Re Luigi XII, occupata Genova nell’aprile del 1507, decise di dotarla di una poderosa fortezza che, insieme a quella del Castelletto, gli avrebbe consentito di tenere in scacco la Superba. Osservando infatti il litorale dal Molo vecchio aveva intuito che, posizionandola ai piedi della Lanterna e fornendola di adeguate artiglierie, avrebbe controllato l’accesso al porto e dominato la città.
Il Sovrano oltre a sottomissione e fedeltà pretese dalla cittadinanza il favoloso esborso di 40000 scudi necessari per l’erezione del “chateau neuf” da posizionarsi sul promontorio di Capo di Faro.
Il progetto iniziale prevedeva una costruzione a pianta quadra di circa 60 passi per lato e l’abbattimento del vecchio Faro. Fortunatamente il Senato genovese, preoccupato per quanto stabilito, donò 200 scudi d’oro al progettista dei lavori, l’ingegner De Spin, affinché rinunciasse allo scellerato proposito di demolizione della Lanterna.
Per iniziare i cantieri giunsero in città, ingaggiati dai francesi, oltre mille operai e numerose maestranze antelamiche provenienti dalla Lombardia.
I lavori furono completati nell’ottobre dell’anno successivo e gli invasori la battezzarono, con l’inquietante appellativo di “Mouvesine de Co’ de fa”. I genovesi invece da subito la identificarono come la Briglia” per simboleggiare l’oppressione nemica o, più semplicemente in ragione della sua collocazione, “Fortezza della Lanterna”.
Così la descrive lo storico Uberto Foglietta: “sporge lungamente nel mare dal quale è quasi tutto bagnato, e col quale si tiene con la terra è separato da lei con un’altra apertura a a terra, e in mezzo vi sino due dirupate grotte, si che per niuna maniera si può accostare ad esso contro la voglia di quelli che tengono lo scoglio”.
Le cortine e i bastioni della Briglia si alzavano a picco sul mare assecondando la morfologia della scogliera. Era ritenuta una delle più imponenti ed inespugnabili fortezze d’Europa, fornita di artiglierie di ultima generazione, sorvegliata agli ordini del comandante Houdetot, da un presidio di 100 arcieri, 150 soldati e 50 bombaroli.
I genovesi, con l’aiuto degli spagnoli, si ribellarono alla dominazione foresta e, sotto la guida del Doge Ottaviano Fregoso, ripresero la città. Iniziò così uno snervante assedio lungo 16 mesi volto a conquistare la rocca e ad espellere definitivamente il contingente nemico. Le artiglierie francesi però risposero colpo su colpo alle batterie genovesi del Molo e di Sampierdarena, rendendo vana ogni speranza di cedimento.
Nonostante il blocco navale imposto dal Doge al fine di impedire i rifornimenti al fortilizio, i transalpini inviarono in soccorso una nave, partita da Marsiglia, carica di vettovaglie e munizioni per le truppe asserragliate.
Il comandante del legno francese nel marzo 1513 tentò di ingannare i genovesi issando il vessillo di S. Giorgio. Una volta giunto a tiro di cannone delle quattro galee poste a difesa dell’ingresso del porto, si aprì un varco a colpi di bombarda riuscendo ad attraccare alla Fortezza.
Se l’azione avesse avuto esito positivo l’assedio dei genovesi sarebbe stato vanificato; ma grazie al coraggio di due capitani Emanuele Cavallo e Andrea Doria che a bordo della loro nave, sfidarono il fuoco di sbarramento della Briglia e riuscirono ad agganciare l’imbarcazione francese, l’epilogo fu ben diverso.
Durante il duro scontro il capitano francese tuffatosi in mare cercando la fuga, venne catturato insieme ad altri 32 marinai e, con essi, imprigionato; sei furono gli impiccati. La nave sequestrata ai nemici fu ancorata nel porticciolo sotto Sarzano.
Andrea Doria, rimasto ferito, per il coraggio dimostrato ebbe onori e rinnovati incarichi, Emanuele Cavallo la riconoscenza del Doge e l’esenzione perpetua dalle tasse per sé e per gli eredi.
La guarnigione francese, nonostante la carenza di provviste, continuò eroicamente la resistenza ad oltranza. In un primo momento si pensò di minare la “Mouvesine” dalle fondamenta, poi di incendiarla, ma entrambi i tentativi ebbero risultati deludenti.
Il 16 marzo 1514 il presidio francese provato dalla fame e abbandonato dalla madrepatria, finalmente si arrese. II Doge, ordinò nonostante le suppliche francesi di risparmiarla, l’atterramento della Briglia. All’ingente spesa preventivata per l’abbattimento della Fortezza contribuì personalmente in maniera significativa Fregoso stesso. Allo spettacolo della demolizione affidata agli artificieri e ai maestri antelami, assistettero nobili e principi giunti da tutta Italia.
Oltre alla Briglia purtroppo anche la torre del Faro era rimasta gravemente danneggiata e solo nel 1543 i Padri del Comune deliberarono di ripristinarla.
La Lanterna venne restaurata utilizzando sia pietre provenienti dalla cava di Carignano, magistralmente lavorate dai “piccapietra” dell’omonimo quartiere, che i resti della Fortezza e, a lavori ultimati, elevata all’attuale altezza di 117 metri dal livello del mare. Venne decorata all’esterno sul prospetto orientale con il fregio del Comune (S. Giorgio e i Grifoni) dipinto dal maestro Evangelista da Milano.
Al suo interno a metà delle scale venne posta la famosa lapide scritta, a celebrazione della definitiva libertà conquistata poi nel 1528 ad opera di Andrea Doria, dal letterato e annalista Jacopo Bonfadio:
“Anno della nascita di Cristo 1543, e quindicesimo della restituita libertà; Pietro Gio Battista Lercari e Luciano Spinola, Padri del Comune, riedificarono questa Torre che i nostri padri avevano costruita e che rimase distrutta nel 1512 dai proiettili, nell’assedio della rocca della Lanterna”.
Nel 1626 la Lanterna divenne il fulcro e parte integrante del nuovo progetto delle Mura Nuove terminate nel 1639, l’ultima cinta muraria della città.
Ad ogni Cavallo la sua Briglia…
Ogni tuo racconto sembra un romanzo e invece è storia della nostra città. Mi pare che sia stato un assedio particolarmente lungo ma coronato da un grande successo. L’abbattimento della Briglia dev’essere stato un vero spettacolo
Ogni giorno, grazie a te e a Mauro scopro storie vere di luoghi visitati giornalmente.