In via delle Grazie al congiungimento con via delle Camelie si passa sotto un archivolto in pietra che un tempo era parte di una loggia.
Ne sono inconfutabile testimonianza, seppur in pessimo stato di conservazione, due colonne in conci bicromi con capitelli cubici intarsiati a grappoli d’uva e cordonati.
Era questa l’antica via – detta appunto delle Grazie – che, svoltando sotto l’archivolto, conduceva al santuario delle Grazie meta dei pellegrinaggi dei marinai che vi chiedevano protezione.
All’angolo si notano ancora i resti di un’edicola in pietra contenente un dipinto raffigurante la Madonna delle Grazie oggi ormai illeggibile.
A fianco dell’archivolto spicca l’insegna della Bottega del Conte un locale assai particolare, oggi quasi un caffè museo, che ospitava in passato una bottega di alimentari.
All’ingresso del piano strada c’è una vasca in marmo dove veniva conservato lo stoccafisso. Scendendo i due piani sotterranei attraverso ambienti i pietra e laterizio si accede infine alle cantine e alle antiche cisterne.
La Grande Bellezza…
In copertina: Via delle Grazie. Foto di Francesco Auteri.
Dietro la chiesa di San Giorgio la piazzetta dei Maruffo rivendica il suo spazio lottando per un briciolo di sole.
I Maruffo o Maruffi erano originari dello spezzino e avevano importanti possedimenti a Sestri Levante.
Dopo il 1100 si trasferirono nel ponente genovese (Voltri, Rivarolo, Coronata) e si distinsero nelle guerre contro Pisa e Venezia.
In virtù del prestigio conquistato, acquisirono proprietà anche nel centro storico. Ne sono ulteriore testimonianza il palazzo nobiliare in Canneto e, soprattutto, la poderosa torre eretta nel XIII sec. Persino l’Archivolto Baliano che comunica con Piazza Matteotti, un tempo era chiamato dei Maruffi.
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In copertina: Piazzetta dei Maruffo. Foto di Stefano Eloggi.
Sul lato sinistro della cattedrale si apre proprio davanti all’omonimo portale la minuscola quanto graziosa piazzetta di San Giovanni il Vecchio.
L’entrata in chiesa da questo lato è chiusa da una modesta cancellata che impedisce di godere appieno dei curiosi fregi che adornano l’ingresso.
Secondo la tradizione cristiana la parte sinistra dell’edificio rappresentava la componente oscurata del creato. Si spiegherebbero così le creature mostruose che lo decorano.
Sulla porta di accesso al Battistero invece si può ammirare, quasi dimenticato dai pedoni assorti nel loro vorticoso andirivieni in via San Lorenzo, il cinquecentesco rilievo con il Battesimo di Gesù.
Il prezioso manufatto è attribuito al magistrale scalpello di Niccolò da Corte.
In copertina: Piazzetta di San Giovanni il Vecchio. Foto di Giovanni Caciagli.
Nella zona di Pre’ dietro al vico di Santa Fede che prende il nome dall’omonima chiesa si apre inaspettato un piccolo spiazzo intitolato a Metelino.
L’antica chiesa, nella sua conformazione originale, un tempo era orientata proprio verso la piazzetta.
Guardano il cielo infatti si vede ancora spuntare il campanile inglobato nell’edificio che ospita le aule universitarie.
Metelino o Mitilene, l’antica Lesbo, è l’isola maggiore delle Sporadi nella quale i genovesi a seguito del Trattato del Ninfeo del 1261 ebbero vantaggiose concessioni commerciali e giurisdizione consolare.
Fino al XVI sec. le nobili famiglie dei Cattaneo prima e dei Gattilusio poi vi esercitarono il potere – con il benestare degli imperatori bizantini – come signoria personale.
La principale risorsa dell’isola era l’allume di rocca dal cui traffico i genovesi traevano grandi ricchezze.
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In copertina: Piazzetta Metelino. Foto di Stefano Eloggi.
In piazza San Bernardo di fronte alla storica vineria Moretti si trova l’Oratorio dei Santissimi Pietro e Paolo.
L’edificio religioso venne realizzato proprio davanti alla scomparsa chiesa di San Bernardo nella cui area sono sorte la vineria di cui sopra e la scuola Baliano.
L’oratorio che venne costruito nel 1722 presenta un significativo altare marmoreo e diverse opere di artisti di scuola genovese.
Nel 1918 venne adibito a deposito della carta dal quotidiano “Il Secolo XIX”.
Attualmente facente capo alla parrocchia di San Donato subisce restauri ciclici e non è visitabile.
A fianco dell’oratorio sul fronte del civ. n. 30, casa natale di Goffredo Mameli, sono affisse due lapidi che celebrano la rivolta antiaustriaca del Balilla nel 1746.
Le due lapidi di Piazza San Bernardo.
La prima recita:
I Figli degli Uomini del 1746 / Sentono / Quali Doveri / Importi / Il pensare ai loro Fratelli / che seppero Morire.
La seconda declama:
I Goliardi Genovesi / nel Giorno Sacro alla Vittoria del Popolo / Gloriando le Nuove Battaglie / per la Cacciata degli Austriaci / in Votivo Pellegrinaggio ad Oregina / dalla Casa Dove Nacque / Goffredi Mameli / Rinnovano / con le Parole del Vate dell’Italia Ridesta / la Serbata Promessa – X. XII. MCMXVI.
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In copertina Piazza San Bernardo. Foto di Leti Gagge.
L’inizio della creuza è impreziosito dallo scenografico portale del demolito omonimo convento (nel 1890).
L’edificio venne eretto nel 1430 e, fino al 1797, anno della soppressione degli ordini religiosi, fu gestito dalle monache Romite di Sarzano.
La lapide in Salita Santa Brigida.
Di tutto ciò rimane la statua marmorea della santa svedese ricoverata all’interno della nicchia posta sopra l’archivolto.
Purtroppo la fama di Salita Santa Brigida è legata, come ricordato da apposita lapide, all’attentato delle Brigate Rosse durante il quale il procuratore Francesco Coco e i due agenti della sua scorta vennero assassinati l’8 giugno 1976.
L’angusto caruggio è noto per aver ospitato in passato una popolare casa di tolleranza frequentata soprattutto da studenti e, dal 1866, i laboratori della storica fabbrica di cioccolato di Viganotti.
Anticamente era noto come vico dei Callegari, ovvero dei calzolai perché qui avevano le loro botteghe.
L’origine del toponimo attuale si deve invece al nome della famiglia Castagna accorpata poi a quella dei De Marini.
Tutta la contrada compresa tra Porta Soprana e Sarzano prende il nome dalla strada a mezza costa e parallela alle Murette che le collega.
Il toponimo Ravecca sarebbe un’evoluzione fonetica di Ruga Vecchia. Con il termine Ruga infatti nel Medioevo si identificava una strada maestra fra due ali di palazzi.
Si tratta di uno dei caruggi più coloriti e vivaci del centro storico. Una volta pullulava di forni, sciamadde e osterie. Oggi i locali che resistono si adattano ai cambiamenti dei tempi proponendo menù salutistici.
Fino a qualche anno fa lo slargo intitolato a Don Gallo nel cuore del ghetto ebraico genovese era un triste cumulo di decennali macerie post belliche.
Grazie al Comune che ha contribuito alla pavimentazione e alle associazioni di quartiere che lo hanno pulito, con in primis l’abbellimento floreale ad opera di “Princesa”, lo spiazzo il 18 luglio 2014 é diventato piazza in memoria – come recita la targa – di don Andrea Gallo prete di strada.
Particolare e significativo il disegno che, prendendo spunto da un pilastro di una loggia tamponata utilizzato a mo’ di tronco d’albero, rappresenta un bambino che annaffia la pianta.
Particolare disegno nella piazza”. Foto di Giovanni Caciagli.
Proprio come nei versi della celebre canzone di De Andre’, del resto siamo proprio nei pressi di Via del Campo, “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.
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In copertina: Piazza Don Andrea Gallo. Foto di Leti Gagge.
La creuza della Salita della SS. Incarnazione che deve il suo toponimo dall’omonimo monastero , detto anche delle “turchine” per via del colore dell’abito delle monache. Il complesso eretto nel 1604 in Castelletto sotto Corso Carbonara e Largo della Zecca dalla genovese Beata Maria V⁰ittoria de Fornari Strata (1562 – 1617) comprendeva due complessi attigui, separati da una strada, detti rispettivamente “Turchine di sopra” e “Turchine di Sotto”.
Dell’antico edificio scomparso restano i toponimi delle due vie di accesso Salita dell’Incarnazione appunto e Salita delle Monache Turchine che ne costeggia l’ultimo muro rimasto.
Le monache turchine si sono traferite dopo la prima guerra mondiale a San Cipriano portando con se i preziosi oggetti, i quadri, le secentesche sculture, gli arredi liturgici e il mobilio di maggior pregio.
Il risseu nella sua originaria collocazione all’interno del monastero.
La più significativa testimonianza del monastero rimane comunque il raffinato risseu del cortile interno del monastero che, recentemente restaurato dall’artista Gabriele Gelatti, fa bella mostra di se nel cortile di Palazzo Reale dove era stato ricostruito negli anni ’60 dal maestro Armando Porta.