raccattano sul litorale, e accostano all’orecchi per sentire il rumore del mare.
L’intera Genova, nel suo insieme, è città doppia: bifronte come il Giano che ne sormonta lo stemma o ne vigila le aiuole e i giardini.
… e ancora…
“È un diffuso e impalpabile rumor di mare, quello che senti o ti par di sentire tra le navate nere di secoli e di semi tenebra, ch’è anche, per chi abbia orecchio esercitato ad intenderlo, sommesso brusio di traffici e di lucri: di cantieri in opera lungo i due corni della città, nonché di gravi sirene mercantili, le quali da navi che vengono e vanno, e sempre profonde come bassi d’organo, specie di notte fanno vibrare le invetriate, quando placatosi il concerto delle gru, dei magli e delle perforatrici, odi più chiaro l’ansito della risacca, la cui rotolante ghiaia dà anch’essa il suono e l’idea, nella doppia caligine di quelle chiese, d’un fosforico rotolio di zecchini.
“C’è qualcosa di diverso qui da altri luoghi, cosa sarà mai? Forse “lo spiro salino che straripa dai moli”? Ti viene in mente questo verso perché lo “spiro salino” è sicuramente il maestrale o un vento simile: libeccio, mistral, scirocco, comunque un vento del Mediterraneo, e dunque siamo in un paese del Sud, e nei paesi del Sud, con questi venti, ci sono anche i panni alla finestra, lenzuola che schioccano al vento come bandiere. Venti nostri, panni nostri. […]
Sono partito da Sottoripa, punto cardinale di una città che serba intatto il suo mistero. Che forse la farebbe pensare avara, perché è guardinga, non si concede, non si fida. Ma chi la pensa avara non ha capito la sua generosità: è città medaglia d’oro della Resistenza.
Impaziente di ammirare Zena (in arabo) “La Bella” il tramonto squarció le nubi e quando la vide lì, sdraiata come una sirena, la rivestí con i suoi infuocati riflessi di un regale manto dorato.
Genova con i suoi campanili di pietra, i palazzi di marmo e i tetti d’ardesia, arrossì vanesia!
“Raramente noi siamo coscienti del vero valore di un periodo della nostra vita, finché lo viviamo, ma oggi, mentre camminavo lassù dominando Genova, scorrendo con lo sguardo lontano sulla città e sul mare, col tempo più paradisiaco che vi possa essere, rividi nitidamente davanti a me gli ultimi due anni, le loro sofferenze e il lento progresso verso il miglioramento; e intanto un raro senso di beatitudine saliva in me, m’invadeva: la beatitudine di colui che si sente guarire”.
“Come malinconico erravo altre volte per queste strade e stradicciuole, come mi sentivo estraneo a quest’umanità rumorosa e impaziente nel domandare e nel godere, come se, tra i viventi, io non fossi stato che un’ombra. Invece adesso, tra il gridio e il giubilo di questi assetati di vita, io afferro un suono, una nota che trova un’assonanza nell’anima mia”…
(Lettera ad un amico da Genova 22 gennaio 1882)
e ancora…
“Questa volta passi da Genova – un’occasione così non ci capiterà mai più per tutta la vita. Le mostrerò, come fa il diavolo, tutte le «bellezze del mondo», e senza nemmeno l’intenzione di «corromperLa»! –