… della Storia che o popoli non ricordano mai abbastanza”.
In Corso Aurelio Saffi, superato il palazzo della Questura, s’incontra un particolare ed evocativo edificio dello stesso stile che rimanda all’architettura razionalista del ventennio fascista: si tratta infatti della costruzione a tutti nota come “La Casa del Mutilato” eretta nel 1937 dall’architetto Fuselli ed inaugurata nel maggio dell’anno successivo alla presenza del Duce in persona (durante quella stessa visita genovese inaugurò anche l’ospedale pediatrico Giannina Gaslini).
La struttura era stata concepita per ospitare l’Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi di Guerra ma in realtà, come ci ricordano le varie targhe affisse all’ingresso, è stata sede anche di: Associazione nazionale combattenti e reduci, Associazione nazionale mutilati in servizio, Associazione nazionale famiglie caduti e dispersi in guerra, Associazione nazionale vittime civili di guerra, Associazione nazionale Cavalieri dell’ordine di Vittorio Veneto, e Anpi.
Soldati repubblichini e partigiani in qualche modo uniti, purtroppo, dalle brutture della guerra, hanno trovato asilo sotto lo stesso tetto. Con il trascorrere degli anni certi avvenimenti sono caduti nell’oblio e la struttura ha mutato pelle passando dalla vocazione sociale e civile a quella culturale prima e commerciale poi.
Dentro alle sale affrescate da Giuseppe Santagata e illuminate dalle sue suggestive vetrate si sono succeduti un cinema il Ritz, un noto Jazz Club il Lousiana, e oggi un risto pub.
Io da ragazzo abitavo nella stessa via e il palazzo faceva parte del mio tragitto quotidiano verso la scuola da me frequentata, il Liceo D’Oria. Ricordo che dell’edificio mi avevano colpito diversi aspetti: il suo disegno a bande marmoree bianco nere proprio come le chiese o i palazzi delle antiche e nobili famiglie genovesi, il primo.
La Casa del Mutilato infatti è suddivisa in due ali di cui la prima caratterizzata dall’alternanza del marmo bianco di Carrara e di quello scuro di Levanto, bianca monocroma, l’altra.
Sul cornicione della prima è scolpita la frase: “Il sacrificio è un privilegio di cui bisogna essere degni”.
La presenza di due statue una delle quali, la seconda, esposta quasi in disparte. Se infatti la dea alata della Vittoria armata di spada di Guido Galletti, sorveglia l’ingresso principale, quella di Eugenio Baroni (in realtà un bozzetto) è relegata di lato. Una scultura quest’ultima rappresentante il Monumento al Mutilato dedicata a tutti i caduti della Grande Guerra che immortala una scena dal significato assai tragico: un fante esausto sorretto da una parte da una magra ed anziana signora incappucciata e dall’altra da un soldato che gli indica con un braccio mutilo di mano, l’avvenire di sofferenza che ha davanti.
A questa statua è legato anche un piccolo ricordo personale che riguarda mio nonno materno insieme al quale, a volte, mi soffermavo ad ammirane le fattezze. Dietro di essa c’era un grande cespuglio di alloro dal quale raccoglieva le foglie e qualcuna, oltre che finire meno eroicamente nell’arrosto o nel polpo della nonna, la deponeva sul basamento. Non c’era bisogno di parole o spiegazioni del mio avo per capire l’intensità che quell’immagine sapeva sprigionare.
Infine la terza, la più importante, la scritta, o meglio il motto scolpito nella facciata, tra due teste di medusa che recita “La Guerra è la lezione della Storia che i popoli non ricordano mai abbastanza”. Un monito concepito dal presidente dell’Associazione Mutilati ed Invalidi di Guerra Carlo Delcroix.
Una lezione valida e attuale ancora oggi che, Benito Mussolini, non pago delle nefaste campagne colonialiste in Africa, evidentemente non sarebbe stato in grado di fare propria.
Di lì a poco infatti avrebbe ricondotto nuovamente il Paese in guerra.