Nel 1706 in una raccolta intitolata “Perfetta Poesia Italiana” apparvero i versi di uno sconosciuto poeta genovese, tal Giovanni Battista Pastorini. Lo scrittore compose un appassionato quanto addolorato sonetto in onore della sua città, ancora scossa e ferita dalle recenti vicende belliche. L’autore infatti, sull’onda emotiva del nefasto bombardamento del 1684 ad opera del Re Sole, annotò:
“Genova mia, se con asciutto ciglio
Lacero e guasto il tuo bel corpo io miro
Non è poca pietà d’ingrato figlio
Ma ribello mi sembra ogni sospiro.
La maestà di tue ruine ammiro,
trofei della costanza e del consiglio;
ovunque io volgo il passo o l’guardo io giro,
incontro il tuo valor nel tuo periglio.
Più val d’ogni vittoria un bel soffrire,
e contro ai fieri alta vittoria fai
con il vederti distrutta, e nol sentire.
Anzi girar la libertà mirai,
e baciar lieta ogni ruina e dire:
ruine si, ma servitù non mai”.
In quell’occasione Genova mostrò fiera e tenace tutto il suo orgoglio. Sola e abbandonata da tutti, lei piccola Repubblica, seppe opporsi alla tracotanza del più potente regno terreno. “Frangar non Flectar” (“Mi spezzerò ma non mi piegherò”) meritandosi in quel frangente, più che mai, l’appellativo di Superba.
Bellissima