La copertura è stata realizzata nel primo decennio del 2000 per mascherare l’ingombrante struttura di consolidamento con travi metalliche necessarie alla sua stressa staticità.
L’Archivolto Baliano ripreso da Piazza Matteotti verso Canneto il Lungo.
L’esponente più famoso di tale schiatta fu senza dubbio il fisico e matematico Giovanni Battista Baliani o Baliano (Genova, 1582 1667).
La lapide che ricorda il rapporto di amicizia con Galileo Galilei
I suoi studi di meccanica e di astronomia gli valsero, testimoniata da una fitta corrispondenza epistolare, la stima e una venticinquennale amicizia con Galileo Galilei.
L’archivolto prima della copertura. Foto di Mario Caraffini.
Gio Batta Baliano fu anche uno dei principali artefici della costruzione delle Mura Nuove del 1639.
In Copertina: L’Archivolto Baliano ripreso dalla parte di Canneto il Lungo.
Da vico superiore e piazza del Ferro a via Macelli di Soziglia si trova vico della Speranza. L’origine del nome del caruggio rimanda alla presenza all’angolo con vico superiore del Ferro di un immagine della Madonna detta appunto della Speranza.
In questo vicolo nel ‘600 aveva sede un’osteria che nel 1702 si trasformò in un teatro popolare.
La struttura interamente di legno contava ben 39 palchetti più un loggione.
Gli spettacoli di dubbia moralità che vi si rappresentavano costrinsero le autorità a numerosi interventi repressivi.
Il teatro, sotto la giurisdizione della nobile famiglia dei Durazzo, si convertì alle rappresentazioni di burattini e di storie sacre fino alla chiusura nei primi anni del ‘800 per motivi di igiene e sicurezza.
Qui ad inizio ‘800 si esibì la Compagnia di Giambattista Sales e Gioacchino Bellone ignari inventori in quel frangente della maschera piemontese Gianduja.
Il nome del loro personaggio principale Gerolamo infatti venne, per non offendere l’omonimo doge (Girolamo Durazzo) cambiato in Giuanin d’la douja (Giovanni della Foglietta) che per contrazione si trasformò in Gianduja.
In Vico Teatro delle Vigne rimane curiosa testimonianza invece di un passato molto più recente in un vecchio cartello di latta inchiodato al muro che avverte:
Contravvenzione £ 1000 e Risarcimento Danni Contro Chiunque non Rispetti i Muri di questi Edifizi Dichiarati Monumenti Nazionali e Contro Chiunque Versi Immondizie o Rifiuti in Questo Transito, Senza Riguardo alla Salute Pubblica e Contro la Moralità… Art. 726-733 Codice Penale.
Banali regole di buona educazione, per altro attuate dalla Repubblica di Genova già in pieno Medioevo, che oggi tra presunti writers e degrado diffuso, sono lettera morta di costante inciviltà.
In Copertina: Vico Teatro delle Vigne con scorcio su Piazza della Lepre. Foto di Giovanni Cogorno.
In quest’area della zona del Carmine sorgeva in epoca pagana il Tempio della Prudenza.
Da qui l’origine del nome del caruggio dove si presume avesse sede il tempio.
Secondo la tradizione il simbolo della prudenza era la giuggiola.
La giuggiola infatti (zizzoa in genovese) rappresentava la virtù del silenzio e forniva gli ornamenti per il tempio stesso. Ancora oggi un secolare esemplare di questa pianta fa bella mostra di sé e dà il nome all’ omonima vicina piazza.
In Copertina: Vico della Prudenza. Foto di Stefano Eloggi.
Ecco quindi vico del Gallo il cui toponimo nulla ha a che vedere, né con il Don Partigiano, né con l’omonima famiglia di origine medievale.
Di quest’ ultima va ricordato Antonio, poeta e, soprattutto cancelliere del Banco di San Giorgio, che scrisse un’apprezzata biografia di Cristoforo Colombo.
Dei Gallo già dal 1150 si ha notizia in quel di Levanto. Nel 1528 con la riforma degli Alberghi voluta da Andrea Doria furono ascritti al “Libro della Nobiltà”e confluirono in parte nei dei De Marini, in parte nei Lercaro.
E’ uno degli scorci più suggestivi di Genova, un luogo sospeso nel tempo dove luci ed ombre ingannano lo spazio giocando a nascondino.
Si tratta di Via e Piazza di Santa Croce incastonate fra Sarzano e la collina di Santa Maria di Castello, il fulcro più antico del centro storico.
Quest’area costituiva un tempo l’originario complesso di Santa Croce, vicino all’attigua omonima porta, una delle tante strutture del litorale cittadino, atte al ricovero dei pellegrini da e verso la Terrasanta.
In Copertina: Via di Santa Croce. Foto di Anna Armenise.
L’origine del toponimo del caruggio è sconosciuta. Tuttavia gli esperti concordano sulla tesi che la genesi di vico Stella non sia da confondersi con quella dell’omonima piazza legata invece al nome della nobile famiglia degli Stella.
Gli Stella furono infatti notai e storiografi e annoverarono fra le loro fila Giorgio e Giovanni due importantissimi annalisti continuatori dell’opera del Caffaro.
Curioso poi il fatto che in Ravecca esistesse un caruggio con quasi identica intestazione. L’odierno vico delle Fate infatti fino al 1868 era registrato anch’esso come Vico della Stella.
In Copertina: Vico Stella. Foto di Stefano Eloggi.
Vico dello Zucchero insieme a vico del Cioccolatte e vico della Fragola fa parte di quel gruppo di caruggi del quartiere del Carmine che ne testimoniano l’antica vocazione pasticcera.
In proposito nella sua opera sulle strade di Genova lo storico Federico Donaver con prosaico ottocentesco stile annota:
”Poco distante havvi il vico del cioccolatte e quindi fù creduto opportuno denominare questo dalla dolce sostanza che fa quello più gradevole; siamo del resto nel genere coloniale in cui i genovesi largamente commerciarono.”
In Copertina: Verticale di Vico dello Zucchero. Foto di Stefano Eloggi.
Da Piazza del Carmine si snoda la tortuosa salita di Carbonara che segue il percorso dell’omonimo sottostante rio, un tempo fonte inesauribile di acque per gli orti e le fasce vicine.
La caratteristica principale della salita è la presenza di case con brani di muri in pietra a vista e, soprattutto, dallo scenografico susseguirsi di archetti intonacati.
Salita Pallavicini che unisce via Luccoli con via XXV Aprile prende il nome dall’omonima nobile famiglia originaria del piacentino, presente in città fin dal 1200.
Il capostipite del ramo genovese fu un tal Nicolò il cui figlio Giovanni, sposando Maria Fieschi, divenne nel 1225 influente Consigliere della Repubblica.
Un altro Giovanni nel 1353 fu, per conto degli Sforza di Milano, Governatore di Genova.
Benedetto nel 1430 riscattò dai Saraceni il Re di Cipro.
Nel 1460 Babilano fece entrare la famiglia Pallavicini in quella dei Gentile: Antoniotto di Babilano nel 1489, Gio Batta di Cipriano 1517, Lazzaro di Nicola 1669, Opizzo di Paolo Geromino 1686 e Lazzaro Opicio di Geromino 1766, furono cardinali.
Nel 1528 con la riforma degli Alberghi i Pallavicino costituirono il sedicesimo Albergo.
Agostino di Stefano 1637,Gio Carlo di Paolo Geromino 1785 e Alerame di Sebastiano 1789 indossarono il mantello dogale.
Lunghissimo poi l’elenco di senatori, vescovi, ambasciatori, magistrati e uomini d’arte e numerose le ricche dimore delle quali forse la più prestigiosa è Villa delle Peschiere in via San Bartolomeo degli Armeni.