In piazza San Bernardo di fronte alla storica vineria Moretti si trova l’Oratorio dei Santissimi Pietro e Paolo.
L’edificio religioso venne realizzato proprio davanti alla scomparsa chiesa di San Bernardo nella cui area sono sorte la vineria di cui sopra e la scuola Baliano.
L’oratorio che venne costruito nel 1722 presenta un significativo altare marmoreo e diverse opere di artisti di scuola genovese.
Nel 1918 venne adibito a deposito della carta dal quotidiano “Il Secolo XIX”.
Attualmente facente capo alla parrocchia di San Donato subisce restauri ciclici e non è visitabile.
A fianco dell’oratorio sul fronte del civ. n. 30, casa natale di Goffredo Mameli, sono affisse due lapidi che celebrano la rivolta antiaustriaca del Balilla nel 1746.
La prima recita:
I Figli degli Uomini del 1746 / Sentono / Quali Doveri / Importi / Il pensare ai loro Fratelli / che seppero Morire.
La seconda declama:
I Goliardi Genovesi / nel Giorno Sacro alla Vittoria del Popolo / Gloriando le Nuove Battaglie / per la Cacciata degli Austriaci / in Votivo Pellegrinaggio ad Oregina / dalla Casa Dove Nacque / Goffredi Mameli / Rinnovano / con le Parole del Vate dell’Italia Ridesta / la Serbata Promessa – X. XII. MCMXVI.
La Grande Bellezza…
In copertina Piazza San Bernardo. Foto di Leti Gagge.
La piazza e il vico prendono il nome dalla nobile famiglia dei Fregoso originaria del piacentino che, fin dai tempi remoti, si stabilì in Val Polcevera.
Sul finire del ‘300 il casato iniziò, grazie alle imprese di Domenico Campofregoso, la sua ascesa al potere.
Per tutto il ‘400 i Fregoso annoverarono dogi, arcivescovi, cardinali e furono protagonisti della scena genovese in aperto contrasto con gli acerrimi rivali degli Adorno.
Nel 1528 con la riforma voluta da Andrea D’Oria fu impedito loro di costituirsi da soli in albergo e confluirono, decretando il proprio declino, in quello dei De Fornari.
Sul fronte del palazzo della piazza all’angolo con vico del Campo è affissa una lapide che recita:
DOM / Pensiones. Huius Domvs. Assignatae / Perpetuae. Celebrationi Dvar. / Missar.a. Defvnctis. in. Svffragiv. / Animae. M. Lvcretiae. Fillae (-) Ill.mi. /Iacobi Dvratv Vxoris (-) M.ci. / Panthaleonis Balbi. Eivsq / Ascendentivm. et Svccessor / Qvae. Sic. Pvblicis Tabvlis / Testamenti Eivsdem. Manv / Io. Iaci. Cavalli Notarv Faciendvm / Legavit. Die. 30. Decis. An. 1628.
Le rendite (es. canoni di locazione) di questa casa sono destinate in perpetuo alla celebrazione di messe in suffragio dell’anima della defunta Lucrezia figlia di Giacomo Durazzo (doge di Genova) e moglie di Marcello Pantaleo Balbi, ai suoi ascendenti e discendenti, in base a un legato del testamento pubblico redatto dal notaio Giovanni Giacomo Cavalli il 30 dicembre 1628.
Traduzione di Maurizio Miglietta.
In copertina: la lapide dei Fregoso. Foto di Giovanni Caciagli.
Al civico n. 14 di via San Luca si trova il portale del XVI- XVII sec. di palazzo Nicola e Gio. Batta Spinola.
Particolari in tale nobile accesso sono le due enigmatiche erme con turbante che reggono capitelli ionici.
Sul trave si distingue un mascherone femminile centrale fra triglifi a mensola.
Il classico stemma col monogramma di Maria caratterizza il timpano spezzato con grandi riccioli.
L’attribuzione dell’opera è incerta: secondo alcuni a G.G. della Porta, secondo altri al Valsoldo. Certo il portale presenta tratti in comune con quello di Salita Santa Caterina. n. 3.
All’esterno dell’edificio, nonostante la sua importanza abbastanza trascurato, ai piani alti risultano ancora visibili brani dei superbi affreschi eseguiti nel 1560 da Ottavio Semino e nel 1610 da Gio. Andrea Ansaldo.
In copertina: Portale in via San Luca n. 14. Foto di Leti Gagge.
L’attuale conformazione di vico Biscotti, completamente distrutto dai bombardamenti del 1942, costituisce uno dei peggiori esempi di ricostruzione post bellica.
Il nome del caruggio rimanda all’omonima nobile famiglia di fede guelfa che, originaria di Lucca nel XV sec., nel 1528 fu ascritta nell’albergo dei Grillo.
Tutta l’area compresa fra S. Agostino e piazza delle Erbe che ospitava le antiche piazza dei Tessitori e vico Mezzagalera (l’ultima sede del ghetto ebraico), negli anni ’90 è stata occupata da una colata di cemento: terrazze di asfalto e posteggi interrati sono sorti sulle macerie dei bombardamenti.
Il vico costeggiava un tempo, sul retro della chiesa di San Donato dove vi era anche un piccolo cimitero, l’Oratorio della Morte e della Misericordia.
I membri di tale Confraternita erano preposti alla sepoltura dei poveri durante le pestilenze.
A ricordo di questo macabro passato rimane solo una sbiadita lapide del del 1885 che racconta -appunto- della nefasta peste del 1656.
Al civico n. 3 di Piazza Palermo proprio accanto alla sede della Pubblica Assistenza della Croce Bianca locale è possibile ammirare un elegante portone in stile neo gotico rinascimentale.
Gli stipiti del signorile ingresso sono intarsiati e il trave è sovrastato da un tripudio di disegni geometrici, riccioli e volute.
Le due nicchie su basamento a colonna culminanti in cuspidi ospitano le statue di altrettanti illustri genovesi: Cristoforo Colombo a sinistra e Andrea D’Oria a destra.
Il primo vestito elegantemente è rappresentato assorto nei suoi pensieri mentre regge in mano il globo. Chissà quale rotta starà studiando?
Il secondo invece dall’aspetto austero è bardato nella sua cotta di rappresentanza. Con una mano stringe una pergamena arrotolata. Forse un’importante missiva o un vantaggioso contratto? Con l’altra impugna fiero l’elsa della sua preziosa spada di prestigioso Defensor della cristianità.
In vico della Giuggiola all’angolo con salita di Carbonara, proprio in corrispondenza della targa che identifica il caruggio, si trova una deliziosa Annunciazione.
All’interno di una cornice a tempietto il piccolo rilievo marmoreo sostituisce l’originale dipinto in ardesia.
L’orribile edificio di vetro e cemento in piazza Santa Sabina che ospita una filiale della banca Carige sorge sulla demolita omonima chiesa fondata nel VI sec., luogo di ristoro per i pellegrini della Terrasanta.
Dei tesori della chiesa resta solo, nel salone degli sportelli, la Santissima Incarnazione di Bernardo Strozzi. Quello che è sopravvissuto dei traslochi successivi alla sconsacrazione del 1939 è stato trasferito nella nuova Santa Sabina in via Donghi.
A fianco della ex chiesa si trova l’oratorio della Veneranda Arciconfraternita della Morte con la sua eloquente effigie scolpita in facciata: un terrificante rilievo marmoreo adorno di simboli macabri, teschi e ossa incrociate a celebrazione della morte.
Da notare le inquietanti clessidre a simboleggiare l’inesorabile scorrere del tempo e quindi la nostra provvisoria presenza su questa terra.
Qui aveva sede la Casaccia che si occupava di assistere i malati e soprattutto della sepoltura dei poveri durante le epidemie di peste colera.
In copertina: il simbolo della Confraternita. Foto di Bruno Evrinetti.
Edicola dell’incuria così ho “battezzato”questa grande cornice abbandonata che si trova in vico Cioccolatte nel quartiere del Carmine.
Osservandola da vicino si notano ancora labili tracce del dipinto che ospitava: una Madonna col Bambino e altri personaggi non definibili alla base riemergono da un lontano passato nonostante il colpevole abbandono.
In copertina: edicola di vico Cioccolate. Foto di Giovanni Caciagli.
Nell’atrio d’ingresso del civ. n. 4 di Via S. Sebastiano è conservato un pregevole portale marmoreo di San Giorgio che uccide il drago. La preziosa scultura apparteneva originariamente alla chiesa di san Sebastiano, demolita in occasione degli ampliamenti ottocenteschi legati alle aperture di Via Roma e Via XXV Aprile.
In copertina: San Giorgio in San Sebastiano. Foto di Franco Risso.