“Genova è senza dubbio una delle più belle città del mondo, il suo Centro Storico uno dei più affascinanti oltre che dei più integri, Prè uno dei suoi quartieri più significativi e memorabili, quello che i viaggiatori e i naviganti e i turisti attenti raccontano con più vivezza quando tornano a casa”.
Cit. Giancarlo De Carlo. Architetto e Accademico (1919-2005).
“Le grandi navi genovesi a tre alberi con velatura mista del Quattrocento e del primo Cinquecento (comunemente ma erroneamente definite caracche) destavano meraviglia negli osservatori contemporanei per le loro dimensioni. Si trattava di enormi (per l’epoca) bastimenti da trasporto – nati dall’incontro tra la nave mediterranea a vela latina e la cocca nordica a vela quadra – che all’occorrenza venivano, com’era consueto, utilizzati come unità militari. Avevano una notevole capacità di carico e potevano essere potentemente armati con artiglierie antiuomo piazzate sul castello di prua e sul cassero di poppa, in modo da colpire da posizione dominante gli equipaggi nemici. Le alte murate li proteggevano dai tentativi di abbordaggio della galere: i contemporanei le descrivono come una sorta di grandi fortezze galleggianti. Naturalmente possedevano una capacità di manovra inferiore a quella dei legni sottili da guerra, ma questo fattore non rappresentava un handicap rilevante in combattimenti che solitamente erano impostati, a livello tattico, sulla difensiva. Solo per fare un esempio: nel 1453, nelle acque del Bosforo, quattro navi genovesi uscirono indenni dallo scontro con alcune decine di galee turche (le cronache parlano di 150 galee, ma si tratta di una cifra sicuramente esagerata) schiantandone molte semplicemente sfruttando la loro mole. Sotto il profilo mercantile questi battelli erano specializzati nel trasporto su lunghe distanze di merci ingombranti (come il sale, il grano e l’allume) e nella navigazione ognitempo (vale a dire che, in virtù delle loro qualità nautiche, potevano navigare senza problemi, a differenza delle galere da mercato, anche in inverno) .
Cit. Esauriente spiegazione tratta da Emiliano Beri, Professore presso il Laboratorio di Storia marittima e navale dell’Università di Genova.
“È gente molto potente sul mare; soprattutto le sue carrache sono le maggiori del mondo e, se non fosse per i grandi dissidi che da tempo antico hanno avuto ed hanno oggi tra di loro, il loro dominio si sarebbe esteso di più nel mondo.
È gente molto industriosa e di pochi vizi, tanto più nei piaceri, perché la terra non lo consente; gente ricchissima e ben regolata anche nel vestire si comporta in modo da non indossare abiti lussuosi oltre il necessario, altrimenti si dovrebbe pagare una tassa.
È gente molto bella di colore, ma non di fattezze. Uomini e donne sono molto alte e prendono le mogli a misura: e più una è alta, meno dote pretendono; le vedove non prendono un secondo marito e, se lo fanno, con grande vergogna”.
Cit. Pedro Tafur esploratore spagnolo (1410-1487).
In Copertina: Nave genovese assalita da galere turche (XV secolo). Immagine del Prof. Emiliano Beri.
“Genova ha almeno una cosa durevole: il suo cimitero. Non conserva nemmeno quanto basta la sua memoria storica, almeno quella memoria storica ormai relativamente moderna che ci permetterebbe di spiegare il nefasto presente di un’Italia governata da un blocco reazionario.
Questa è stata una delle culle più singolari della sinistra italiana, ma cos’è oggi? L’emblema stesso di un’Italia passata dal sogno di Berlinguer alla realtà di Berlusconi e dei postfascisti”.
Cit. Manuel Vázquez Montalbán (1939-2003). Scrittore e poeta spagnolo.
In Copertina: Maestosa statua della Fede (alta 9 mt) posta davanti al Pantheon all’incrocio dei due viali al centro del quadrilatero storico Settore A. Opera dello scultore genovese Santo Varni (1807-1885).
“Come fu giorno, feci una passeggiata sul colle e osservai la posizione di Genova: un incantevole teatro che ha spinto da sempre i suoi abitanti a dominare il mare e dal quale sono venuti i più grandi eroi. O divino Colombo e tu, Andrea Doria, che passeggiate ora in coppia con i Temistocli e gli Scipioni, io vi adoro nella polvere, semidei fra gli uomini! Se anche a me fosse concessa una simile sorte! Volgevo lo sguardo verso l’immensa sfera di acqua e la sua infinita maestà voleva spezzarmi il petto; il mio spirito si librava lontano, sopra il cuore degli abissi, e ne percepiva con indicibile delizia tutta la immensità”.
Cit. Wilhelm Heinse (1749-1803). Scrittore tedesco.
In Copertina: Panorama di Genova. Foto di Leti Gagge.
“Genova, come tutti sanno, e come i versificatori e i cantautori ci cantano e ricantano, è una città verticale, verticalissima. Dunque, salite al Castelletto, al Righi, infunicolatevi in alto, in alto, se non soffrite di allucinosi spaziali, o funzionali o psichiche. E se capitate qui per via aeroplanica, scrutate bene lo spettacolo che il finestrino vi propone, con questo ammasso di edifici che scappa su dalle acque, che in quelle si precipita, dipende dai gusti, dipende dalle fantasie. Anche l’accesso marittimo non è male. Venire in treno a Genova, invece, non sarà un delitto, ma certamente è un errore. In auto, varcate la mura, si raccomanda di percorrere, al minimo, avanti e indietro, indietro e avanti, la sopraelevata (prima che sia abbattuta, come molti suggeriscono e sperano) e, che forse è meglio ancora, la circonvallazione a monte. La superba Genova ama essere guardata con sguardi superbi, alti e altieri”.
“Genova è una sorta di città di frontiera, con il mare e quindi le culture mediterranee di fronte, e l’Europa continentale alle spalle. E la mia città mentale è così anche verticale, dai monti al mare con tutto quello che ci sta in mezzo”.
Cit. Max Manfredi cantautore (Genova 1956).
In Copertina: Panorama genovese. Foto di Anna Armenise.
“Genova è un atto di prepotenza dell’uomo sull’ambiente naturale e ancora oggi sconta le conseguenze di questo atto. Essa infatti si è sviluppata per un fatto di posizione nodale rispetto alle correnti di traffico. Ma alla posizione corrispondeva un sito impossibile per una città. Senza terreni pianeggianti, ma pendii precipitosi verso il mare, senza entroterra che la potesse sostenere, la sua condizione normale non era dissimile a quella di una nave e si capisce come il popolo che questo sito selezionò fosse una razza di marinai, di commercianti, di finanzieri cioè di gente abituata a ricavare altrove il proprio sostentamento e il proprio guadagno o di sfruttare il traffico che doveva passare per questo porto. Un sicuro approdo per le merci che dalle altre sponde del Mediterraneo per le vie di oltregiogo transitavano verso i mercati della Valle Padana e dell’Europa centro occidentale o riprendevano per mare la rotta del nord Europa. E ancora adesso le possibilità di vita della città non devono essere basate su una abbondante disponibilità di terreno, ma sulle risorse umane”.
Cit. Cesare Fera architetto (1922-1995).
In Copertina: Genova vista da ponente sul monte Reixa. Foto di Andrea Polidori.
“Il mare cambia colore, dopo essere scomparso per decine di chilometri in una enorme fuligginosa città di magazzini: ricompare dietro due spunzoni di roccia e una torre campanaria tra barbaresco e liberty, con una fila di grattacieli sopra un’altura color polvere, com’è polvere tutto.
Genova fuma, sfuma in un guazzabuglio supremo. L’attraversi, a metà Corso Italia, già verso Levante, ti volti, e alle tue spalle ecco la più bella visione di tutta la Liguria.
Il porto, con catene di navi, banchine battute da un mare color paglia, una frana di palazzi, impastati in un’unica polvere, e più vicino vecchie navi ruggini, moli di massi neri, il mare verde oliva, torbido come un fiume in piena, con un ghirigoro di scoglietti, isolotti, rotonde, tutto di ferro battuto, e orridi, qui sotto, con erbe, fichi d’India e spazzatura.
Nel limite di questi quadro, ai piedi di chi guarda, in fondo a un vertiginoso muraglione da città del futuro, sotto una rete di protezione, c’è una piccola spiaggia di ciottoli. Si intravede, nella luce del temporale, qualcuno che fa il bagno. Una ragazza bionda, nuda, di carne, di carne calda, in mezzo a tutto quel ferro”.
Pier Paolo Pasolini. “La lunga strada di sabbia” (1959).
Il 29 maggio del 1975, curioso aneddoto, il famoso poeta e regista bolognese e tifoso felsineo fu protagonista, in veste di capitano, in un derby infrasettimanale beneficenza tra vecchie glorie e personaggi dello spettacolo di Genoa e Sampdoria.
In copertina: Pier Paolo Pasolini con sullo sfondo il quartiere della Foce prima della costruzione di Piazzale Jennedy e della zona. Immagine tratta dalla mostra sul regista a Palazzo Ducale di Genova (30/11/21 – 13/3/22).
“La casa italiana in cui gli stranieri sono ricevuti con maggior affabilità è quella del marchesediNegro, a Genova. La posizione della Villetta, il giardino di quest’uomo cortese, è unica per la sua pittoresca bellezza”.
Cit. Stendhal (1783 – 1842) scrittore francese.
In copertina: tramonto dal giardino di Villetta di Negro. Foto di Lino Cannizzaro.
“Come ero triste lasciando Genova, soprattutto per avere valicato le montagne che la dominano e durante i due giorni passati in quello stupido paese che è la Lombardia!”