Il grand tour nella nostra penisola era di gran moda presso i nobili anglosassoni a cavallo fra ‘600 e ‘700, un viaggio in Italia era tappa obbligata nel percorso formativo culturale di ogni patrizio che si rispetti.
Nel suo “Diario” il viaggiatore britannico John Evelyn così annotava a proposito della Superba:
“La città è costruita all’estremità di una collina, il cui dislivello è molto ripido, alto e roccioso: così, se la si guarda dalla Lanterna o dal Molo con lo sguardo rivolto verso le colline circostanti, la città ha la forma di un anfiteatro. Le strade sono così strette e i palazzi così alti uno sopra l’altro, come i posti di un nostro teatro: ma a causa del meraviglioso materiale con cui sono costruiti, per la bellezza e la loro posizione, non si è mai vista una scenografia artificiale altrettanto splendida; non esiste sicuramente un altro luogo nel mondo, ricco di Palazzi così ben disegnati e posizionati; si può facilmente concludere che quel grande volume composto di grandi fogli, che il grande Virtuoso e Pittore Paolo Rubens, ha pubblicato, contiene solamente (i prospetti dei palazzi) una strada e di due o tre chiese. Il primo palazzo degno di nota che andammo a visitare fu quello di Geronimo di Negro, e per raggiungerlo dovemmo attraversare il porto con una barca. Questo Palazzo Di Negro (oggi Villa Rosazza) è ricco di quadri più preziosi e di altre straordinarie collezioni e arredamenti. Ma non v’è nulla che mi deliziasse più del parco, un giardino collinoso, con un boschetto di alberi maestosi, popolato di pecore, pastori e animali selvatici, intagliati nella pietra grigia, da apparire così reali in mezzo alle fontane, rocce e a un laghetto, che gettando il tuo sguardo in una direzione potresti immaginarti immerso in una campagna selvaggia e silenziosa, ai due lati nel cuore di una grande città e alle spalle nel mezzo del mare. E ciò che è più ammirevole è che tutto questo si trova all’interno di un terreno ampio appena un acro, il più delizioso e stupefacente del mondo intero.
In questa casa notai per la prima volta i pavimenti di stucco rosso, che sono fatti in maniera così resistente e così ben lucidati, che talvolta uno li potrebbe scambiare per pezzi di porfido…
Vi sono in questa città innumerevoli altri palazzi di particolare interesse, poiché i nobili sono incredibilmente ricchi, benché come i loro vicini Olandesi, non possiedono proprietà molto grandi su cui estendersi; perciò collezionano quadri e tappezzerie, case di marmo e ricchi mobili.
Una delle citazioni di maggior rilievo di tutto il viaggio riguarda la Villa del Principe Doria, che si estende dalla scogliera fino alla cima di una collina. Il Palazzo è senza dubbio magnificamente edificato, e non meno splendidamente ammobiliato, con ampi tavoli e lettiere di argento massiccio, e altri di agata, onice, cornalina, lapislazzuli, perle, turchesi e altre pietre preziose. A questo palazzo appartengono tre giardini, il primo dei quali si affaccia meravigliosamente sul mare grazie ad una balconata di piloncini di marmo. Vi è inoltre una fontana decorata con aquile e animali marini di Nettuno ed un’altra del Tritone (del Montorsoli), più a monte, tutt’e due del più puro marmo bianco che il mio occhio abbia mai osservato. E in un lato del giardino si trova un Uccelliera come quella descritta da Sir Francis Bacon nel suo saggio “Of Gardens”, in mezzo ad alberi di circa 70 cm. di diametro, oltre a cipressi, mirti, lentischi e altri arbusti (la gabbia era lunga 130 passi, ampia 22 e alta oltre sei metri), che serve come nido e posatoio per ogni tipo di uccello, che qui può trovare aria e spazio a sufficienza sotto una protezione metallica, sostenuta da un’enorme costruzione in ferro battuto, mirabile sia per la fattura sia per il peso che deve sopportare. Gli altri due giardini sono ricchi di alberi d’aranci, limoni e melograni, fontane, grotte e statue. Tra queste spicca un Giove di colossale magnificenza (la statua in stucco raffigurante Andrea Doria in realtà nelle sembianze di Ercole, soprannominata il “Gigante”, fu demolita negli anni ’30 del secolo scorso), ai cui piedi si trova il sepolcro di un cane beneamato (il Gran Roldano), per il cui mantenimento la famiglia riceveva dal re di Spagna e per tutta la durata della vita del fedele animale, 500 corone all’anno”.
Il viaggiatore inglese era rimasto quindi incantato dal paesaggio, dai marmi, dai palazzi sopraelevati, dai giardini, dalle statue e da tutte le meraviglie possibili e immaginabili ma in una lettera indirizzata ad un suo amico, il Dottor Burnet rivela: “I Genovesi sono la peggiore gente di tutta Italia poiché generalmente i più corrotti nei costumi, in quanto ricettacoli di ogni sorta di vizi”. Una rivisitazione in chiave più moderna della celebre invettiva dantesca “Ahi Genovesi uomini diversi…”.