Salita del Prione

Varcati Porta Soprana e piano di S. Andrea per giungere in Piazza delle Erbe si percorre in discesa salita del Prione.

Per i vecchi genovesi ancora fino agli anni ’70 del ‘900 questa zona era assimilabile al mercatino di piazza S. Elena, ovvero il luogo dove si vendevano merci di recupero.

Si riciclavano abiti, scarpe, piccolo mobilio, merci di contrabbando e, soprattutto, cimeli e divise militari della Seconda Guerra Mondiale.

Prima ancora negli anni ’50 sempre del secolo scorso a caratterizzare la contrada erano invece le numerose case di tolleranza che vi avevano sede.

Oggi il caruggio ha cambiato volto ed è popolato da bar, pub e locali che costituiscono ormai parte integrante della Movida notturna celebrata ogni fine settimana alle Erbe.

Salita del Prione ha una storia antichissima intorno alla quale, per spiegarne il toponimo, sono fiorite un paio di plausibili ipotesi:

la prima rimanda al termine Priön, una pietra posta in cima alla salita utilizzata dal cintraco (banditore) come piedistallo per i suoi proclami;

la seconda si rifà invece al termine latino barbaro Predoni Castri a significare, vista la vicinanza con una delle principali porte cittadine Porta Soprana, la pericolosità del luogo in relazione alla presenza dei briganti.

Di certo nelle mappe medievali la via era indicata come Montata (Montâ in genovese significa salita) Predoni.

In Copertina: scorcio floreale di Salita del Prione. Foto di Stefano Eloggi.

Vico delle Monachette

Tra Via Prè Via Balbi “nei quartieri dove il sole del buon Dio non da i suoi raggi..”, si trova Vico delle Monachette, il caruggio più stretto della Superba, appena settantanove centimetri di larghezza nel suo punto, lato Prè, più stretto.

In un’anonima abitazione di questo piccolo vicolo nel 1857 trovò rifugio, ricercato dalla polizia sabauda, Giuseppe Mazzini che si trovava in città per organizzare un’insurrezione.

In Copertina: Vico delle Monachette. Foto di Giovanni Cogorno.

Piazza delle Vigne

La zona dove sorge la Basilica delle Vigne nelle mappe medievali è indicata come Vigne del Re o di Sussilia e anticamente era stata sede di un cimitero paleocristiano.

Oltre alla millenaria basilica che si intuisce sulla destra con la sua facciata neoclassica, protagonisti della piazza sono il cinquecentesco palazzo di Domenico Grillo di cui si intravede il portone al civ. n 4 e, soprattutto, i superbi affreschi di Giovanni Battista Castello che decorano al civ. n. 6 la sfarzosa dimora di Agostino Doria.

In Copertina: Piazza delle Vigne. Foto di Giovanni Cogorno.

Piazza delle Lavandaie

In fondo a Ravecca, ormai giunti a S. Agostino dietro vico del Dragone, si trova la piazza delle Lavandaie.

Nonostante i recenti restauri la zona non ha goduto di significativi miglioramenti.

Assenza di negozi e di attività commerciali contribuiscono all’impoverimento di questa parte del tessuto cittadino che potrebbe invece essere meglio valorizzata.

Le edicole votive sono tristemente penzolanti e abbandonate sui muri.

I truogoli rimossi dal Comune a metà anni ’80 sono solo un lontano ricordo come il vociare delle lavandaie la cui presenza è all’origine del toponimo.

In Copertina: Piazza delle Lavandaie. Foto di Stefano Eloggi.

Porta di San Pietro

Al di là del suggestivo scatto che inquadra l’accesso a Piazza Banchi visto da Piazza Cinque Lampadi si sta passando sotto l’arco della porta di ponente delle Mura del X secolo.

Tale varco detto porta di San Pietro restò in auge fino al 1155 quando vennero erette le Mura del Barbarossa.

Da qui anche l’invito l’intitolazione dell’attigua primitiva chiesa di S. Pietro della Porta, altrimenti nota come S. Pietro in Banchi.

Alzando gli occhi si può ancora intuire la conformazione a torre con i primi due piani in pietra del palazzo che l’ha inglobata di epoca romanica (XII-XIII sec.).

I piani superiori invece sono inficiati da modifiche effettuate nel XVII secolo e da sopraelevazioni successive.

In Copertina: Porta di San Pietro vista dal lato di Piazza Cinque Lampadi. Foto di Giovanni Cogorno.

Vico dietro il Coro della Maddalena

Da via Garibaldi basta imboccare un qualsiasi vicolo per immergersi nel ventre oscuro dei caruggi dove le prostitute esercitano la professione più antica del mondo e gli extra comunitari offrono le loro merci nei bazar contrattando in idiomi sconosciuti.

L’Agnus Dei. Foto di Leti Gagge.

Uno di questi caruggi è vico Dietro il Coro della Maddalena dove a darci il benvenuto e a ricordarci che siamo a Genova e non nella casba araba sono un sovrapporta in pietra del XV secolo della Vergine e una tavella con l’Agnus Dei e uno stemma abraso del XIV sec.

La Vergine con Il Bambinello in piedi. Foto di Leti Gagge.

Se quest’ultimo risulta tutto sommato in buone condizioni, lo stesso non si può dire del sovrapporta in cui la Madonna e il Bambinello in piedi risultano mutili e abrasi in varie parti e soprattutto nei volti.

Ai lati due santi reggono uno un bastone, l’altro dei doni.

Qui al civ. n. 26 si trova anche il locale il Cadraio il cui nome legato all’antico mestiere di servire direttamente a bordo delle navi i pasti, rimanda alla più stretta e pragmatica tradizione culinaria genovese.

In Copertina: Vico dietro il Coro della Maddalena. Foto di Leti Gagge.

Vico dei Caprettari

Certo vedere le serrande abbassate nel caruggio fa un po’impressione.

In epoca medievale invece doveva essere un vico molto vivace e frequentato poiché qui avevano sede le macellerie ovine.

Oggi è un vicolo dimenticato che dai portici di Via Turati si inserisce nel budello di Canneto il Lungo e Canneto il Curto.

Oltre alla rivendita vinicola dell’antica vineria, nel caruggio si trova la famosa Barberia Giacalone con il suo secolare inconfondibile stile liberty.

In Copertina: Vico dei Caprettari. Foto di Stefano Eloggi.

Archivolto di S. Giovanni il Vecchio

Ecco un classico esempio dei magici e suggestivi scorci che solo Genova sa regalare a chi ha voglia di esplorare la Superba al di fuori delle solite inflazionate direttrici.

Tra piazza San Giovanni il Vecchio e via Tomnaso Reggio l’archivolto funge da finestra su un mondo incantato dove sembra di essere ancora in pieno Medioevo.

In Copertina: Archivolto di San Giovanni il Vecchio. Foto di Giovanni Cogorno.

Vico del Cioccolatte

Nel quartiere del Carmine numerosi sono i toponimi che rimandano all’antica vocazione pasticcera della zona.

È questo ad esempio il caso del vico del Cioccolatte dove avevano sede nel ‘600 i laboratori dei maestri cioccolatai.

Nel caratteristico caruggio si incontrano i resti di una cornice che conteneva un monumentale dipinto. Osservando l’intonaco scrostato si possono notare ancora tracce del profilo di una Madonna con Bambino attorniata da altri non identificati personaggi.

In Copertina: Vico del Cioccolatte. Foto di Franco Risso

Vico Fumo

Ignota l’origine del toponimo di vico del Fumo, si sa soltanto che è molto antico. E’ un vicoletto di pochi metri situato tra il muro esterno della chiesa di S.Giorgio ed il palazzo di Grillo Cattaneo.

Quella che si intravede al centro dello scatto è un lato della chiesa, dedicata al martire Pisano, di San Torpete.

Sulla destra invece attraverso una porticina lungo il muro perimetrale della chiesa intitolata al protettore militare genovese si accede ad un singolare appartamento che, disposto su più livelli in un labirintico percorso, presenta dei vani completamente curvilinei a seguire il profilo della cupola.

In Copertina: Vico del Fumo. Foto di Giovanni Cogorno.