Piazza dei Greci

Nelle immediate adiacenze di piazza delle Vigne si trova la piazzetta dei Greci.

Come l’omonimo vicino vico dei
Greci, il toponimo ricorda lo scomparso Oratorio di S. Maria dei
Greci, che era stato edificato dalla comunità greca ortodossa nella prima metà del ‘500.

L’edificio venne demolito nel 1810 in ottemperanza agli editti napoleonici che prevedevano la soppressione degli ordini religiosi.

L’immagine più famosa della piazzetta risale al 1909 e immortala due operai su lunghe scale intenti ad eseguire interventi di pulizia e restauro sul palazzo dove risaltano le insegne della Farmacia Inglese e della fabbrica di cappelli alla moda parigina di V. Moradei.

Foto di Gigi e Carlo Sciutto del 1909.

Particolare di una finestra con paratie lignee e fregio sul portalino usata come bacheca affissioni

La piazza non è né l’unica, né la più antica testimonianza della colonia greca in città:

infatti già nel ‘300 nel quartiere di S. Marco al Molo era registrata una forte presenza di mercanti greci che qui avevano le loro abitazioni e vi gestivano traffici e merci.

Piazza dei Greci. Lo stesso edificio sede della Farmacia Inglese e della Fabbrica di Cappelli Moradei.

Dal nome della zona a loro destinata si deve anche l’intitolazione della Torre dei Greci, il faro che per circa trecento anni ha coadiuvato la Lanterna nel difficile compito di proteggere il porto e difendere la città.

In Copertina: Piazza dei Greci. Foto di Stefano Eloggi.

Piazza di Pellicceria

Protagonista assoluto della piazza è, con i suoi preziosi tesori, il Palazzo Spinola in Pellicceria, oggi Galleria Nazionale.

Nella zona si trovavano numerosi laboratori e botteghe di pellicciai.

Attività la cui presenza è attestata anche dalla toponomastica dei caruggi limitrofi:
Piazza di Pellicceria, Vico di Pellicceria, Vico Superiore di Pellicceria e Vico del Pelo ribadiscono infatti la vocazione artigiana della contrada.

Le pellicce erano un capo talmente pregiato da essere utilizzato anche come oggetto di risarcimento nelle cause perse o come bene testamentario.

In Copertina: Foto di Bruno Evrinetti.

Vico Colalanza

Vico Colalanza è un antico caruggio che si trova nel cuore della città vecchia.

Il suggestivo vico deve l’origine del suo toponimo al nome dell’omonima famiglia legata agli Spinola che qui nel Medioevo aveva i propri possedimenti.

Situato tra le Vigne e San Luca a pochi metri della Galleria Nazionale, frequentata dai turisti, di Palazzo Spinola in Pellicceria, il vicolo versa nel totale degrado: spaccio, prostituzione e liti sono purtroppo all’ordine del giorno.

Recentemente infatti è balzato ai nefasti onori della cronaca proprio per via di un barbaro omicidio avvenuto la notte tra l’uno e il due novembre nei pressi dell’archivolto De Franchi all’incrocio con Vico Mele e Vico del Pomino.

Qui un cittadino di origine peruviana reo di aver alzato il tono alto della voce durante una discussione, è stato trafitto – come in pieno Medioevo – da una micidiale freccia di balestra scagliata dal suo assassino.

“Non te l’hanno insegnato
che le frecce dei vigliacchi son sempre spuntate?”
(Omero, Iliade)

Purtroppo l’eccezione conferma la regola si ma il grande cantore greco ha avuto torto.

Mala tempora currunt!

In Copertina: Vico Colalanza. Foto di Stefano Eloggi.

S. Orsola

Il caruggio di S. Orsola è tutto quel che rimane in ricordo di un antico oratorio sito nelle vicinanze intitolato ai santi Gregorio e Orsola.

L’edificio religioso che si trovava in Piazza Leccavela fu demolito nel 1810 in seguito alla soppressione degli ordini religiosi sancita dagli editti napoleonici.

Al suo posto, circa quarant’anni più tardi, vennero installati dei lavatoi pubblici che restarono in uso fino al dopoguerra.

Purtroppo, come uso comune, i muri sono imbrattati dai soliti, più che graffiti artists, ignoranti.

In Copertina: Vico S. Orsola. Foto di Stefano Eloggi.

Vico superiore di Santa Sabina.

La zona di Santa Sabina prende il nome dall’antichissima chiesa dei santi Vittore e Sabina fondata nel VI secolo.

Nella piazza infatti sorgeva l’omonima chiesa sconsacrata nel 1931 e poi demolita nel 1939 per fare spazio ad un cinema.

Al posto di quest’ultimo, anch’esso abbattuto, una moderna quanto orripilante (visto il contesto) costruzione di vetro e cemento sede di una filiale della banca Carige.

In Vico superiore di Santa Sabina rimane una malinconica edicola votiva vuota.

La semplice nicchia in stucco infatti è priva sia della statua della Vergine che del relativo cartiglio.

Il tempietto è incorniciato da volute a riccioli con quattro teste di cherubini alati.

In Copertina: Vico superiore di Santa Sabina. Foto di Alessandra Illiberi Anna Stella.

Vico Albardieri

Vico Alabardieri prende il nome dalla presenza in loco nel Medioevo di un acquartieramento di tale corpo militare.

Nel basso medioevo i labardê erano uomini d’arme al servizio della Repubblica di Genova e il loro quartiere era infatti nel sestiere del Molo, in vico Alabardieri, tra vico Vegetti e via Mascherona.

Gli alabardieri erano dunque soldati così chiamati per via della particolare arma di cui erano dotati.

Costoro infatti si distinguevano per il singolare tipo di lancia a due punte, una dritta e una ricurva, con su un lato un’affilata scure.

A utilizzare l’alabarda per primi furono nel ‘400 i fanti mercenari svizzeri.

Nei secoli successivi l’esercito degli alabardieri divenne il caratteristico corpo delle guardie di palazzo.

Tuttora l’alabarda, oltre che essere impiegata come accessorio delle uniformi da parata o durante le sfilate storiche, è l’arma distintiva delle guardie svizzere del Papa.

Guarda caso fu un papa genovese Giulio II, al secolo Giuliano Della Rovere (Albisola 1443-Roma 1513) ideatore dei Musei Vaticani, ad introdurre per primo gli alabardieri svizzeri nel suo territorio.

Il 22 gennaio 1506 infatti, un gruppo di 150 mercenari elvetici al comando del capitano Kaspar von Silenen, del Canton d’Uri, attraversando porta del Popolo entrò nello Stato Pontificio per servire papa Giulio II.

A Genova ancora nel ‘700 un manipolo costituito da sei, otto alabardieri aveva il compito di scortare il Pretore, nello svolgimento delle sue mansioni durante gli spostamenti in città e di custodia nella sua abitazione.

In Copertina: Vico Alabardieri. Foto di Stefano Eloggi.

Via del Portello

Entrando in via Garibaldi dal lato di Piazza Fontane Marose il primo vicolo che si incontra sulla destra è via del Portello.

L’elegante caruggio collega via Garibaldi con l’omonima piazza del Portello – appunto – così chiamata per via della presenza di una porta della cinta muraria del XII secolo.

Tale varco venne demolito nel 1855 insieme al vicino Conservatorio delle Interiane a seguito della nuova configurazione urbana che prevedeva significative modifiche alla viabilità.

In via del Portello al civ. n.2 di lato al celebre palazzo Lercari si trova uno dei templi dell’ars dolciaria genovese, ovvero l’antica Pasticceria Domenico Villa, dal 1968 di Profumo, fondata nel 1827.

“L’irresistibile assortimento della pasticceria D. Villa, oggi Profumo, in Via del Portello”. Foto di Leti Gagge.

Oltre che per l’indiscussa qualità dei prodotti offerti il locale merita una visita per ammirarne gli arredi e il pavimento marmoreo ancora originali della seconda metà del XIX secolo.

Un’esperienza a tutto tondo che coinvolge oltre che il gusto e la vista, l’olfatto inebriato dai – è il caso di dirlo – profumi provenienti dal caruggio.

In Copertina: Via del Portello. Foto di Stefano Eloggi.

Vico delle Fasciuole

Il vico delle Fasciuole collega la zona di San Siro con vico Droghieri nel cuore del sestiere della Maddalena.

Curiosa l’origine del toponimo che, a testimonianza della primitiva vocazione agreste della contrada, rimanda al termine fasce con il quale si indicano in Liguria gli appezzamenti di terreno a terrazza.

Il poco noto caruggio si distingue per il prezioso portale del civ. n. 14.

Si tratta del cinquecentesco sovrapporta in pietra nera che adorna il palazzo di Domenico Pallavicino come testimoniato da un’epigrafe ormai illeggibile posta sotto il poggiolo di sinistra dalla quale emergono i nomi di Dominici Pallavicini e Josephi Berbardini.

Sulle colonne medaglioni imperiali, sulla trabeazione motivi floreali, quattro piccoli draghi, due coppe con corona ai lati di uno scudo, impreziosiscono il portale.

In Copertina: Vico delle Fasciuole. Foto di Giovanni Cogorno.

Piazzetta Tavarone

Nelle adiacenze di Piazza San Matteo si trova piazzetta Tavarone.

Qui si può notare il retro di un palazzo accorpato alla proprietà di palazzo Lamba Doria.

Sono ancora visibili brani di affreschi che decoravano i prospetti dell’edificio su tutti i lati (affacciati anche su vico Isola e vico San Matteo).

La graziosa piazzetta deve il suo nome alla famiglia di artisti il cui più celebre esponente fu quel Lazzaro che, discepolo di Luca Cambiaso, decorò l’Escorial di Madrid e diversi nobili palazzi genovesi.

Fra i tanti capolavori del maestro i due più noti e cari ai suoi concittadini sono “L’ultima Cena” collocata nella cattedrale di San Lorenzo e l’inconfondibile San Giorgio che uccide il drago che decora il prospetto a mare dell’omonimo palazzo.

In Copertina: Piazzetta Tavarone. Foto di Antonio Corrado.

Piazza Lavagna

Negli ultimi anni questo angolo di centro storico ha avuto una vera e propria rinascita.

Le botteghe artigiane che un tempo caratterizzavano la contrada non ci sono più e nemmeno le storiche osterie ma la zona non ha certo perso il suo fascino.

Oggi in Piazza Lavagna si affacciano locali, trattorie e ristorantini che portano avanti il culto della cucina ligure cercando di conciliare nei loro menù tradizione ed esigenze turistiche.

La suggestiva piazza sita nei dintorni della Maddalena deve il proprio nome alla famiglia Lavagna, originaria appunto, della località rivierasca di levante.

Qui Filippo da Lavagna nel 1469 fu uno dei primi artigiani italiani ad impiantare un tipografia.

In Copertina: Piazza Lavagna. Foto di Giovanni Cogorno.