L’origine del toponimo di Piazza e vico dell’Agnello rimanda alla presenza del bassorilievo che rappresenta l’Agnus Dei posto sopra il civ. n. 9.
L’agnello con il vessillo crociato rappresentava sia il Cristo Redentore che il potere genovese e per questo venne adottato come effigie sulle facciate di molti palazzi nobiliari.
Tale simbolo religioso e politico militare al contempo venne addirittura utilizzato nella seconda metà del XIII secolo come sigillo della Repubblica.
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In copertina: Piazza dell’Agnello. Foto di Leti Gagge.
La piazza deve il nome alla nobile famiglia dei De Marini che qui avevano le proprie dimore.
Ciò si evince dalle cronache della lotta intestina del 1398 tra guelfi e ghibellini in cui questi ultimi bruciarono oltre cinquanta case di cui quattro di proprietà, appunto dei De Marini.
Questo antichissimo casato trae origine da Marino, figlio di Baldo fu Guglielmo, direttamente da Ido Visconti.
Fra i suoi membri annovera Conti (di Gavi), Marchesi (Castelnuovo Scrivia), alcuni cardinali, diversi arcivescovi, numerosi senatori e un doge, Gio Agostino di Gerolamo.
Questa località fuori dalle mura del X secolo era identificata un tempo come contrada dei Marmi o marmorea poiché qui avevano sede i depositi del prezioso materiale appena sbarcato dal porto.
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In copertina: Piazza De Marini. Foto di Stefano Eloggi.
Vico delle Fate in realtà fino al 1868 si chiamava vico della Stella. L’intitolazione venne cambiata per non confonderlo con vico Stella, il caruggio dedicato alla celebre famiglia di annalisti nel sestiere della Maddalena.
Guardando la foto a metà sulla destra s’intravede sul portone del civ. n. 3 una grande edicola in stucco, catalogata come Madonna col Bambino. Purtroppo il tabernacolo, gravemente danneggiato, è privo della statua che è stata rubata.
Si ipotizza che il toponimo delle fate sia stato ispirato, vista la presenza in loco delle case chiuse, in omaggio alle signorine che vi esercitavano il mestiere più antico del mondo.
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In copertina: Vico delle Fate. Foto di Giovanni Cogorno.
L’origine del toponimo del caruggio della Salita della Seta riporta al tempo in cui, nel Medioevo, nella Repubblica di Genova si lavorava e commerciava il prezioso tessuto.
La memoria di tale nome lascia supporre che qui avessero sede, comode perché vicino al porto, fabbriche, magazzini e botteghe del morbido manufatto.
A rimarcare i legami con l’oriente da cui proveniva la seta, nel caruggio si trova un tempio greco ortodosso in cui si celebrano tuttora i relativi riti religiosi.
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In copertina: Salita della Seta. Foto di Stefano Eloggi.
Sempre nella zona dei Macelli di Soziglia imboccato vico del Pepe si prosegue in vico della Luna il cui toponimo rimanda al nome dell’insegna di un’antica osteria presente un tempo in loco.
Si tratta sicuramente di uno dei caruggi più stretti (108 cm) di Genova in concorrenza con il primatista assoluto Vico delle Monachette (79 cm).
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In copertina: Vico della Luna. Foto di Giovanni Cogorno.
“Va ciù unn-a grann-a de peivie che unn-a succa”. L’antico adagio la dice lunga sul valore che aveva il pepe nel panorama delle spezie.
Genova contese a lungo senza successo il monopolio del pepe a Venezia e, come si evince dal toponimo, qui stabilì magazzini e rivendite del prezioso aroma.
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Foto di Giovanni Cogorno.
Via di Scurreria detta la Vecchia per non confonderla con la Nuova aperta nel XVI sec. per volontà della famiglia Imperiale, non era altro che l’antica via Scutaria.
Qui avevano sede le officine degli scudai sostituite poi nel tempo dalle botteghe dei setaioli, tessuto per il confezionamenti del quale i toscani erano maestri.
Non a caso la piazzetta dove oggi c’è la farmacia era nota come piazzetta dei Toscani e con lo stesso nome era identificata tutta la contrada.
In Scurreria la Vecchia era inoltre consuetudine dei mercanti toscani stendere a terra stoffe, velluti e arazzi preziosi in concomitanza del passaggio della processione del Corpus Domini.
Qui ebbe bottega anche Paolo da Novi – tintore di stoffe di professione – eletto a furor di popolo nel 1507 primo doge popolare.
Costui capeggiò la ribellione che nello stesso anno mise in fuga il governatore francese e la principale famiglia cittadina sostenitrice di Luigi XII, quella dei Fieschi.
Purtroppo per i ribelli il re i suoi seguaci in due mesi riconquistarono il potere. Il doge venne rinchiuso nella torre del Popolo, o Grimaldina che dir si voglia, e pubblicamente giustiziato per decapitazione davanti a palazzo ducale il 10 luglio 1507.
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In copertina: Scurreria la Vecchia. Foto di Stefano Eloggi.
Circa a metà della Salita San Siro che raccorda piazza del Fossatello con la chiesa, la ex cattedrale di S.Siro ci si imbatte in un sinistro cancello varcato il quale si accede all’angusto vico chiuso del Leone.
Il buio caruggio versa nel più completo degrado: fili penzolanti, depositi rifiuti, muri scrostati.
Eppure anche questo apparentemente anonimo vicolo ha la sua storia da raccontare legata in questo caso al nome dell’albergo Leon Rouge dove nel 1857 la polizia sabauda aveva attirato con l’inganno Mazzini per arrestarlo.
Costui riuscì ad evitare l’imboscata trovando rifugio e accoglienza in vico delle Monachette.
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In copertina: Vico chiuso del Leone. Foto di Roberto Crisci.
Nel cuore del centro storico, tra la zona delle Vigne e quella della Maddalena, si trovano vico e piazza della Posta Vecchia:
ingombranti impalcature, muri imbrattati, e piazza quasi deserta. Non bastano i vivaci colori delle mercanzie del bezagnino a rendere giustizia ad una piazza con attiguo caruggio dal passato ricco di storia e di vita.
In Piazza Posta Vecchia infatti, anticamente si trovavano gli uffici postali trasferiti qui nel ‘600 dalla zona di San Lorenzo, vicino alla Cattedrale.
Nel 1826 vennero spostati in Piazza Fontane Marose, quindi in Via Roma e dal 1911 nell’attuale sede, angolo Piazza Dante, di Via Boccardo.
Nella via si trovano palazzi nobiliari cinquecenteschi quali Bernardo e Giuseppe De Franchi e Paolo Giustiniani oltre a splèendidi portali come il San Giorgio che uccide il drago del civ. 12, o al civ 16, il Trionfo degli Spinola.
Al civ. n. 3 ha sede A Compagna l’associazione genovese che da un secolo (fondata nel 1923) si occupa di mantenere vive lingua, cultura e tradizioni della nostra città.
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In copertina Piazza della Posta Vecchia. Foto di Vittorio Zoppi 2018
Vico della Pece trae l’origine del suo toponimo dalla presenza in zona di laboratori legati alla corporazione dei Calafati. Costoro avevano le proprie botteghe in Vico Stoppieri e con la loro preziosa attività artigiana svolgevano l’indispensabile compito di impermeabilizzazione delle navi.
Per realizzare ciò in questo caruggio si impregnavano le fibre di canapa o stoppa di pece calda che, al fine di sigillare le fessure del fasciame, venivano interposte fra le assi di legno. Un bravo artigiano prima di ottenere il titolo di maestro calafato impiegava fino a otto lunghi anni di apprendistato.
Essendo a continuo contatto con il fuoco per riscaldare la pece gli stoppieri elessero a loro patrona Santa Tecla, la santa che secondo la tradizione uscì viva dal rogo.
I calafati avevano la cappella di loro giurisdizione nel secondo altare della navata destra della chiesa di S. Marco al Molo.
Nel 1735 commissionarono a Francesco Maria Schiaffino un sontuoso gruppo marmoreo raffigurante i SS. Nazario e Celso.
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In copertina: Vico della Pece. Foto di Stefano Eloggi.