Lasciata alle spalle l’indaffarata via Cairoli svoltando in direzione della chiesa di San Siro si imbocca la Salita che porta il nome del santo tra i primi vescovi di Genova. Da lì, inizia un percorso che sembra un viaggio nel tempo, conducendo fino al cuore di Fossatello, tra vicoli che raccontano secoli di storia.
La Salita di San Siro infatti è uno di quei luoghi dove la storia di Genova si respira ancora a ogni passo:
correva l’anno 1436 quando il popolo della Superba si ribellò contro il tiranno Opizzino d’Alzate, un evento che ha segnato profondamente la città.
A testimonianza di quel momento epico, una lapide all’altezza del civ. n.8, si erge in memoria della rivolta, custode di un passato che si intreccia con le pietre di questa antica strada.
Camminando, è impossibile non notare le tracce del tempo: cornici di archetti in laterizio, resti di una bifora con una colonnina marmorea che ancora resiste, accompagnata dal suo capitello. Accanto, i segni di un’edicola in stucco, la cui base in ardesia narra di un’architettura perduta.
Perduta non è invece in questi caruggi la memoria di un tumultuoso ma glorioso passato.
In Copertina: Salita di San Siro. Foto di Stefano Eloggi.
Il piccolo vico in parte occupato dai tavolini di elegante locale ( Nouvelle Vague ristorante, enoteca, bar, musica dal vivo e libreria) deve il suo nome all’omonima famiglia di origini lombarde che aveva qui, a partire dal 1450, le sue dimore in città.
Nel 1528 con la riforma degli Alberghi confluiscono nella casata dei Cicala.
Da tempo risultano estinti.
In Copertina: Vico de Gradi. Foto di Antonio Corrado.
La via di Scurreria venne aperta nel XVI sec. per volontà di Gio. Giacomo Imperiale per dare un accesso più consono al suo sontuoso palazzo di Campetto.
La zona infatti anticamente nota con il nome di contrada scutaria (odierna Scurreria la Vecchia) perché sede delle officine degli scudai, era un dedalo intricato di stretti caruggi. In un secondo momento nel quartiere si aggiunsero anche le botteghe dei “Toscani”, come erano comunemente indicati i setaioli.
L’inizio della via, dove oggi si trova la farmacia del Duomo, costituiva infatti la piazzetta dei Toscani. Durante alcuni lavori di ripristino della sede stradale avvenuti nel 1843 vennero rinvenute in questo tratto di strada tombe, urne cinerarie in terracotta di epoca preromana e monete romane.
La famiglia Imperiale, molto ricca ed influente anche in oriente, possedeva, come testimoniato dalle iscrizioni sparse qua e la, quasi tutti i palazzi della strada.
All’angolo infatti fra Scurreria e Campetto una lapide certifica i lavori di ampliamento della via:
Io. Iacobvs Imperialis Vincentii . / Pvblico Privatoq. Comodo ac Vrbis Decori / Prospiciens Qvam Plvrimis Domibvs Coe(mp)tis, / et Dirvtis. Viam Hanc, Cvi Ab Avctoris / Familia Nomen Inditvm, Aere Svo / Faccendam Ornandam Sternendamq. / Cvravit. An. Sai. MDXIIIC.
In Copertina: Via di Scurreria con sullo sfondo Palazzo Imperiale. Foto di Stefano Eloggi.
Situata alle spalle di via Ravecca si trova la Piazzetta del Ninfeo alla quale si accede da una scalinata che si arrampica nel palazzo all’altezza del mercato di Piazza Sarzano.
L’origine del toponimo non è legata ad alcuna artistica fontana o scultura, bensì omaggia il fecondo accordo avvenuto nel 1261 nella residenza imperiale del Ninfeo (località dell’ odierna Turchia nei pressi di Smirne).
Secondo tale patto il capitano del popolo Guglielmo Boccanegra stipulava alleanza con l’imperatore bizantino Michele VIII Paleologo.
In virtù – appunto – del Trattato del Ninfeo Genova, nella guerra contro gli imperatori latini, si impegnava ad appoggiare con una potente flotta il monarca bizantino.
Di contro quest’ultimo garantiva in cambio l’allontanamento delle potenze concorrenti (pisani a parte) e privilegi commerciali tali da consentire ai Genovesi il controllo marittimo (a danno dei Veneziani) degli accessi al Mar Nero.
Tale piazzetta è frutto dell’opera di recupero della zona pesantemente devastata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale effettuata l’ultimo decennio del secolo scorso.
Gli architetti hanno cercato, seppur rinnovando e reinventando lo spazio, di mantenere la storicità del luogo. Le case infatti decorate nei tradizionali colori pastello sono di dimensioni tutto sommato rispettose del contesto.
La piazzetta ha conservato la sua vitalità, oltre infatti ad ospitare alcune associazioni, spesso è presidiata da bambini che giocano al pallone o che scorrazzano con le biciclette.
In una mattina tersa, di quelle che tingono Genova di una luce dorata, Via delle Fontane si svelava in tutto il suo antico fascino. Strada poco frequentata dai turisti, eppure intrisa di storia, collega Via Gramsci con Piazza dell’Annunziata, dove la chiesa omonima si erge con il suo sfarzo barocco. All’esterno, modesta e severa, ma varcando la soglia, esplode in un trionfo di marmi, ori e affreschi, a celebrazione della sua florida esistenza.
Il nome della via trae origine dalle fontane pubbliche che un tempo qui gorgogliavano, alimentate dalle acque fresche del rio Carbonara. Acqua pura, limpida, che scorreva giù dalle alture per dare ristoro ai viandanti, ai mercanti e agli abitanti del quartiere. E come quella stessa acqua fluiva incessante, così la storia di questa strada ha attraversato i secoli, trasformandosi insieme alla città.
Sotto il porticato dell’edificio che oggi ospita l’Aula Magna dell’università, vi è un’antica lapide dell’Annunciazione, la cui datazione rimane incerta. Quell’edificio, oggi rifatto e modernizzato, racconta di un passato che si intreccia con la spiritualità e il potere. Era la millenaria chiesa di Santa Fede, le cui radici affondano nel lontano periodo del cristianesimo primitivo. Al suo posto, un tempo, sorgeva un tempio pagano, dove si veneravano antichi dei, ma dal 1142 venne affidato ai Cavalieri del Santo Sepolcro. Quei cavalieri, uomini di fede e di spada, qui pregarono e partirono per terre lontane, verso Gerusalemme, in nome della croce.
Nel 1614, Santa Fede fu ricostruita in splendide forme barocche, ma il suo destino sarebbe cambiato radicalmente negli anni a venire. Napoleone, con la sua lunga ombra, la trasformò in una stalla, come se volesse cancellare in un sol colpo la sacralità di quei marmi, quegli affreschi e quel silenzio. Abbandonata, dimenticata, la chiesa cadde in rovina, finché nel 1926 venne sconsacrata e adibita a deposito di vini.
I suoi tesori, le opere d’arte, i marmi, vennero trasferiti nella nuova chiesa di Santa Fede, che oggi si trova in Corso Sardegna, nel quartiere di Marassi. Oggi, quella che un tempo fu una gloriosa chiesa, ospita uffici comunali, con le sue tre navate e un piccolo chiostro sul retro, testimoniando una storia di trasformazione e rinascita.
Ma Via Fontane non ha smesso di custodire i suoi segreti. Al civico 36a/r, proprio lì dove oggi sorge una palestra comunale, si ergeva un tempo la piccola chiesa di San Tommaso e l’oratorio delle Cinque Piaghe. Ancora oggi, per chi sa guardare, si possono riconoscere tracce di decorazioni esterne e un’antica edicola che un tempo ospitava un grande affresco, ormai scomparso. Ma nel cortiletto, sopra la porta, si scorge ancora una lunetta raffigurante la Madonna Assunta, segno di una devozione mai del tutto sopita.
Sul fronte dell’oratorio, custodita in un tabernacolo, si trova la statua di San Tommaso. La sua tunica reca una grossa “T”, simbolo inequivocabile, e la statua, sebbene mutila del braccio destro, continua a vegliare su quel luogo come un antico guardiano. Chi passa di lì raramente si ferma a osservarla, ma per chi conosce la storia, quella statua è il segno di una presenza silenziosa, che attraversa i secoli, immune al tempo.
Via Fontane, con il suo intreccio di chiese, oratori, antichi templi e storie di cavalieri, rimane una testimonianza vivente di come Genova sappia fondere il sacro e il profano, il passato e il presente, in un eterno abbraccio.
In Copertina: Via delle Fontane. Foto di Stefano Eloggi.
Edicola votiva di ottocentesca fattura intitolata alla Madonna della Guardi. Si trova presso Archivolto di N.S. della Guardia (ora aperto) che unisce Via San Siro con Vico della Fasciuole nel quartiere della Maddalena .
All’incrocio tra vico Campo Pisano e vico superiore di Campo Pisano si trovava un tempo un teatro particolarmente caro ai genovesi: il teatrino gestito da Nicola Tanlongo, in arte Ö Feûgo che, insieme al fido aiutante Cincinina allestiva qui spiritosi spettacoli di burattini.
L’attività cessata a causa della guerra riaprì i battenti, purtroppo senza successo, negli anni 80′ del secolo scorso.
Oggi i locali dell’antico locale sono stati trasformati in ristorante.
In Copertina: Vico superiore di Campopisano. Foto di Antonio Corrado.
Vico Veneroso è uno stretto caruggio che fa parte di quel gruppo di vicoli situati sul lato sinistro di Via San Lorenzo scendendo in direzione mare.
Al civ. n. 4 dell’omonima piazza si trova il Palazzo nobiliare di Giovanni Bernardo Veneroso. L’edificio venne distrutto dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale e ricostruito negli anni ’50.
Il caruggio, recentemente riqualificato, deve il nome alla casata dei Veneroso originaria di Ancona secondo alcuni, di Verona secondo altri.
Costoro si stabilirono a Genova nel ‘300 fornendo alla Repubblica diversi senatori e soprattutto due Dogi: Gerolamo di Gio-Bernardo nel 1726 e sui figlio Gio-Giacomo nel 1754.
In vico degli Adorno, angolo via Lomellini, si trova un pregevole bassorilievo in pietra nera.
Tale manufatto, risalente al XV secolo, rappresenta la Madonna col Bambino sotto alla quale al centro campeggia il trigramma di Cristo al centrcircoscritto in una ghirlanda retta da due putti.
AI lati due stemmi nobiliari abrasi raffigurati con gusto bucolico fra gli alberi.
Sulla cornice della base è incisa l’epigrafe:
PAX HVIC DOMVI. SEC XV.
In Copertina: il bassorilievo di Vico degli Adorno. Foto dell’autore.